Sport Land News: Mondiali Calcio
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L'ultima trovata del presidente della Fifa Joseph Blatter: abolire i pareggi nelle partite della fase a gironi dei Mondiali

L'ultima trovata del presidente della Fifa Joseph Blatter: abolire i pareggi nelle partite della fase a gironi dei Mondiali. 'Stiamo riflettendo sulla possibilita' di abolire il pareggio nelle partite della prima fase dei Mondiali - dice Blatter alla rivista tedesca Focus - ma non vuol dire che in caso di pari le due squadre andranno ai supplementari'.Blatter ipotizza il ricorso ai rigori o alla reintroduzione del golden goal. Obiettivo: rendere meno noiose le gare della prima fase.

ansa



Mondiali calcio e Reebok spingono in alto gli utili di Adidas

(Teleborsa) - Roma, 4 ago - Utili record per il secondo produttore di abbigliamento sportivo al mondo Adidas, che alza così le stime per l'intero esercizio.
Il gruppo tedesco ha chiuso il secondo trimestre con profitti pari a 126 mln di euro, in netta crescita rispetto ao 9 mln dello stesso periodo di un anno fa, mentre i ricavi sono aumentati del 19% a 2,92 mld.
A far da traino sono stati i Mondiali di calcio in Sud Africa e il revival del brand Reebok in Nord america, ha dichiarato il CEO Herbert Hainer, ma anche la forte esposizione di Adidas nei paesi emergenti.
Come effetto del boom del periodo da poco concluso la società ha alzato a 2,50-2,30 dollari ad azione il target sugli utili dell'intero 2010. La forchetta precedente era stata fissata a 2,05-2,30 dollari.
L'ottima trimestrale non sembra giovare al titolo in borsa. Le azioni Adidas stanno infatti cedendo a Francoforte oltre un punto percentuale.

IL CT INGLESE GIUDICA I MIGLIORI DEL MUNDIAL

Scoppia la polemica fra Capello, la stampa ma questa volta anche la Federcalcio inglese. Il putiferio è stato provocato dalla decisione del ct della nazionale britannica di mettere on line i voti sui sui giocatori del Mondiale di Sudafrica 2010. Il ct dei tre leoni ha pubblicato le valutazioni personali sui nazionali inglesi e non solo e la cosa non è piaciuta. Nessun giocatore inglese, ovviamente, nei primi cinque migliori in Sudafrica, con la speciale classifica vinta dall'attaccante uruguayano Diego Forlan con una media voto di 65.77, secondo e terzo posto per due tedeschi, Miroslav Klose (65.39) e Thomas Muller (65.36). Solo al quarto posto il primo spagnolo, campione del mondo, Andres Iniesta, autore del gol vittoria in finale sull'Olanda, con 65.09, seguito dal compagno di squadra Xavi con 64.63. Sesta posizione per David Villa, seguito da Luis Alberto Suarez, Arjen Robben, Bastian Schweinsteiger e decimo Manuel Neuer. Solo 15esimo Sneijder. Per quanto riguarda gli inglesi, sulla media delle quattro partite disputate, il migliore è il centrocampista del Chelsea Frank Lampard con 63.20, seguito da Wayne Rooney (62.72). Per quanto riguarda l'Italia, in relazione alle tre gare giocate, i migliori secondo Capello sono stati Vincenzo Iaquinta (63.10) e Daniele De Rossi. A supporto di Capello, arrivano le dichiarazioni di Alex Ferguson, attualmente manager del Manchester dove lavora (e vince spesso) dal 1986. «Non accetterei mai la panchina dell'Inghilterra. In due occasioni ne ho avuto l'occasione ma l'ho sempre rifiutato. È un calice avvelenato, un lavoro orribile. Il fatto poi che io sia scozzese costituirebbe un handicap enorme».  (ilmanifesto.it)

CALCIO, MONDIALI: BOCELLI-ADAMS DUETTO SULLE NOTE DI 'YESTERDAY'

Un duetto tra Andrea Bocelli e Bryan Adams sulle note di "Yesterday" è stato il momento più emozionante del concerto di chiusura dei campionati del mondo di calcio, tenutosi ieri sera a Johannesburg, con due giorni di anticipo su quella che sarà poi la grande cerimonia finale di domani. L'evento ha visto il tenore italiano grande protagonista: oltre al duetto con il rocker canadese, Bocelli ha cantato assieme alla soprano Pretty Yende e, per la gioia del pubblico, è salito sul palco con la vuvuzela, scatenando l'entusiasmo dei presenti. Ovazione per l'interpretazione di 'Con te partirò' e per il gran finale con 'Nessun dorma'.
(10/07/2010) (Spr)

Mondiali. Il Sudafrica vince per l'organizzazione

CITTA' DEL CAPO 10/07/10 - 19:21
In attesa della finalissima, c'è chi ha già vinto, il Sudafrica: ai nostri microfoni, il numero uno, Danny Joordan, amministratore delegato del Comitato Organizzatore Mondiali. "I Mondiali di calcio hanno trasformato la percezione internazionale del Sudafrica e questo successo può diventare la rampa di lancio per una crescita a lungo termine", ha detto. "Bisogna garantire che il nostro orgoglio duri più di 90 minuti e dobbiamo estendere questo sentimento ad altri settori della vita".(radio grr)

Mondiali/Cerimonia chiusura, Shakira star tra futuro e tradizione

Johannesburg, 10 lug. (Apcom) - Effetti speciali, musica tradizionale, star internazionali. E ippopotami ed elefanti (di tela) a fare da cornice. Come per la cerimonia di apertura, anche lo spettacolo che, un mese dopo, farà domani da prologo alla finale della Coppa del Mondo di calcio darà spazio alla modernità senza dimenticare il passato, per celebrare il Mondiale sudafricano, il primo disputato nel continente. Shakira, la star più attesa, canterà ancora l'inno del Mondiale, 'Waka Waka', già intonato l'11 giugno. Lo spettacolo, al Soccer City di Johannesburg, inizierà alle 18:30 (ora italiana) e durerà circa mezz'ora; poi, alle 20:30, il fischio d'inizio di Olanda-Spagna, che si contenderanno la Coppa davanti a 85.000 spettatori. "Sarà un omaggio alle tradizioni del Paese, ma la forma sarà molto moderna, giovane, contemporanea" ha promesso Derek Carstens, direttore del settore marketing del comitato organizzatore. "Il programma è molto africano. Se Shakira rappresenta il glamour internazionale, canterà l'inno del Mondiale, 'Waka Waka', con il gruppo pop locale dei Freslyground. Parteciperanno allo spettacolo anche il gruppo corale dei Ladysmith Black Mambazo e 780 musicisti e ballerini del continente" ha aggiunto. Shakira ha promesso di "difendere le battaglie delle donne africane", scegliendo di essere accompagnata da ballerine locali. La modernità sarà assicurata dagli "effetti speciali", ha assicurato Carstens, che saranno visti da oltre 500 milioni di telespettatori. (con fonte Afp)

Mondiali di calcio, finale Spagna-Olanda, le probabili formazioni

Queste le probabili formazioni di Olanda-Spagna, che si affrontano domenica a Johannesburg nella finale di Coppa del Mondo.

Olanda (4-2-3-1): Stekelenburg; Boulahrouz, Heitinga, Mathijsen, Giò; Van Bommel, de Zeeuw; Kuyt, Sneijder, Robben; Van Persie. All. Van Marwijk

Spagna (4-2-3-1): Casillas; Sergio Ramos, Pique, Puyol, Capdevila; Busquets, Xabi Alonso; Iniesta, Xavi, Pedro; Villa. All. Del Bosque

Arbitro: Webb (Inghilterra)

L'atto finale del Mondiale di Calcio e' arrivato. Spagna-Olanda e' la partita, difficile da pronosticare alla vigilia, che concludera' una rassegna mondiale deludente sul piano della spettacolarita' del gioco e della presenza di personaggi da copertina, ma imprevedibile sul piano degli esiti, dato che le favorite sono uscite anzitempo lasciando lo spazio a queste due outsiders. il commissario tecnico spagnolo Del Bosque dichiara, che i suoi calciatori sono tranquilli, poiche' abituati a disputare partite importanti a livello internazionale. Nell'Olanda le sue stelle Robben e Sneijder avranno una motivazione in piu' per dare il meglio e vincere il titolo:dimostrare ancora di piu' che la loro vecchia squadra, il Real Madrid, ha fatto una follia a metterli sul mercato considerandoli inutili;farlo, soffiando, il titolo mondiale proprio alla squadra spagnola avrebbe un sapore davvero tutto particolare. A questo punto non resta che sistemarsi comodi e godersi lo spettacolo.

net1news

Barriales In Controtendenza: Niente Strip Se Vince La Spagna

C'è sempre chi va controtendenza, e di solito è da ammirare un comportamento contrario alle consuetudini.
Non me la sento però di approvare del tutto la dichiarazione di Laura Barriales, modella e showgirl con numerose apparizioni in pubblicità di lingerie, all’inizio della carriera.

Dal 2007 in Italia, la spagnola entra nel cast di trasmissioni televisive molto note, fra cui "I Raccomandati" con Carlo Conti e "Buona la Prima" con Ale e Franz, entrando nel cuore di molti italiani.



Nel 2010 fa parte della fiction “Capri 3” - vorrebbe dire che esiste una “Capri 1“ e “Capri 2” ? - ma soprattutto “Notti Mondiali”, dal cui palco in Piazza di Siena a Roma trasmette la sua passione calcistica.

Invece di seguire le promesse di sue colleghe modelle e ragazze di spettacolo, la Barriales fa un voto diverso dal solito, per augurare il meglio alla Spagna.

Laura promette che se vinceranno le Furie Rosse... non si mangerà più le unghie. Prosegue dicendo che la moda dello spogliarello in cambio di una vittoria, inaugurata dalla Ferilli con lo scudetto della Roma, che però ci ha lasciati un po' delusi, nel suo caso non sarebbe apprezzato. "Chi vorrebbe vedermi nuda ?" - si chiede Laura - "Nessuno" - conclude.

Cara Laura, non credi che dovremmo decidere noi, cosa fa o no piacere al pubblico che rappresentiamo ? L'onicofagia è sicuramente un brutto vizio, da togliersi prima possibile, oltretutto antiestetico.

Ma perchè vorresti usarlo come stimolo per i giocatori della tua squadra ? Credi che alla fine si sentiranno così trascinati verso la vittoria ?

La Barriales parla della sua partenza in settimana alla volta della Spagna, dove, oltre a vedere la partita, dovrà prepararsi per il matrimonio di una sua cara amica, che ha scelto impropriamente la giornata di domenica per sposarsi. Dovesse vincere la Spagna e andare in finale, c'è da scommettere che in chiesa ci sarà il prete, la sposa e sua madre, ammesso che il primo non sia un appassionato di calcio.

In Spagna, infatti, il tifo raggiunge livelli anche più alti dei nostri, dopo la vittoria durante gli Europei 2008 le attività lavorative sono passate in secondo piano per settimane; sembra ci fosse un’unica, grande festa per tutto il paese.

Davanti alla Spagna c'è comunque la Germania, nonostante le previsioni del Polpo Paul, un’avversaria dura e tenace.

In queste ultime ore la splendida Barriales, madrina e rappresentante della Spagna in Italia, una pelle scura e liscia a ricordare quanto sia caliente il sole della penisola Iberica, potrebbe ripensarci.

Spiazzare tutti e promettere alla sua squadra il pur banale, ma sempre apprezzato da giocatori e tifosi, strip "della vittoria". Noi italiani saremmo tutti dalla loro parte, ovviamente.

paid2write.org

62 spie per battere la Spagna

Loew e la sua squadra segreta
Tra i segreti della Germania c'è anche il lavoro di uno staff di studenti dell'università dello sport di Colonia, che analizzano ogni dato delle squadre avversarie. E' anche grazie a loro se il ct dei tedeschi finora non ha sbagliato un colpo

dall'inviato ENRICO CURRO'
Loew e la sua squadra segreta 62 spie per battere la Spagna


DURBAN - Interpretando il calcio come metafora della guerra - un classico di ogni Mondiale - la stampa spagnola ha infine scoperto quale segreto si nasconda dietro la crescita della nazionale tedesca: lo spionaggio. Se la squadra di Loew ha travolto Inghilterra e Argentina, il merito non sarebbe tanto delle ritrovate virtù tecniche e atletiche di Klose e Podolski o del definitivo ingresso di Schweinsteiger e Lahm nell'olimpo dei campioni, quanto della straordinaria macchina tecnologica messa in piedi dalla federazione. Uno staff di sessantadue studenti dell'università dello sport di Colonia, che analizzano ogni dato delle squadre rivali della Germania, avrebbe permesso finora all'ex ct carneade di non sbagliare nemmeno una mossa.

Fuori dai luoghi comuni, il ricorso alla tecnologia da parte dei tedeschi è un dato di fatto: nessuna nazionale la sfrutta con tanta scrupolosità. Pochi giorni prima della partita gli studenti spediscono le loro relazioni al capo degli osservatori. Urs Siegenthaler, ingegnere svizzero con un passato da calciatore nel Basilea e nello Young Boys, si incarica di elaborarli, con tanto di filmati personalizzati sui singoli avversari, della durata di 25', curati da Flick, il vice di Loew. A Siegenthaler viene attribuito il merito di avere già suggerito 4 anni fa all'allora portiere Lehmann i trucchi per parare i rigori a Cambiasso e Ayala, nei quarti di finale con l'Argentina. All'epoca, durante la gestione Klinsmann, Loew era il vice. Diventato ct, ha accentuato la collaborazione con l'università di Colonia, dove ha sede il centro tecnico che laurea gli allenatori tedeschi. La federazione ha sposato il progetto, finanziandolo ed estendendolo ai club: ogni volta che affrontavano una partita importante di Champions o di Europa League, avevano a disposizione un dettagliato studio degli avversari. I successi delle Under hanno convinto Loew della bontà del progetto, che rimanda per meticolosità ai tempi della cortina di ferro, quando la rivalità tra le due Germanie aveva creato università dello sport altamente specializzate.

Il capo delle "spie" Siegenthaler è orgoglioso: "Sappiamo tutto delle squadre con cui giochiamo, perfino le provocazioni in cui possono cadere i giocatori". Il 4-0 con l'Argentina, ad esempio, sarebbe nato sia dallo studio della marcatura adottata su Messi da Mourinho in Champions sia dalla valutazione della debolezza difensiva della squadra di Maradona a sinistra. Contro la Spagna tre sarebbero le priorità individuate: ingabbiare Villa, aggirare Sergio Ramos alle spalle e prendere in velocità Puyol. Ieri Loew ha ammesso di non avere chiesto consigli all'allenatore olandese del Bayern Van Gaal e al ct tedesco della Svizzera Hitzfeld, entrambi esperti di calcio spagnolo: "Non serve, abbiamo i nostri analisti". Sono gli stessi che hanno imposto a Klose una dieta ferrea - ha perso 5 chili in un mese - e hanno stabilito che il preritiro in altitudine non serviva: la Germania si è preparata al livello del mare, in Sicilia, e poi a 600 metri, in Alto Adige. La beffa sta nel finale della storia: da agosto Siegenthaler e i suoi collaboratori lavoreranno per l'Amburgo, club per il quale Löw stava per firmare, portando appunto con sé l'allargatissimo staff. Ora ne beneficerà Veh, ex allenatore di Stoccarda e Wolfsburg: è il prezzo delle vittorie al Mondiale.

(07 luglio 2010) - repubblica.it

A nuoto fra i coccodrilli per un biglietto del mondiale (i ct erano fuori concorso)

ROMA (6 luglio) - Marito e moglie, scrive il giornale “Beeld” in Sudafrica, hanno attraversato a nuoto un fiume infestato dai coccodrilli per aggiudicarsi un biglietto Vip per una partita del Mondiale di calcio dal costo stimato in 100.000 rands, circa 13.000 dollari.


Maurce e Nicole Meyer
, di Nelspruit, hanno partecipato ad un concorso organizzato da una radio locale che offre il tagliando a chi mette in pratica la prodezza più originale. Ancora non è stato comunque deciso il nome del vincitore. Maurce Meyer ha spiegato di essersi indignato ascoltando le proposte poco rischiose di altri partecipanti. Per questo motivo ha ideato con sua moglie questa prova: nuotare tra i coccodrilli. Suo fratello non solo ha registrato il video dell’impresa, ma ha anche vigilato a bordo di una barca con un’arma per intervenire in caso di incidente. Ma gli astuti coccodrilli non hanno fatto una piega e nemmeno una lacrima.

Non hanno partecipato al concorso, pur esibendosi in ancor più spericolate avventure trasformatesi in disavventure kolossal, Lippi, Domenech, Capello, Dunga e (molto meno) Maradona. La loro barca ha fatto acqua da tutte le parti e, conosciute certe convocazioni, anche i coccodrilli avevano abbandonato il fiume. Tanto il carro dei vincitori era soltanto la carretta della gogna.

ilmattino.it 7 Luglio 2010

Orania non tifa Orange "Il calcio? E' da neri fannulloni"

Un paese di 700 anime nato contro Mandela, dove l'apartheid non è finito: "Siamo contro ogni contaminazione". Viaggio nella città stato fondata negli anni '90 su terreni acquistati da 40 famiglie afrikaner


Il nome è da fantascienza. Da pianeta surreale. Ma Orania è su questa terra, a metà del Sudafrica, un ombelico nel mezzo del niente, nella regione Karoo. Una landa desolata, da Wile il Coyote, o da Spike, il fratello di Snoopy. Cactus, cespugli, polvere, strade sterrate, il fiume Orange. E tante bandiere arancioni. È una comunità afrikaner:  gote rosse, occhi chiari, visi che sembrano dipinti da Rembrandt e da Vermeer. Un po' paffuti, dolci, da colonia sfuggita alla storia. Orania vive accanto a 48 milioni neri, ma non ne sente il respiro. Qui non sono graditi. È una comunità solo per banchi. La fondò  un gruppo di 11 persone, comprandola  per 200 mila dollari dal governo, che l'aveva costruita come campo-base e cantiere per gli operai che lavoravano all'acquedotto.

Era il dicembre 1990, Mandela non era più in prigione e l'apartheid era stato abolito. La risposta di Carel Boshoff, genero dell'ex premier Hendrik Verwoerd, l'architetto della segregazione fu: e noi ci facciamo una città e una repubblica tutta nostra, "only whites". Il posto, ormai in rovina, non era tra i più belli, solo una pioggia all'anno, accanto alla miniere di Kimberly. A metà tra la comunità Amish e una setta di fanatici con la zappa in mano. "Non vogliamo essere comandati da chi non è Afrikaner. La nostra cultura è oppressa e ai nostri bambini con la lingua inglese viene fatto il lavaggio del cervello".

A Orania oggi vivono 700 persone, gran parte impegnati nei lavori agricoli. C'è grano, miglio, e noci (esportate in Cina). E un tifo dichiarato per l'Olanda, anche se ormai una madrepatria lontana e stinta. A Orania c'è il campo di rugby e una piscina. E quello da calcio? "Scherziamo? Il football è roba da neri, a noi non interessa, però i nostri bambini qualche volta lo praticano". Bè, non gli rovinerà la pelle. "Non è quello, nelle nostre scuole vige un sistema educativo che abbiamo preparato noi, abbiamo anche i computer, che non prevede la contaminazione. Per noi i soldi non sono un valore, lo è l'indipendenza che si ottiene con il lavoro anche manuale. Siamo calvinisti. La maggior parte dei comuni sudafricani è in bancarotta, il nostro no. Noi non strapaghiamo i fannulloni, noi non mendichiamo. Il resto dell'Africa campa sulla beneficenza. Pretendevano che la squadra del Sudafrica andasse avanti, e in base a cosa, ai sogni? Bisogna meritarseli certi traguardi, non sperare nella bontà di un regalo".

Orania ha case basse, alcune ristrutturate, sembra un camping dell'Adriatico, senza il mare, popolato da corpi contadini. Della polizia non c'è bisogno, la criminalità qui va a letto presto. "Ci conosciamo tutti" dice l'ex dottore John Strydon, 55 anni, portavoce della comunità. " E se passa una macchina sconosciuta, prendo subito la targa e passo parola". Ah, bene. Non sarà facile per i giovani vivere qui? "Soprattutto per i singles, per quelli che non hanno famiglia, e che la sera sono stanchi morti. Il Sudafrica ha sempre delegato ai suoi schiavi neri i lavori più umili, anche perché la manodopera non costava niente. Ma qui i neri non ci sono. Ognuno deve darsi da fare da sé. E questo per la gioventù è psicologicamente inaccettabile ". Stasera tutti al bar a tifare per gli arancioni? "Non esageriamo, solo quelli che all'indomani non lavorano, e magari a casa davanti alla tv. Le fans più scatenate da noi sono le donne, Madelein e Mara non si perdono un giocatore". Magari qui la vita sentimentale è noiosetta? "Ci si sposa, si fanno tre figli, si va in chiesa". Ecco, appunto, uno spasso. "Per quello c'è l'auditorium dove proiettiamo vecchi film". Hollywwodiani? "No, afrikaner, per promuovere la nostra cultura".

Orania ha cartelli e insegne afrikaner, piccoli studi medici, panetteria e supermercato. "Ci autogestiamo fino quando possiamo, poi andiamo in città". Quando Mandela dovette far capire al paese che non cercava vendetta, venne qui, ad incontrare per un tè, la fragile 94enne Betsy Verwoerd, vedova dell'uomo che aveva costruito l'apartheid. Come fu l'incontro? "Passiamo ad altro". Però Orania ha festeggiato i dieci anni della liberazione di Mandela a suo modo, stampando una propria moneta. Anzi dei voucher da 10,20,50,100 rand. Con disegni tipo Hendrick il coraggioso e leggende afrikaner. Bianchissimi. Ad Orania c'è anche una radio, che trasmette nel raggio di 60 chilometri. Va in onda dalle 17 alle 22. E prima? "Non serve, la gente sta nei campi". La conducono in due: un tecnico e un presentatore. Parlate di calcio, di Robben, dei mondiali? "No, delle condizioni meteorologiche e leggiamo il Vangelo". Pure se oggi l'Olanda segna che non speri in un fuoriorario. Però la preghiera è garantita. Qui Orania, a voi mondo. 

  (06 luglio 2010) di Emanuela Audisio - repubblica.it

SUDAFRICA 2010 - Il Mondiale del pianto

(Repubblica.it) - Come esce di scena un vero uomo? Tra le lacrime o sputando e imprecando? Esiste ancora un senso della dignità che rifugge da questi estremi e si rifugia tra le conserte braccia dell'onorevole Takeshi Oneda, il ct giapponese che ha accolto l'eliminazione senza aprire un poro ed è tornato in campagna a scrivere versi?

A guardare quel che succede sui prati del Sudafrica, quando il sipario cala e per qualcuno la recita è finita sembrerebbe davvero di no. Vai con il pianto. O vai con il delirio. In alternativa, nel caso peggiore che terremo per ultimo, prima l'uno e poi l'altro.

La nazionale delle lacrime è fortissima. Tra i pali schiera il portoghese Eduardo, forse il miglior portiere visto ai mondiali, quello che da solo ha cercato di fermare la Spagna mentre i suoi compagni cincischiavano. Lo ha stroncato la sensazione di spreco: a che serve essere bravo se intorno a te c'è soltanto mediocrità? Nessuno si ricorderà adesso delle sue parate, dato che non sono state gradini di un'ascesa verso il cielo, ma soltanto tesori nascosti dietro una porta chiusa al piano appena sopra il girone eliminatorio. Momenti meravigliosi che, come diceva quello che ne aveva vissuti tanti, andranno persi, appunto, "come lacrime nella pioggia".
Questa è l'unica squadra ideale del torneo a cui partecipa un italiano: Quagliarella, il primo a cedere. Anche lui stroncato dalla sensazione dell'irripetibile. Quando mai gli ricapiterà di essere così in forma ma venire impiegato soltanto in extremis, in una squadra già fuori tempo massimo? Su un giornale sudafricano il suo gol è ancora nella classifica dei dieci più belli, ma ho visto un olandese leggerla e, indicando l'italiano, domandare: "Chi era questo?". Era.

Una foto mossa, poi l'obiettivo si è spostato altrove. Se non altro ha dei buoni compagni d'attacco. Al centro c'è addirittura Messi, che Maradona (allenatore di questa inconsolabile squadra) ha voluto descriverci nello spogliatoio, seduto sulla panca, sguardo a terra, intento a dimostrare il suo attaccamento alla maglia inzuppandola per venti minuti. E sull'altra fascia può spingere Cardozo, il paraguayano inguaiato che ha sbagliato il rigore ammazzaspagna. Pesava troppo quel pallone, quasi come quello di Asamoah Gyan, al 120' minuto dello storico quarto di finale ghanese e a un istante dalla leggenda. Impossibile farcela, altrettanto perdonarsi. Di tutti, per l'eccezionalità dell'evento, lui è l'unico comprensibile. Fin lì si era sentito infallibile dal dischetto, e così Cardozo, che aveva fatto piangere i giapponesi.

Ecco, se lo fa un emotivo latino, passi. Ma se vedi un samurai blu che si copre la faccia con la maglia per non mostrare il volto mentre si scompone, è finita. Davanti alle lacrime di Honda e Komano si è capito che la diga era rotta, l'alluvione imminente.

Molti potranno dire che è una reazione naturale, salutare anzi, come uno starnuto: quel che fa male è trattenerla. Nell'affermarlo si maschera il senso di disagio di fronte non a uno, ma a due, undici uomini che piangono. Le lacrime di Mourinho, certo. Almeno quelle erano di gioia. Il pianto felice è una bottiglia che tracima, è esploso il tappo, allegria. Quello davanti a un film (possibilmente in aereo, soli, a diecimila di quota) uno sfogo solitario. Il pianto triste in mondovisione è un'altra cosa, una resa, somma all'incapacità di farcela quella di farsene una ragione. Non ci sono stati lutti, ci saranno altre partite, forse altri mondiali, la vita offre rivincite sul campo, bisogna solo prepararsi per esserne all'altezza: chissà che fra quattro anni non ci sia, per la terza volta consecutiva, il quarto di finale Germania-Argentina. Magari per il Ghana il treno sarà più lento, ma è probabile che ripassi.

Certo, ci sono reazioni peggiori. Ci sono quelli che, avendo fatto la metà di Eduardo, invece di piangere di fronte alla telecamera sputano a chi le sta dietro, come ha fatto Cristiano Ronaldo. E quelli che invece di ringraziare il proprio pubblico in ogni angolo dello stadio, come ha fatto Honda, lo insultano alla maniera di Rooney. C'è Felipe Melo che nell'uscita del Brasile ha responsabilità molto più grosse rispetto a Cardozo per quella del Paraguay, ma si sente colpevole? No, proclama: "Delle critiche me ne frego". E fila via, sotto scorta però, perché in questo caso gli sputi e le offese sarebbero mirati a lui.

Poi c'è l'ultimo, l'agrodolce Suarez, el ladròn, quello della mano assassina che para il tiro ghanese sulla linea di porta e nega il gol della giusta vittoria. Non provoca soltanto il rigore, ma anche la propria espulsione, quindi l'esclusione da ogni eventuale futuro. Consapevole delle conseguenze, ma non dell'indicibile che sta per avverarsi, esce dal campo piangendo. Poi resta lì, grondaia, a guardare Asamoah Gyan che, presumibilmente, renderà la sua bravata vana e dannosa. Invece quello sbaglia. Ed ecco che Suarez esulta, rivendica e l'indomani tronfio annuncia: "Ora la mano di Dio sono io". Che se poi esistesse, quella mano, asciugherebbe le lacrime, tapperebbe le bocche, distribuirebbe qualche scapaccione e di nuovo tutti in campo, ad allenarsi.

PANCHINE BOLLENTI Capello confermato, gli incubi di Dunga L'haiku di Okada

di Nicola Sellitti - ilmanifesto.it
PANCHINE BOLLENTI
Capello confermato, gli incubi di Dunga L'haiku di Okada
Hanno retto sinora la scena del palcoscenico mondiale, in attesa della recita degli astri del pallone. Lippi, Domenech, la vedètte Maradona, Capello, Dunga che sognerà Melo e i cronisti brasiliani che lo cuociono a fuoco lento tipo churrasco. I commissari tecnici, soprattutto se hanno lasciato in anticipo il Sudafrica, continuano a far discutere.

Inghilterra C'è chi cambia compagnia e chi resta scritturato nonostante la poca fiducia del regista. A cominciare da Fabio Capello, confermato alla guida dell'Inghilterra in vista degli Europei del 2012. La Football Association mette così fine alle speculazioni sul futuro del tecnico friulano. «Siamo ancora molto delusi dalla prestazione della nazionale - ha spiegato il presidente Fa Richards - Restiamo convinti che Capello sia l'uomo giusto per questo incarico. Saprà trarre beneficio dal suo primo torneo internazionale, questo ci renderà indubbiamente più forti agli Europei del 2012». Lo stesso Richard ha contattato personalmente Capello per comunicargli la decisione. «Posso garantire ai tifosi che siamo già concentrati sulle qualificazioni agli Europei» dice don Fabio. Una conferma a scoppio ritardato che non zittirà i tabloid d'oltremanica.

Francia Due giorni fa - contemporaneamente alla nomina di Prandelli ct azzurro, conferma delle storie intrecciate di Italia e Francia - c'è stata l'investitura di Laurent Blanc sulla panchina transalpina. Dovrebbero esserci i titoli di coda del noir socio-politico-sessuale che ha visto protagonisti Domenech e i bleus prima, durante e dopo il Sudafrica. L'ex difensore di Napoli e Inter dovrà «riportare la Francia sui binari dal punto di vista sportivo e morale» ha detto il presidente dimissionario Escalettes. Come dire: stop ad atleti viziati e alle fazioni tra centro storico e banlieu.

Sudafrica Cambio in panchina anche per i padroni di casa. Il successo della manifestazione iridata non mitiga l'uscita nel turno preliminare dei Bafana Bafana. Carlos Alberto Parreira ha già fatto sapere che non si considera più il ct dei sudafricani (non sarebbe stato confermato). Al suo posto dovrebbe arrivare un tecnico locale, che faceva già parte del suo staff - era l'unico africano - tale Pitso Mosimane.

Corea del Sud Dimissioni anche per il ct della Corea del Sud Huh Jung Moo che «vuole dedicarsi ai suoi studi sul calcio» nonostante il buon torneo degli asiatici, eliminati negli ottavi, secondo risultato di sempre, dall'Uruguay.

Giappone Scriverà invece poesie e si dedicherà alla sua fattoria il giapponese Okada, che lascia la panchina nipponica, giunta a un passo dai quarti di finale contro il Paraguay.

Messico Sorprende invece la rinuncia all'incarico del tecnico del Messico Aguirre. La sua squadra è stata tra le rivelazioni del torneo, cedendo il passo solo all'Argentina.

Come vive la gente comune un Mondiale tanto atteso

Maazev Bill Hustov, 46 anni, di Città del Capo, proprietario di un ristorante a due passi dal Green Point. I suoi nonni sono arrivati da Mosca, città che non ha mai visto e che non sogna di vedere.

JOHANNESBURG, 3 luglio - Maazev Bill Hustov, 46 anni, di Città del Capo, proprietario di un ristorante a due passi dal Green Point. I suoi nonni sono arrivati da Mosca, città che non ha mai visto e che non sogna di vedere.

1) La favorita del Mondiale?
L'Olanda. Probabilmente l'abbiamo sottovalutata tutti.

2) Come segui il Mondiale?
Vedo tutte le partite, perché nel mio locale ho installato monitor ovunque.





3) Una cosa del Sudafrica che noi europei non notiamo.
I tifosi sudamericani sono i migliori, vengono, bevono, senza esagerare. E sono allegri. Quelli inglesi sono rubbish, dico io, da buttare via. Non hanno fatto incidenti, ma non mi piacciono, pensano di essere i padroni del mondo. Sono contento che siano usciti.

Massimo Basile - corrieredellosport.it

CALCIO, MONDIALI; CANNAVARO: TROPPE PAURE

Fabio Cannavaro torna a parlare del Mondiale in Sudafrica: "Troppe paure, sistema sbagliato, così siamo fuori. Nel primo tempo con la Slovacchia ho visto gente pallida vagare guardando nel vuoto. Ho capito che non ne venivamo fuori e nella mia mente pensavo che finire così proprio non volevo. Grandi campioni come Cristiano Ronaldo e Rooney sono a casa, perchè senza squadra non vai da nessuna parte. Solo Maradona ha vinto da solo. L'Inghilterra non me l'aspettavo ma è rimasta schiacciata dalla pressione. E poi guardate anche grandi campioni come Messi e Kakà quante difficoltà incontrano: solo perchè il gruppo funziona vanno avanti".(02/07/2010)(spr)

Solo l’arbitro va al patibolo. de l’Italo africano

di Italo Cucci

B uono il bilancio tecnico del Mondiale dopo gli ottavi. Miserrimo quello umano. E scusate se faccio prevalere il discorso degli arbitri - questa è la miseria ­sulla dovizia di dati tecnici e spettacolari.

Iermattina è “scomparso” Busacca, lo svizzero che solo poche ore prima era candidato a dirigere la finale. Motivazione principe: non lo utilizzavano mai; e l’intelligenza del villaggio precisava: lo risparmiano per il botto finale. Ancora non sappiamo perché sia stato fatto fuori, ma non é questo il problema: é con quale leggerezza, mentre si parla di ipotetiche innovazioni tecnologiche che non saranno mai radicali, si buttano gli arbitri/uomini nella monnezza metaforica che viene invece risparmiata a tutti gli altri protagonisti. Guardate non tanto Larrionda, che dovrà vedersela con gli uruguagi, e non credo che lo sbraneranno per non avere visto il gol di Lampard (funzione cannibalesca che piacerebbe semmai a Capello); guardate Rosetti, che ha atteso una vita di poter fischiare una finale mondiale dopo aver diretto l’ultimo atto di un Campionato d’Europa e di una Champions ed è rispedito in patria con ignominia per un fuorigioco non visto dall’assistente Ajroldi: per carità, chi sbaglia paga, ma come la mettiamo con il massacro mediatico cui è stato sottoposto, aggregato alla compagnia degli Italiani Perdenti (Lippi, la Nazionale e Capello) con un piacere rivelatore di un penoso disfattismo? I media insorgono contro questi Orrori Arbitrali e tuttavia - guarda un po’ - plaudono alla giovinezza e freschezza e allegrezza della Germania che ha giustamente fatto a pezzi l’Inghilterra; e accusano Rosetti per quel fuorigioco ignorato che ha consentito a Tevez di iniziare a fare a pezzi il Messico, ma le cronache non fanno altro che elogiare l’Argentina di Maradona, il Maradona dell’Argentina, così come minimizzano il fallo che avrebbe dovuto far cancellare il gol di Villa costringendo la Spagna a battersi fino in fondo per eliminare il Portogallo. Quegli errori, allora, sono umani o sono mostruosi?

Non sono forse una rappresentazione pratica della mano de Dio, la conferma che la terna arbitrale è solo e sempre una componente del gioco? Per il resto, dicevo, tutto bene: il Sudamerica avanza con una ventina di giocatori presi dal campionato italiano; Germania, Olanda e Spagna hanno i numeri per far immaginare almeno una finale, che so, fra rappresentanti dei due continenti padroni del calcio: ma c’è anche il Ghana, che mi sta diventando sempre più simpatico e che meriterebbe d’essere il Grande Incomodo in nome dell’Africa. In nome di Balotelli: se lo scellerato Mario si facesse furbo, visto che i tecnici d’Italia hanno la puzza al naso, un posto da re nel Ghana pallonaro non glielo negherebbe nessuno.

Prandelli, pensaci tu.
avvenire

Sorprese mondiali ed eclissi di stelle

Rooney e Ronaldo eliminati senza incidere; Kakà, Torres e Messi avanti senza gol. Unica ecceziona la coppia olandese formata da Sneijder e Robben. Lo spagnolo Villa è la grande sorpresa. Su 123 reti segnate sinora solo 11 provengono dalla nostra Serie A

DI MARCO BIROLINI - avvenire

Il Mondiale che non ti aspetti. Ar­gentina, Brasile e Spagna erano e restano le favorite, ma a spinger­le avanti finora sono stati gli attori di secondo piano. Kakà doveva essere la stella cometa della Seleçao, e inve­ce a brillare è l’astro di Luis Fabiano, centravanti del Siviglia che prima del torneo non figurava certamente nel ristretto club dei top player. Leo Mes­si era annunciato come uomo co­pertina, invece ecco sbucare la faccia ruvida di Gonzalo Higuain e i suoi quattro gol. Fernando Torres ha ta­gliato i capelli e sembra aver perso le forze, moderno Sansone. Ci ha pen­sato David Villa a togliere le castagne dal fuoco con quattro guizzi dei suoi. Il Barcellona si frega le mani, con­tento di aver speso bene i 40 milioni scuciti al Valencia. Quanto a Cristia­no Ronaldo e Wayne Rooney, le altre due superstar, hanno fatto la valigia ancor prima che qualcuno si accor­gesse della loro presenza. Le stelle, insomma, sono rimaste a guardare. Se non altro, Messi e Kakà hanno re­galato sprazzi del loro talento, il por­toghese e l’inglese invece hanno la­sciato in bocca il gusto amaro del­l’occasione perduta. Tra i fantastici quattro solo Ronaldo è andato in gol, troppo poco.

Ma altri numeri testimoniano l’eclis­si dei supercampioni. Il Castrol Index (elaborato dalla Fifa sulla base di pas­saggi, tiri e corsa per misurare in mo­do oggettivo il rendimento) vede Messi al 46° posto, Ronaldo all’89°, Rooney al 107° e Kakà addirittura al 200°. Higuain, per dire, è 15°, Villa 22°. Sempre a proposito di cifre, Milito è ancora a quota zero gol. L’uomo che ha firmato la tripletta interista è ri­masto a secco, oscurato dagli altri as­si della banda Maradona. A questo Mondiale mancano le reti “italiane”. Non solo gli azzurri hanno faticato a segnare, ma anche gli stranieri che giocano nel nostro campionato. Su 123 gol totali, solo 11 provengono dal­la serie A. Decisamente pochi, visto che ben 80 giocatori impegnati in Su­dafrica militano nelle nostre squadre. La quantità c’è, la qualità meno. L’u­nico a farsi onore è Sneijder con due gol: con Robben forma una coppia che fa sognare l’Olanda. Meglio dei “nostri” hanno fatto quelli di Liga (23 reti), Premier League (21) e Bunde­sliga (13). I bomber, insomma, abita­no altrove: non è un caso che Villa, Higuain, Luis Fabiano e Forlan gio­chino in Spagna. L’Italia si conferma Paese dedito al difensivismo: Brasile e Argentina sono dei bunker grazie a Samuel, Juan, Lucio, Maicon e Bur­disso.

Per divertirsi meglio guardare il Gha­na di Asamoah Gyan, uno dei tanti incompresi del nostro calcio (un al­tro è Tiago, resuscitato nel Portogal­lo), e soprattutto la Germania più ve­loce della storia. Una volta i panzer e­rano potenti ma lentissimi, adesso li costruiscono agili e scattanti. Merito della nazionale multietnica dipinta da Loew, signor nessuno capace di stupire. Il genio turco Ozil (21 anni) e il polacco Podolski sono i degni com­pari di Thomas Muller, che un anno fa era ancora un dilettante. Poi al Bayern è arrivato Van Gaal e il brutto anatroccolo si è trasformato in cigno: Capello ne sa qualcosa. Tra i prota­gonisti inattesi bisogna infilare pure l’Uruguay. Tabarez sta dimostrando che il Milan non aveva visto così ma­le quando lo chiamò nel 1996, salvo silurarlo poco dopo per richiamare Sacchi. Allenatore dai modi pacati e dallo sguardo malinconico, Tabarez ha saputo capitalizzare il talento di Forlan e Suarez, imbastendo alle lo­ro spalle una squadra vera e rogno­sa, capace di complicare la vita a chiunque. Dagli ottavi sono sbucati anche i cugini del Paraguay. Dopo la vittoria ai rigori sul Giappone il ct Martino piangeva a dirotto. C’è da ca­pirlo, visto che la nazionale sudame­ricana non era mai arrivata ai quarti. Altra sopresa l’ha regalata il Messico, con il suo gioco spumeggiante e i suoi giovani di belle speranze. Uno, Javier Hernandez, l’ha già preso il Manche­ster United per 7 milioni di euro. In Sudafrica ha segnato due reti: ha 22 anni e lo chiamano El Chicarito (il fa­giolino). Le squadre italiane lo han­no notato troppo tardi, come sempre più spesso accade quando c’è da comprare qualcuno capace di fare gol.

Mondiali, Blatter si scusa per gli errori arbitrali e apre alla tecnologia

Anche il conservatore Joseph Blatter sembra poter cedere all’introduzione di maggior tecnologia in campo. Il grande capo della Fifa dopo i clamorosi errori arbitrali che hanno condizionato Germania-Inghilterra (con un gol regolarissimo non visto) e Argentina-Messico (con la prima rete di Tevez in netto fuorigioco), chiede scusa alle squadre danneggiate.

Mondiali, Blatter si scusa per gli errori arbitrali e apre alla tecnologia

Dopo le scuse, il numero uno del calcio mondiale ha poi aperto alla tecnologia in campo: «Con un sistema assolutamente accurato e non complicato sarei favorevole, ma gli attuali sistemi, con tutto il rispetto per le aziende che li hanno ideati, non danno queste garanzie».

In particolare Blatter poi fa riferimento proprio all’episodio forse più clamoroso, quello di Germania- Inghilterra. La palla calciata da Lampard sbatte sulla parte bassa della traversa e tocca il suolo dopo aver superato la linea di porta di almeno un metro. Gli inglesi e i loro tifosi esultano, ma l’arbitro non vede la palla entrare e dice che il gioco può continuare.



Il presidente della Fifa prende ad esempio proprio questo caso, per spiegare la necessità di introdurre la moviola in campo per verificare se la palla ha varcato interamente la linea o meno.

Dunque finalmente un’apertura da parte dei vertici del calcio mondiale. Ormai tutti gli sport più importanti hanno adottato “l’instant replay” per verificare le situazioni poco chiare che inevitabilmente si creano durante una partita.

Nel basket per esempio, la moviola viene utilizzata per i canestri segnati all’ultimo secondo, mente nel rugby viene usato per verificare una meta sospetta.

Davide Antonicelli - barimia

La Nazionale sconfitta, specchio di un Paese che perde ovunque

di Roberto Carnerotutti

Gli Azzurri sconfitti ai Mondiali di calcio sono l’icona di un Paese perdente anche in molti altri settori». Così Nadia Urbinati, docente di Scienze Politiche alla Columbia University di New York, che continua: «Purtroppo non è soltanto il campionato di calcio quello in cui l’Italia oggi soccombe. Sono molte le “coppe del mondo” che stiamo vedendo sfumare: dall’economia alla cultura, non siamo messi affatto bene». La sconfitta della nazionale rientra dunque in un corso degli eventi che da qualche anno a questa parte – guarda caso da quando al governo c’è Lui – ha preso una piega decisamente negativa. Certo, c’è Silvio Berlusconi con il suo uso personalistico della politica, ma c’è anche un Paese profondamente diviso, una «squadra Italia» poco coesa al suo interno e poco incisiva nei confronti dell’esterno. Ne parliamo con Nadia Urbinati perché sta preparando un saggio sull’individualismo nella società moderna (che uscirà a fine anno da Laterza) e perché il suo ultimo libro, “Lo scettro senza il re” (Donzelli 2009), affrontava proprio il tema della partecipazione popolare nelle democrazie rappresentative e dell’azione indiretta dei cittadini (a livello di controllo e di stimolo) sull’azione della classe politica. Professoressa Urbinati, dunque di che cosa è sintomo la sconfitta della nazionale? «Di un’Italia che non sa scommettere sui propri talenti, su quelli più creativi e originali. Si lasciano a casa Cassano e Balotelli, perché hanno personalità, diciamo così, meno convenzionali, e si punta sul già noto, su ciò che ha funzionato in passato, ma non è detto che funzioni per il futuro. Come i fatti hanno dimostrato». L’Italia di oggi le appare così? «Purtroppo sì. Appare in questi termini soprattutto a chi la osservi dall’esterno. Un Paese fermo, immobile, timoroso. Il dinamismo berlusconiano è solo la maschera di un conservatorismo spinto. L’Italia sembra sempre più una nazione autoreferenziale. Lo vedo in queste settimane in cui mi trovo in Italia guardando i tg e leggendo i giornali: molte beghe politiche, molto gossip, pochissimo interesse per ciò che succede fuori dal nostro Paese, ma con cui dobbiamo inevitabilmente confrontarci se non vogliamo rimanere indietro». Quanto conta la fortuna (o, se vogliamo, il suo contrario) nel risultato di una squadra, che sia di calcio o di governo? Glielo chiedo perché Berlusconi non sembra essere stato molto fortunato. Tra catastrofi naturali, politiche ed economiche, a livello nazionale e planetario, da quando è al governo il Cavaliere ne sono capitate di tutti i colori... «Machiavelli nel “Principe” sosteneva che il successo dell’azione politica dipende per una metà dalla “virtù”, cioè dalle doti, dalle capacità di chi governa, e per l’altra metà dalla fortuna, cioè dal caso. Ma non è che quest’ultima componente sia qualcosa di assolutamente imponderabile: Machiavelli dice infatti che attraverso la “virtù” la “fortuna” può essere domata e indirizzata. La dote dote principale di chi governa consiste nel comprendere quali sono i problemi più urgenti, le sfide più importanti, le priorità da affrontare nell’azione politica. La politica italiana non sembra capace di cogliere le cose importanti. E così si rischia di perdere i treni che passano». A cosa si riferisce in particolare? «Faccio un solo esempio. Uno Stato che in un momento storico come questo taglia drasticamente i fondi a scuola, università e istituzioni culturali, dimostra di non aver capito nulla su come si possa uscire da un momento di crisi. Perché così facendo rinuncia al suo futuro. Tagliare in questi settori così strategici come la ricerca e l’istruzione significa tarpare le ali all’intelligenza e alla creatività, puntare su un Paese non di creatori, ma di semplici consumatori, favorire la docilità e il conformismo, più che l’originalità, il genio, il talento. Perché queste sono cose che si sviluppano là dove è accolto e valorizzato lo spirito critico. Ma questo, di segno del tutto opposto, è forse proprio il progetto consapevole di chi sta oggi al governo in Italia: gente che pensa soltanto ai propri interessi personali e non al bene della nazione che ha avuto il mandato di amministrare nel miglior modo possibile. Cosa che sfido chiunque ad affermare che stia avvenendo. Oltre al malgoverno, però, c’è anche qualcos’altro, a mio avviso è ancora più grave». Cioè? «Il totale disprezzo delle regole, comprese quelle fissate dalla Costituzione. Domina l’idea che ogni limite si possa aggirare, che tutto si possa comprare. Così si fa ministro un signore per evitargli un processo: vedi Aldo Brancher. Ma, per tornare ai mondiali, anche una battuta come quella di Bossi, per cui l’Italia si sarebbe comprata la vittoria contro la Slovacchia, è sintomatica e anche dannosa». In che senso? «È sintomatica di quella mentalità diffusa di cui parlavo, cioè dell’idea che con i soldi si possa sistemare tutto. Ed è dannosa perché rimanda all’immagine di un’Italia corrotta, in cui domina l’illegalità. Dico dannosa perché rafforza una percezione negativa del nostro Paese, che ha oggettivamente alcuni problemi di criminalità organizzata, presso i possibili investitori esteri: i quali così rimangono perplessi e sempre più riluttanti a portare i capitali dell’industria in uno Stato che non offre le minime garanzie». Ma a Bossi forse fa gioco veicolare proprio questa immagine negativa dell’Italia, visto che lui si riconosce nella fantomatica Padania... «Trovo che questa sia una cosa davvero ridicola, soprattutto quando sento parlare Bossi e altri esponenti della Lega Nord di secessione. È ridicolo che una formazione politica fomenti sentimenti di odio all’interno di una nazione. Soprattutto uno come Bossi: che coerenza ha un uomo che grida “Roma ladrona” e poi siede a Palazzo Chigi? Nessuno gli fa notare l’insensatezza, l’intrinseca contraddizione di un simile comportamento?».

unita.it

Ratzinger: calcio, paradiso in terra

il caso

Il binomio «panem et circenses» non spiega il fascino del gioco. Esso spopola perché unisce un’eco della liberazione dell’uomo dal tempo a regole ferree e intenti comuni.

In epoca di Mondiali, la sorprendente analisi del futuro Pontefice
«No all’industria del gioco, il campo insegni la disciplina»

DI GIACOMO SAMEK LODOVICI - avvenire

I l testo che qui pubblichiamo, scritto dall’allora cardinal Ratzinger, può risultare sorprendente per chi non ne conosca l’autore, in particolare i suoi detrattori. Infatti, oltre ad essere un testo antropologicamente profondo, contribuisce a far luce sulla sua personalità, perché mostra che Benedetto XVI non è un arcigno moralista o un intellettuale snob che disprezza le manifestazioni sportive, soprattutto se interessano le masse.

L’attuale Papa è tutt’altro che un uomo duro ed inflessibile, piuttosto è una persona mite e affettuosa, come palesò la sua commozione quando celebrò il funerale del suo predecessore, o come è risultato evidente in vari momenti del pontificato, per esempio nell’incontro con alcuni senza tetto o con alcune vittime degli abusi di alcuni preti. Nel contempo egli è saldo nel difendere strenuamente la dignità umana e la fede dei semplici.

Questo testo sui mondiali di calcio spiega le ragioni del fascino che essi esercitano. Lungi da moralismi (spiegare l’interesse per questa manifestazione riducendolo alla logica del

panem et circenses o solo con l’efficacia del marketing commerciale), Ratzinger svolge un’analisi della natura del gioco, e del calcio in particolare, che – spiega – tocca qualcosa di radicalmente umano. Infatti, nel calcio avviene una felice sintesi tra la libertà (che trascende le necessità della vita quotidiana ed asseconda una nostalgia per un Paradiso perduto, anticipando la dimensione di quello futuro) e le regole dell’interazione, una sintesi dove la libertà è possibile grazie alle regole (e perciò educa alla vita).

Il tema del gioco è molto affascinante ed ha suscitato l’attenzione di numerosi autori.

Esso è un’attività libera (un gioco svolto per costrizione diventa altro, per esempio un lavoro), esercitata in vista dell’interruzione della fatica del corpo, del riposo dello spirito, della sua distrazione e del suo divertimento, che inoltre esprime la creatività della persona, nonché la sua capacità di distaccarsi dalle attività pragmatiche per compiere un agire «autotelico», cioè fine a se stessa, dato che non rinvia ad uno scopo di utilità, interesse o bisogno materiale.

Risponde semmai a bisogni estetici – in quanto il gioco crea qualcosa di nuovo e di personale, di ben costruito, è una modalità dell’attività artistica–- ed al desiderio dello spirito. Quest’ultimo, infatti, anela sia all’autorealizzazione del sé, e nel gioco si cerca di dare appunto il meglio di se stessi in quella sfera, sia ad una dimensione dell’esistenza, di cui il gioco è anticipazione, in cui la regola non è più minimamente in antitesi con la spontaneità: perciò il bambino – nella cui vita la dimensione del gioco è costitutiva – è insieme origine dell’esistenza umana e figura di Tempi Nuovi, ultraterreni.

In effetti, se si trasgrediscono le regole, il mondo del gioco crolla, perciò 'il giocatore che si sottrae alle regole è un guastafeste» (come ha sottolineato Johan Huizinga, uno storico che ha investigato acutamente il fenomeno ludico nel suo Homo ludens). Egli guasta la malìa di un modo d’essere che è festa, pur essendovi delle regole, e che è prefigurazione della Festa.

Ma è un guastafeste anche chi non prende sul serio il gioco. E questo ci dice che nel gioco c’è non soltanto gioiosità, piacere e leggerezza, ma anche la serietà (che è diversa dalla seriosità), così palese nell’impegno che in esso riversano i bambini, ed allude alla serietà-gioiosa della beatitudine eterna.

Quest’ultima è superamento di tutto ciò che è pesante, doloroso e oppressivo nel quotidiano, è il raggiungimento del proprio compimento, la questione più importante dell’uomo.

la riflessione

«Lo sport è evasione dalla serietà schiavizzante del quotidiano per la serietà del bello»

DI JOSEPH RATZINGER

R egolarmente ogni quattro anni il campionato mondiale di calcio si di­mostra un evento che affascina cen­tinaia di milioni di persone. Nessun altro av­venimento sulla terra può avere un effetto altrettanto vasto, il che dimostra che questa manifestazione sportiva tocca un qualche e­lemento primordiale dell’umanità e viene da chiedersi su cosa si fondi tutto questo potere di un gioco. Il pessimista dirà che è come nell’antica Roma. La parola d’ordine della massa era: panem et circenses , pane e circo. Il pane e il gioco sarebbero dunque i contenuti vitali di una società decadente che non ha altri obiettivi più elevati. Ma se anche si accettasse questa spiegazione, es­sa non sarebbe assolutamente sufficiente. Ci si dovrebbe chiedere ancora: in cosa risie­de il fascino di un gioco che assume la stes­sa importanza del pane? Si potrebbe ri­spondere, facendo ancora riferimento alla Roma antica, che la richiesta di pane e gio­co era in realtà l’espressione del desiderio di una vita paradisiaca, di una vita di sazietà senza affanni e di una libertà appagata. Per­ché è questo che s’intende in ultima anali­si con il gioco: un’azione completamente li­bera, senza scopo e senza costrizione, che al tempo stesso impegna e occupa tutte le forze dell’uomo. In questo senso il gioco sa­rebbe una sorta di tentato ritorno al para­diso: l’evasione dalla serietà schiavizzante della vita quotidiana e della necessità di gua­dagnarsi il pane, per vivere la libera serietà di ciò che non è obbligatorio e perciò è bel­lo.

Così il gioco va oltre la vita quotidiana. Ma, soprattutto nel bambino, ha anche il carat­tere di esercitazione alla vita. Simboleggia la vita stessa e la anti­cipa, per così dire, in una maniera libera­mente strutturata. A me sembra che il fa­scino del calcio stia essenzialmente nel fatto che esso colle­ga questi due aspetti in una forma molto convincente. Costringe l’uomo a imporsi u­na disciplina in modo da ottenere con l’al­lenamento, la padronanza di sé; con la pa­dronanza, la superiorità e con la superio­rità, la libertà. Inoltre gli insegna soprattut­to un disciplinato affiatamento: in quanto gioco di squadra costringe all’inserimento del singolo nella squadra. Unisce i giocato­ri con un obiettivo comune; il successo e l’insuccesso di ogni singolo stanno nel suc­cesso e nell’insuccesso del tutto. Inoltre, in­segna una leale rivalità, dove la regola co­mune, cui ci si assoggetta, rimane l’ele­mento che lega e unisce nell’opposizione. Infine, la libertà del gioco, se questo si svol­ge correttamente, annulla la serietà della ri­valità. Assistendovi, gli uomini si identifica­no con il gioco e con i giocatori, e parteci­pano quindi personalmente all’affiatamen­to e alla rivalità, alla serietà e alla libertà: i gio­catori diventano un simbolo della propria vi­ta; il che si ripercuote a sua volta su di loro: essi sanno che gli uomini rappresentano in loro se stessi e si sentono confermati. Natu­ralmente tutto ciò può essere inquinato da uno spirito affaristico che assoggetta tutto alla cupa serietà del denaro, trasforma il gio­co da gioco a industria, e crea un mondo fit­tizio di dimensioni spaventose.

Ma neppure questo mondo fittizio potreb­be esistere senza l’aspetto positivo che è al­la base del gioco: l’esercitazione alla vita e il superamento della vita in direzione del pa­radiso perduto. In entrambi i casi si tratta però di cercare una disciplina della libertà; di esercitare con se stessi l’affiatamento, la rivalità e l’intesa nell’obbedienza alla rego­la. Forse, riflettendo su queste cose, po­tremmo nuovamente imparare dal gioco a vivere, perché in esso è evi dente qualcosa di fondamentale: l’uomo non vive di solo pane, il mondo del pane è solo il preludio della vera umanità, del mondo della libertà. La libertà si nutre però della regola, della di­sciplina, che insegna l’affiatamento e la ri­valità leale, l’indipendenza del successo e­steriore e dell’arbitrio, e diviene appunto, così, veramente libera. Il gioco, una vita. Se andiamo in profondità, il fenomeno di un mondo appassionato di calcio può darci di più che un po’ di divertimento.