La Lazio la tappa più importante, il derby la sua rivincita. Marco
Ballotta, sei anni in biancoceleste, una vita da portiere. Ha disputato
la stracittadina con la Roma, era titolare il 18 marzo del 2008, la
Lazio di Delio Rossi riuscì a battere i cugini grazie ad un gol di
Behrami al 90'. L'apoteosi, un derby indimenticabile, Ballotta c'era.
Finalmente protagonista, finalmente numero uno. Presente, ma in
panchina, anche nella stagione del poker contro Zeman. Più importante di
uno scudetto o di una coppa Italia, superare la Roma ha sempre un
sapore speciale. Marco non ha ancora smesso, gioca e si diverte, ha
cambiato ruolo, adesso fa l'attaccante nel San Cesareo. Ds, jolly in
campo e presto tecnico. Lo ha promesso, non si arrenderà facilmente. Ma
adesso c'è il derby e stavolta da spettatore. Con quale spirito
affrontava la settimana del derby? «Ma chiaramente stiamo parlando di
una partita stranissima, dalle mille emozioni. In una città come Roma si
sente molto la pressione di una gara come questa, il vero problema è
prima dell'inizio della gara e non i novanta minuti stessi. Ho avuto la
fortuna di giocarne alcuni e di vincerli anche, è una sfida speciale.
Unica direi». Quale partita con la Roma ricorda con più affetto?
«Tutte quelle che ho giocato. Quella che porto nel cuore però è legata
al gol vittoria di Beharami allo scadere, tra l'altro nel primo tempo
fece un autogol incredibile, fu molto curioso. E poi senza dubbio i 4
derby di fila nella stagione 97-98. I miei compagni che avevano militato
nella squadra di Zeman l'anno prima conoscevano molto bene il modo di
giocare e i movimenti dei giallorossi. Quei successi non arrivarono per
caso». Marchetti, Bizzarri e Carrizo. Cosa pensa dei portieri della
Lazio? «Stiamo parlando di tre numeri uno, non vorrei essere nei panni
di Petkovic. Sono tre grandi giocatori, è chiaro che il titolare è
Marchetti, ma gli altri due giocherebbero in qualsiasi squadra. Forse
qualcuno dovrà partire a gennaio. Quando ci sono situazioni del genere
bisogna solo metterli d'accordo». E di Goicoechea? «Può giocarsi le sue
chance in campo. Se riesce a convincere il tecnico, la società e
l'ambiente, può scavalcare Stekelenburg. Dipende tutto da lui,
lasciamolo crescere anche perché ha dimostrato di avere qualità. Secondo
me può diventare un ottimo portiere». Petkovic e Zeman,chi arriva
meglio secondo lei all'appuntamento? «Il laziale ha dimostrato di
essere un buon allenatore, non era facile fare così bene al primo anno
in Italia. Zeman lo conosciamo tutti, può fare grandi cose ed altre meno
positive, ma resta un grandissimo tecnico. Per esperienza arriva al
derby sicuramente meglio, ma non sottovaluterei il bosniaco». Ballotta
come si è lasciato con la Lazio? «Ci sono stati dei problemi che ci
hanno diviso. Mi è dispiaciuto perché potevo ancora dare qualcosa».
iltempo.it
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Derby d'Italia: per stabilire chi comanda Domani a Torino l'attesa sfida tra la Juve capolista e l'Inter
Simone Pieretti
I nerazzurri per sognare, i bianconeri per volare. Juventus-Inter, ovvero il derby d'Italia. L'etichetta fu trovata dal geniale Gianni Brera all'inizio degli anni sessanta, per enfatizzare la sfida tra i due club più titolati d'Italia. A distanza di anni l'etichetta tiene ancora, e poco importa se - nel contempo - il Milan è diventato il club più titolato del mondo. Juventus e Inter restano le squadre col maggior numero di tifosi, tanto basta per accendere la passione degli sportivi bianconerazzurri. In classifica gli uomini di Conte hanno quattro punti di vantaggio sulla formazione di Stramaccioni, reduce dal sesto successo consecutivo in campionato. In casa la Juve ha sempre vinto, in trasferta anche l'Inter non conosce altro risultato: cinque partite, quindici punti. Uno dei due primati è destinato inevitabilmente a subire una battuta d'arresto. I bianconeri hanno il miglior attacco (22) e la miglior difesa (5), la formazione meneghina segna un po' meno (19) e subisce qualcosa in più (nove reti). L'Inter è l'antiJuve: non lo dicono opinionisti e critica, lo afferma - con decisione - la classifica del campionato. La formazione juventina è una realtà consolidata, quella nerazzurra un gruppo del tutto nuovo pronto a intraprendere la scalata al vertice, con un tecnico giovane e dalle idee chiare. La rivalità è quantomai accesa, una rivalità che nasce nella lontana primavera del 1961 quando le due squadre si sfidano a Torino. Prima contro seconda: lo stadio registra il tutto esaurito, ci sono tanti tifosi, troppi. Tanto che si lasciano andare a un'invasione pacifica. L'arbitro Gambarotta di Genova interrompe la partita. Dieci giorni dopo arriva la sentenza: due a zero a tavolino per i nerazzurri. Ma la Juventus del presidente Umberto Agnelli presenta ricorso alla Caf che - alla vigilia dell'ultima di campionato, con le squadre appaiate in testa - decide di far rigiocare la partita. La Juve, tolti di due punti all'Inter, torna in testa con due punti di vantaggio, e ai bianconeri basta un pareggio casalingo col Bari per cucirsi lo scudetto sul petto. Il presidente federale è Umberto Agnelli, particolare di non poco conto. Angelo Moratti - a quel punto - decide di mandare in campo nel replay con la Juve la squadra Primavera col virgulto Sandrino Mazzola: finisce nove a uno per i bianconeri. La miccia è accesa, il resto è storia recente: Ronaldo e Iuliano, un rigore monumentale non assegnato e uno scudetto sottratto al mite Gigi Simoni dalla sciagurata decisione dell'arbitro Ceccarini. Poi gli spionaggi industriali sbandierati dalla Triade juventina Moggi-Giraudo-Bettega, coi loro telefonini sotto controllo e le schede svizzere da consegnare ai fedelissimi della Cupola. Infine Calciopoli, lo scudetto di cartone, la restrocessione della Juve in serie B e le mille polemiche infinite. C'è tutto per arricchire una sfida già impreziosita dai talenti che scenderanno in campo: la classe di Pirlo, e il talento di Cassano, l'esperienza di Buffon, e l'astuzia di Milito, la concretezza di Vidal, e i muscoli d'acciaio di capitan Zanetti. Domani la Juve cercherà il cinquantesimo risultato utile consecutivo in campionato, l'Inter non ha alcuna intenzione di partecipare alle nozze d'oro bianconere.
Il Tempo 2 Novembre 2012
I nerazzurri per sognare, i bianconeri per volare. Juventus-Inter, ovvero il derby d'Italia. L'etichetta fu trovata dal geniale Gianni Brera all'inizio degli anni sessanta, per enfatizzare la sfida tra i due club più titolati d'Italia. A distanza di anni l'etichetta tiene ancora, e poco importa se - nel contempo - il Milan è diventato il club più titolato del mondo. Juventus e Inter restano le squadre col maggior numero di tifosi, tanto basta per accendere la passione degli sportivi bianconerazzurri. In classifica gli uomini di Conte hanno quattro punti di vantaggio sulla formazione di Stramaccioni, reduce dal sesto successo consecutivo in campionato. In casa la Juve ha sempre vinto, in trasferta anche l'Inter non conosce altro risultato: cinque partite, quindici punti. Uno dei due primati è destinato inevitabilmente a subire una battuta d'arresto. I bianconeri hanno il miglior attacco (22) e la miglior difesa (5), la formazione meneghina segna un po' meno (19) e subisce qualcosa in più (nove reti). L'Inter è l'antiJuve: non lo dicono opinionisti e critica, lo afferma - con decisione - la classifica del campionato. La formazione juventina è una realtà consolidata, quella nerazzurra un gruppo del tutto nuovo pronto a intraprendere la scalata al vertice, con un tecnico giovane e dalle idee chiare. La rivalità è quantomai accesa, una rivalità che nasce nella lontana primavera del 1961 quando le due squadre si sfidano a Torino. Prima contro seconda: lo stadio registra il tutto esaurito, ci sono tanti tifosi, troppi. Tanto che si lasciano andare a un'invasione pacifica. L'arbitro Gambarotta di Genova interrompe la partita. Dieci giorni dopo arriva la sentenza: due a zero a tavolino per i nerazzurri. Ma la Juventus del presidente Umberto Agnelli presenta ricorso alla Caf che - alla vigilia dell'ultima di campionato, con le squadre appaiate in testa - decide di far rigiocare la partita. La Juve, tolti di due punti all'Inter, torna in testa con due punti di vantaggio, e ai bianconeri basta un pareggio casalingo col Bari per cucirsi lo scudetto sul petto. Il presidente federale è Umberto Agnelli, particolare di non poco conto. Angelo Moratti - a quel punto - decide di mandare in campo nel replay con la Juve la squadra Primavera col virgulto Sandrino Mazzola: finisce nove a uno per i bianconeri. La miccia è accesa, il resto è storia recente: Ronaldo e Iuliano, un rigore monumentale non assegnato e uno scudetto sottratto al mite Gigi Simoni dalla sciagurata decisione dell'arbitro Ceccarini. Poi gli spionaggi industriali sbandierati dalla Triade juventina Moggi-Giraudo-Bettega, coi loro telefonini sotto controllo e le schede svizzere da consegnare ai fedelissimi della Cupola. Infine Calciopoli, lo scudetto di cartone, la restrocessione della Juve in serie B e le mille polemiche infinite. C'è tutto per arricchire una sfida già impreziosita dai talenti che scenderanno in campo: la classe di Pirlo, e il talento di Cassano, l'esperienza di Buffon, e l'astuzia di Milito, la concretezza di Vidal, e i muscoli d'acciaio di capitan Zanetti. Domani la Juve cercherà il cinquantesimo risultato utile consecutivo in campionato, l'Inter non ha alcuna intenzione di partecipare alle nozze d'oro bianconere.
Calcio/ Lazio, Reja: Derby? Spero vada come all'andata
Partita importante, anche per l'ambiente
Milano, (TMNews) - "È una partita di un'importanza fondamentale per i tre punti, ma anche per l'ambiente. Spero che la Lazio regali altre gioie come quelle dell'andata".
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