La Ferrari continua ad arrancare e da anni il Cavallino non è più vincente in Formula 1. Oltre a Giovinazzi piloti italiani non se ne vedono più e presto anche l’Alfa Romeo potrebbe lasciare il Circus
Charles Leclerc, 24 anni, pilota della Ferrari - Paul Vaicle
da Avvenire
Magari sarà per la prossima volta, l’anno prossimo. Magari, o magari no, ad ogni modo in Formula 1 non si tornerà a parlare italiano, sul primo gradino del podio generale, nel 2022: il fine settimana di Spa-Francorchamps ha avuto se non altro il merito distruggere i residui castelli di sabbia di un’estate non esattamente da ricordare per la Ferrari. Sono 118 i punti che dividono la scuderia di Maranello dalla Red Bull, iridata in pectore, mentre almeno il sesto posto di Leclerc e il terzo di Sainz, stante il ritiro di Hamilton, hanno consentito alla Ferrari di allungare a +41 il vantaggio sulla Mercedes, vantaggio che si era pericolosamente assottigliato nei tre gran premi precedenti. Tant’è: oltre al titolo costruttori, è inutile sperare in quello piloti, con il monegasco lontano 98 punti da un Verstappen che è ancora una spanna superiore, peccato però che nel frattempo Leclerc sia stato sorpassato in generale anche da Sergio Perez, condizione, questa, reversibile, ma che oggi rende ancora un po’ più amara la lettura delle classifiche in chiave Ferrari, e dunque in chiave di un’Italia che in Formula 1 da troppo tempo non riesce ad essere vincente, anche quando torna in qualche modo protagonista.
E dire che sono state nove le pole ferrariste (considerando anche quella del Belgio, dovuta alla penalità di Verstappen) contro le quattro della Red Bull e l’unica ottenuta dalla Mercedes, senza contare i cinque giri veloci delle rosse (sei Red Bull, due Mercedes, uno McLaren) fatti registrare da Leclerc, tre volte nelle prime tre gare, e Sainz, quest’ultimo in Canada e Francia. Del resto, tutte le speranze italiane rimangono e sono destinate a rimanere ancorate alla Ferrari, perché in Formula 1 l’Italia non corre più. Passi il ritorno nelle libere con la Haas - a Monza e ad Austin - di Antonio Giovinazzi, ma a livello di piloti e costruttori, lontano da Maranello c’è il vuoto. Perché sì, Alpha Tauri avrà anche sede a Faenza e licenza italiana, ma è un’altra cosa da tempo ormai, e comunque in questa stagione la scuderia è andata a punti appena in sette occasioni ed era dal 2018, quando ancora si chiamava Toro Rosso, che non incappava in un’annata così povera di risultati. In casa Haas, dove il motore è Ferrari e resta la collaborazione aerodinamica con Dallara, le cose vanno un po’ meglio, nel senso che i risultati sono i migliori dell’ultimo quadriennio, ma si tratta di briciole.
Sarà che lo scorso weekend Imola ha ospitato l’Historic Minardi day, sarà che in quel contesto di amarcord si sono riviste vetture realmente tricolori e si sono riaffacciati al paddock romagnolo piloti italiani che hanno fatto parte del Circus per anni (Patrese, Nannini, Martini, ma anche Montermini, Badoer, Morbidelli), sarà che il brand Alfa Romeo - inteso come marchio, perché non è una scuderia - abbandonerà la Sauber e pertanto, verosimilmente, anche la Formula 1, sarà anche e soprattutto che per gli investitori italiani il Circus non è più strategico, fatto sta che si deve restare aggrappati alle lune della Ferrari per non farsi prendere da passatismo e nostalgismo di quando l’Italia contava qualcosa. Sponsor, costruttori - Benetton - e una scuola di piloti, si pensi all’indimenticato Alboreto per limitarsi agli anni Ottanta, che non subivano i sorpassi, virtuali dal punto agonistico ma terribilmente reali da quello pratico, dei colleghi sponsoriferi, i piloti con la valigia. Le ricchezze e le visioni, anche di propaganda, dei nuovi mercati hanno spinto fuori pista l’Italia della Formula 1 e oggi l’inerzia appare ben difficile da invertire, ecco perché anche una Ferrari che arriva seconda e si conferma in crescita - e che cioè fa meglio del 2020, sesta, e al 2021, terza ma lontanissima dalla Red Bull seconda - per paradosso attiva principalmente il senso della frustrazione nel suo stuolo di appassionati e la delusione di quelli che attendono il carro vincente per salirci sopra e festeggiare. Ma non si può chiedere esclusivamente a Maranello di risollevare la bandiera tricolore in un automobilismo nel quale, oggi, l’Italia è periferia.