Don Massimiliano Gabbricci con Mario Balotelli - VaticanNews
«Domma, ma lei come fa a conoscere e ad essere amico di tutti stì campioni: Chiesa, Chiellini, il ct Mancini…?», domandano sbalorditi i ragazzi senesi dell’oratorio del Costone al loro don che sorride divertito ricordando l’episodio. Un siparietto che si ripete puntuale ad ogni telefonata o videochiamata dei suoi amici calciatori, famosi. Il don è Massimiliano Gabbricci, classe 1971, phisique du role e teatralità da tosco verace, alla Carlo Monni per intenderci. «Senese da parte di padre e di Castelfiorentino per parte materna, le due città dove sono cresciuto e dove ho coltivato la passione per il calcio e per il basket, prima di rispondere alla chiamata del Signore», racconta dal palco del convegno internazionale “Mettere la vita in gioco” al quale è stato convocato dal Dicastero per la Cultura e l’Educazione. Don Massimiliano è un pilastro del Costone, il Ricreatorio Pio II di Siena, ma anche la voce spirituale del calcio italiano. «Dal 2006 al 2022 sono stato il cappellano della Fiorentina, che è anche la mia squadra del cuore». Un record assoluto, sedici anni affianco ai viola: come il “Domma”, così come lo chiamano tutti i calciatori, nessuno mai. E dal 2012 è diventato anche il cappellano della Nazionale. Quindi per un decennio doppio impegno, viola e azzurri, con tanto di turnover cadenzato dalle numerose altre attività oratoriali quotidiane della sua parrocchia. A partire da quella del San Michele a Firenze «dove nella squadra oratoriale della Cattolica Virtus sono sbocciati dei campioni del mondo come Paolo Rossi e Andrea Barzagli e lì ho visto crescere un portierino, Alessio Cragno che poi è diventato uno dei migliori portieri italiani, tant’è che l’ho ritrovato in Nazionale». Ma sono tante le belle sorprese che ha vissuto in tutto questo tempo a contatto con il mondo del calcio. «Vero. Non immaginavo mai che, dovendomi occupare in questi ragazzi, bollati sempre superficialmente dai media e dalla gente come dei “milionari”, punto, avrei trovato tanta ricchezza umana. Qui dove pensavo di non trovare nulla, alla fine esco sempre con una bisaccia piena zeppa di cose belle e davvero sorprendenti, per le quali non posso che essere grato al Signore. Dopo dodici anni al fianco della Nazionale, ma anche prima con i ragazzi della Fiorentina, posso tranquillamente dire che è molto di più quello che ho imparato da loro, rispetto agli insegnamenti che posso avergli trasmesso… O forse toh, abbiamo fatto pari», sorride don Massimiliano che oltre alla parola del Vangelo nello spogliatoio ha portato anche il suo bagaglio di studioso di filosofia. «Per confrontarmi e prepararmi al meglio ho studiato molti testi di filosofia dello sport. E questo mi ha aiutato a stringere delle relazioni forti con i calciatori che seguo ormai anche fuori dal campo. Alcuni di loro li ho sposati e persino cresimati. Ho battezzato i loro figli e li ho seguiti nei momenti duri di crisi professionale e matrimoniale o nel lutto familiare».
Un don sempre al loro fianco, a cominciare da quel primo Europeo di Polonia Ucraina 2012. «L’allora ct Cesare Prandelli, ex allenatore della Fiorentina, poco prima degli Europei mi chiamò a dire Messa a Coverciano e quei giorni di preparazione furono bellissimi. Sfiorammo il titolo (Italia sconfitta in finale dalla Spagna dei fenomeni) ma a cominciare da Mario Balotelli, un ragazzo dal cuore infinitamente buono, fu l’inizio di tante amicizie che sono proseguite nel tempo». L’uomo in più degli azzurri, nella gioia e nel dolore. «Le gioie per fortuna sono state di più, e non parlo solo delle vittorie in campo, come quella dell’ultimo Europeo del 2021. Il dolore più grande invece rimane la perdita improvvisa del capitano della Fiorentina Davide Astori». Si ferma un attimo don Massimiliano, perché la commozione lo marca stretto, a uomo. «Quel 4 marzo 2018 non lo dimenticherò mai. Avevo appena celebrato la Messa nella chiesa di San Michele e mi stavo togliendo i paramenti quando vengono in sagrestia e mi comunicano la tragica notizia: “Davide è morto”. L’avevo visto qualche giorno prima e come sempre era stato un incontro intenso, perché Astori era un ragazzo carismatico, un leader silenzioso, in campo e fuori, e lo dimostrano come i tanti semi che ha lasciato su questa terra stanno fruttificando continuamente in opere di bene e in testimonianze che parlano del grande amore che aveva per il calcio e per la vita. Io da Davide ho imparato tanto, anzi quasi tutto». C’è un’altra cometa che è passata sopra il cielo degli azzurri e che ha lasciato una scia indelebile, anche nel cammino del Domma, parliamo di Gianluca Vialli. «Quando ripenso a Luca rivedo la festa del suo compleanno, il 9 luglio e la gioia di stare insieme a quei ragazzi della Nazionale. E come dimenticare il discorso che fece alla squadra prima della finale di Wembley… In quelle parole non li invitava semplicemente a centrare un traguardo sportivo, ma gli chiedeva di andare oltre. E Luca lo faceva, andava sempre oltre, con quella luce negli occhi e quella spiritualità che ti colpiva e che gli ha permesso di affrontare la malattia con una serenità da uomo straordinario e da cristiano che aveva trovato dentro di sé una fede incrollabile, che ha trasmesso a tante persone a lui care». L’abbraccio e le lacrime dopo la vittoria degli Europei con Roberto Mancini sono un atto di fede, nell’amicizia e nell’amore verso l’altro. «Anche adesso che è in Arabia Saudita, Roberto lo sento spesso telefonicamente. Mancini è un ragazzo speciale, uno cresciuto all’oratorio di Jesi e che non ha mai smesso di cercare attraverso la devozione sincera come quella che nutre per la Madonna di Loreto». Tanti hanno gridato al “miracolo” quando nel 2021 gli azzurri hanno trionfato agli Europei, un titolo che nella bacheca di Coverciano mancava dal lontano 1968. «La forza di quella squadra era proprio l’essere formata da tanti ragazzi provenienti, come Mancini e Vialli, dall’oratorio. Un gruppo compatto e pieno di speranze fin dal ritiro. L’ultima sera, prima dell’inizio dei campionati, ricordo che Donnarumma, Chiellini e Bonucci mi presero da parte e prima di salutarmi mi chiesero: “Domma, ma tu che ne pensi, come andrà questo Europeo? Io li guardai e sospirando risposi: ragazzi tranquilli, si vince. Mi abbracciarono forte e quando tornarono si ricordavano di quelle mie parole... Non era stata una profezia, era la sensazione di benessere e serenità che trasmettevano ognuno di loro che hanno giocato e vissuto quell’esperienza davvero in grazia di Dio». Tre anni dopo molto di quel gruppo azzurro è cambiato e alla guida della Nazionale ora c’è un altro toscano doc, il ct Luciano Spalletti. «Lo conosco da quando aveva ancora i capelli e giocava nel Castelfiorentino – sorride don Gabbricci - . Anche Luciano possiede una grande spiritualità e l’ha dimostrato con la carriera da allenatore che ha fatto. È un uomo che anche nei momenti difficili sa trasmettere la giusta carica ai giocatori. Spalletti sta costruendo un gruppo importante e anche se il nostro girone è il più difficile agli Europei possiamo far bene. L’obiettivo comunque è crescere e arrivare al meglio per i Mondiali del 2026, quando personalmente potrei anche salutare – si ferma un attimo e sorride con un velo di tristezza - . Beh, dopo quattordici anni sarebbe giusto che anche qualcun altro, magari un giovane don, provi questa esperienza così forte e importante di pastorale sportiva come quella che ho la fortuna di vivere ancora».
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