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Mourinho “normal one” «Il mio credo speciale»

Il vero Josè Mourinho si è “confessato” a Fogli, l’inserto di “Studi Cattolici” e per gentile concessione pubblichiamo questa intervista. Un Mourinho molto umile e pacato.

Il vero “Special One” fa il modesto dopo i tre “tituli” - Coppa Italia, Scudetto e Champions League - del Grande Slam interista?
«Non sono modesto, sono credente».

Credente o superstizioso?
«Qualcuno mi aveva visto stringere un crocifisso durante una partita. Almeno una volta all’anno vado in pellegrinaggio a Fatima. Il crocifisso che porto con me è un regalo di mia moglie».

A proposito di crocifisso, che cos’era successo con il Sindaco di Reggio Calabria?
«Mi aveva accusato di avere dato una moneta a un bambino disabile per umiliarlo. Invece a quel bambino avevo donato il mio crocifisso. Mia moglie l’aveva comprato a Fatima e lo tenevo in tasca da tre-quattro anni».

Riesce a essere criticato anche quando fa un gesto affettuoso.
«Si vede che sono sfortunato...».

Come sconfigge la sfortuna?
«Con la preghiera».

Prega molto?
«Sono cresciuto in una famiglia religiosa».

Chi Le ha insegnato a pregare?
«Mia madre. E ricordo ancora certe preghiere che mi faceva dire la sera».

Ha un santo di riferimento?
«La Madonna di Fatima».

Con chi è andato la prima volta al Santuario di Fatima?
«Con mia madre. E da allora il 13 maggio è una ricorrenza molto importante per me e per la mia famiglia».

Sua madre la portava a Fatima mentre Suo padre Félix, ex portiere portoghese, sui campi di calcio.
«Mio padre viveva per il calcio. Io gli devo tutto».

Oltre agli schemi tattici in campo le ha dato dei suggerimenti anche per la vita?
«Onestà e lealtà verso il prossimo».

Che valori ha trasmesso ai suoi figli?
«Gli stessi».

Compreso l’insegnamento cattolico?
«Se n’è occupata soprattutto mia moglie».

Un papà forse un po’ assente?
«Quando posso, vado a prendere i miei figli a scuola e sto con loro. Mi ripaga delle volte che manco, per lavoro, alle feste importanti come i loro compleanni».

Sua moglie la segue sempre?
«Una vera famiglia deve essere unita. Ovunque».

Com’è Mourinho in famiglia?
«Normale. È una famiglia fantastica la mia. Siamo molto felici. Mia moglie e i miei figli sono molto importanti nella mia vita».

Sua moglie non compare nelle foto dei giornali.
«Non ama la mondanità, le piace stare tranquilla. Ha rinunciato alla sua carriera per starmi vicino».

Quando torna a casa dopo le partite parla di calcio?
«Che vinca o perda, è impossibile che sia una persona diversa quando torno a casa».

Chi è il mister in casa Mourinho?
«Mia moglie. Lei è fondamentale nella mia vita. I miei figli Matilde jr e José jr dicono, scherzando, che a casa non ho autorità. Matilde è il miglior allenatore del mondo. Mia moglie e i miei figli hanno la priorità su tutto. Non ci sono ambizioni che reggano».

È attaccato alla sua terra?
«Setùbal è il posto dove ritrovo le mie radici».

E ogni estate vi torna per insegnare calcio ai bambini poveri.
«Ho ricevuto tanto dalla vita e voglio regalare qualcosa a chi è meno fortunato».

Chi l’ha deciso?
«Matilde e io. Ma prima lei. Sono bambini sfortunati che noi siamo felici di aiutare».

A chi chiede aiuto quando una partita si mette male?
«In campo bastano i giocatori».

Ma lei è “The Special One”.
«Non voglio peccare di superbia».

Lo fa ogni volta che dice di essere il miglior allenatore del mondo.
«Ma è la verità».

Com’è un allenatore cattolico nei ritiri e in campo?
«Serio. Nel lavoro e nella vita. A volte l’esclusione dalla formazione serve come insegnamento».

Quale insegnamento?
«Che la vita è una faccenda seria. E va affrontata seriamente».

Per la serie: “Dio perdona, Mourinho no”?
«Solo dopo il ravvedimento».

Il Suo secondo nome è Mario, proprio come qualcuno che dovrebbe ravvedersi (leggasi Balotelli)?
«Io non faccio nomi».

Ci pensano i giornali.
«I giornali non sono la Bibbia».

Dalla Bibbia al Corano, che cos’era successo con Muntari?
«Niente di speciale».

L’aveva sostituito perché digiunava durante il Ramadan e in campo non rendeva.
«Quando un giocatore non è in forma viene sostituito. Senza problemi».

Ha avuto problemi come allenatore cattolico in Inghilterra?
«Ci mancherebbe. Non ascolto le critiche sul mio lavoro, figurarsi sul mio credo religioso».

Ha chiesto aiuto alla fede nei momenti difficili?
«Non solo in quelli difficili. E non mi ha mai deluso.

Sono invece molto delusi i tifosi interisti per come si è comportato andando via.
«Ho fatto quello che si aspettavano da me: vincere».

Adesso c’è la panchina del Real Madrid.
«Sarò ancora il migliore».

A Madrid si aspettano che ripeta il “miracolo” di Milano.
«Se le cose cominciano bene finiscono bene».

Che cos’ha provato mentre alzava per la seconda volta la “Coppa con le orecchie”?
«La voglia di alzarla per la terza volta. Tre Champions con tre squadre diverse: l’unico»

Sono state uniche anche le reazioni dopo la finale.
«Si sapeva che era la mia ultima partita con l’Inter».

L’Italia non l’ha mai amata
«Non mi hanno perdonato di avere dato autorevolezza all’Inter, che in termini mediatici è dietro il Milan e per il tifo viene dopo la Juventus».
Il giorno più bello di quest’anno “special”?
«La promozione di mia figlia Matilde jr».
Claudio Pollastri - avvenire.it

Ulivieri, il mister che fa correre i preti

Per fare l’allenatore di calcio, specie in Italia, ci vogliono spalle larghe, carisma e passione da vendere. Quando poi, a quasi 70 anni, si decide di diventare «direttore tecnico» della Nir (Nazionale italiana religiosi) allora occorre anche un po’ di «vocazione». E quella a Renzo Ulivieri, il «Renzaccio», non è mai venuta meno.

Così quando quattro anni fa Padre Leonardo Biancalani e i religiosi calciofili sparsi per le parrocchie e i conventi d’Italia, gli hanno chiesto di diventare il ct della loro Nazionale, Ulivieri non ci ha pensato su tanto e ha accettato. Debutto della Nir nel 2006 su un campo molto particolare: il carcere di Rebibbia. «Non mi ricordo se si vinse o meno, forse perdemmo, perché noi siamo una squadra di cuore e spesso porgiamo anche l’altra gamba, ma ho bene in mente una scena che mi toccò. Quel giorno fra Enzo, uno dei miei giocatori, nel terzo raggio di Rebibbia ritrovò un suo compagno d’infanzia e si abbracciarono. Ci siamo commossi tutti. E allora pensai, forse anche a un pallone riescono dei piccoli miracoli...».

Faccia d’attore, buona per la commedia all’italiana di Monicelli, il «mister», come lo chiamano tutti, ha il cuore tenero, «ma sul campo – avverte – non voglio noie, si corre e si suda. Punto». Così una volta al mese scatta il ritiro «calcistico spirituale» per questa specialissima nazionale che da bertinottiano considera una «rifondazione religiosa attraverso il calcio».

«Ragazzi correre, far circolare la palla, siete preti e frati mica calciatori. E ricordatevelo sempre, Maradona non abita qui...». Eccolo che viene allo scoperto il «maledetto» toscanaccio malapartiano, il comunista, il «mangiapreti». «Potevano aver pensato giusto su quasi tutto, ma io mangiapreti mai stato. Come tanti della mia generazione venuta su nel dopoguerra, sono cresciuto frequentando sia la Casa del popolo che la parrocchia. Alla prima devo la mia formazione umana e ideologica; quella spirituale e soprattutto culturale, mi deriva dalla frequentazione di don Giuseppe. È grazie a quel gran prete che ho imparato a leggere e scrivere, ad amare il latino, ad appassionarmi ai libri di Giorgio La Pira e don Lorenzo Milani. Lettera a una professoressa è il testo base che mi ha guidato in tutto il mio lungo percorso professionale».

Un cammino, quello del «mister» cominciato alla vigilia dei moti sessantottini nella squadra del suo paese, a San Miniato, e proseguito ininterrottamente per quarant’anni, attraversando tutta l’Italia, allenando da nord a sud, da Vicenza a Reggio Calabria, alla guida di 20 squadre diverse. Ultima panchina, quella della Reggina, stagione 2007-2008. Da poco ha riposto nell’armadio l’amuleto, il suo vecchio e consumato cappotto blu «quattro stagioni», con il quale si presentava regolarmente in campo. «Una volta a Ravenna l’ho indossato alla fine di giugno, testimone il cardinale Ersilio Tonini che sedeva accanto a me e mi guardava stupito... Guarda caso mi avevano squalificato anche quella domenica. Comunque nessuna superstizione, quel cappotto era solo un gioco». Anche questa avventura con la Nazionale religiosi è solo un gioco, ma forse anche un modo per stare più vicino a gente che parla con Dio tutti i giorni.

«Prima di ogni partita mister Ulivieri ci dice sempre: “Su ragazzi, una preghiera non fa mai male”. E così a centrocampo, mano nella mano, si recita insieme il Padre nostro», racconta padre Leonardo che – appesi gli scarpini al chiodo (infortunio alla spalla) – è diventato il presidente onorario della Nir. «La fede è una cosa seria e non si può mica confondere con una partita di pallone. Solo all’inizio della carriera mi capitò di chiedere a un prete se veniva a benedire la squadra con la motivazione: da settimane non c’è verso di fare gol. E il padre indignato mi rispose: “Renzo vergognati, tu pensi che il Signore debba scomodarsi per queste bischerate?”... Aveva ragione». Saggezza dell’uomo che i suoi colleghi hanno scelto come capo dell’Assoallenatori.

«Mi hanno liberato dalla tv, alla domenica il calcio ormai lo vedevo solo lì. Oggi invece grazie a questo incarico posso andare a seguire le partite allo stadio senza che nessuno possa dire: “È venuto a gufare per prendersi la panchina che salta”». Storie di cuoio vecchie e lontane, come le discussioni con Roberto Baggio ai tempi del Bologna, «finì che se ne andò, ma finché è rimasto parlavamo anche di buddhismo». Beghe di spogliatoio, come il litigio furibondo con Antonio Cassano, in un Samp-Reggina, ma poi la mano sempre tesa, pronta per il perdono. «Antonio quando ci siamo ritrovati mi disse: “Mister adesso che abbiamo fatto pace, facciamo un’altra bella cosa, quella multa che ci hanno data raddoppiamola e il ricavato lo doniamo alla famiglia di Adriano Lombardi (calciatore morto di Sla)... Sono i ragazzi come Cassano, quelli più difficili, che mi hanno stimolato di più a fare questo mestiere. In fondo penso che da quella panchina ho sempre cercato di portare dalla mia parte il “figliol prodigo”».

Nel mezzo del suo cammino però, ha incontrato anche tanti buoni samaritani, anime candide alla Damiano Tommasi. «Su tutti faccio due nomi: Lorenzo Minotti che è anche il padrino della mia bambina Valentina e Demetrio Albertini, vicepresidente della Federcalcio». Menti passate dall’università del calcio di Coverciano, dove Ulivieri presiede ai corsi che ogni anno diplomano i nuovi tecnici italiani. «Una scuola di alto livello in cui si cerca di insegnare che il “tecnico vero” è un punto di riferimento e un educatore che deve avere il carisma del capo senza però apparire tale. I calciatori devono riconoscerlo prima di tutto come una persona per bene».

Una figura in continua evoluzione quella dell’allenatore, ma per Ulivieri è fondamentalmente ancora quella che si leggeva nella dicitura del vecchio patentino: «maestro di vita». «Un ragazzo che gioca a calcio tra allenamenti e partite trascorre almeno 6-8 ore alla settimana con il suo allenatore, il quale corre il rischio di essere pure ascoltato. E se questo accade, vuol dire che ha fatto un lavoro superiore e sostitutivo spesso a quello della famiglia, perché il problema è che questi ragazzi in casa non parlano più. Il calcio dunque diventa uno strumento di comunicazione, aiuta a stare in gruppo, a non sentirsi emarginati e inoltre funziona da grande strumento terapeutico».

Da tempo infatti Ulivieri segue i ragazzi di un’altra squadra speciale quanto la Nir, la Matrix di Firenze, formazione composta da ragazzi e adulti con disabilità fisiche e psichiche. Il calcio non è una fede, ma è comunque un credo universale che ha i suoi comandamenti e in cima; Renzaccio, da ex «smoccolatore», mette il divieto di bestemmia in campo. «È un fenomeno di cattiva educazione, ma le squalifiche severe dell’ultimo anno sono servite a diminuire i casi di bestemmiatori su tutti i campi».

La riconquista di un senso civico può ripartire a anche dal rispetto delle regole di un gioco. «Ai giovani dico sempre che potremo vivere in un un mondo diverso e migliore di questo, solo se tutti ci si impegniamo a fare la nostra parte. La mia paura è che le nuove generazioni siano state abbandonate al loro destino e si stanno assopendo. Per risvegliarli occorre spiegargli che è molto più vantaggioso darsi agli altri, piuttosto che chiudersi nel proprio egoismo. Spegniamo la televisione, torniamo a parlare con i nostri figli e facciamogli capire che il bene più prezioso che esista è la felicità. E questa, deve spettare a tutti». Nessuna pretattica, sono i pensieri che arrivano dall’anima del mister che assicura: non ha nessuna intenzione di rubare il mestiere ai giocatori della Nir. «Su un pulpito sarei in fuorigioco. Io farò l’allenatore anche nell’aldilà. Mi sono informato e mi hanno assicurato che giocano a calcio pure lassù, dove ho tanti amici... A me basta un fischietto per gli allenamenti e una panchina da cui urlare per 90 minuti».
Massimiliano Castellani
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avvenire.it

Italia: il ct Prandelli richiama Mauri e Borriello

Rientrano quattro azzurri, i difensori Criscito e Zambrotta, il centrocampista Mauri e l'attaccante Borriello, nel gruppo dei 23 giocatori convocati oggi dal commissario tecnico Cesare Prandelli per il doppio impegno con Irlanda del Nord e Serbia che attende la sua Italia nelle qualificazione agli Europei del 2012. La nazionale italiana, che attualmente guida il Gruppo C a punteggio pieno grazie alle due vittorie ottenute a settembre contro Estonia (2-1) e Isole Far Oer (5-0), giocherà la prima partita contro l'Irlanda del Nord a Belfast venerdì 8 e la seconda a Genova contro la Serbia martedì 12. Gli azzurri si raduneranno domani entro le ore 12.30 a Coverciano, dove nel pomeriggio, alle 16.30, inizieranno la preparazione. Martedì e mercoledì due sedute di lavoro giornaliere, mentre giovedì, dopo l'allenamento del mattino, l'Italia partirà per Belfast. (APCOM)

Il Milan conquista la vetta

"Mamma, che gol!". Lo dice Ronaldinho, già pallone d'oro, guardando la conclusione di Andrea Pirlo da 38 metri infilarsi tra palo e traversa, nell'unico punto dove Mirante, prima e dopo strepitoso, non può arrivare. Per il centrocampista rossonero è il sesto gol al Parma in carriera, il primo che regala la vetta provvisoria della classifica ai rossoneri. Un ritrovato Gattuso e Ronaldinho dietro le due punte le scelte azzeccate da Allegri, contro un avversario volitivo ma 'spuntato': Crespo non è Bojinov e senza Giovinco la fantasia scarseggia. Promosso anche Ibra, mentre Robinho non incide né come suggeritore, né al tiro.

SETTE MESI DOPO — Il primo posto dei rossoneri - 11 punti contro i 10 di Inter e Lazio - coincide con il ritorno al successo in trasferta a sette mesi di distanza dall'ultima volta: il 3 aprile scorso, il Milan batteva il Cagliari 4-3, prima d'iniziare un lungo digiuno. Lo ha interrotto Andrea Pirlo, con un tiro dei suoi sceso improvvisamente alle spalle di Mirante.

NON SOLO IBRA — Il Milan di Parma è forse il migliore visto dall'inizio di campionato (non fa testo il 4-0 all'esordio con il Lecce): Nesta-Thiago Silva è la coppia centrale che dà maggiori garanzie, Gattuso vale Boateng con più cattiveria, mentre Pirlo è la scintilla per accendere Ibra. La vera novità, però, è Ronaldinho trequartista, non più confinato a sinistra, ma libero di verticalizzare o puntare la porta. Dopo la panchina in Champions League, un giocatore parzialmente ritrovato. Gli unici che non brillano sono Seedorf, troppo lento con la palla tra i piedi, e Robinho, morbido quando c'è da concludere. Il cambio con Pato, al rientro dopo l'infortunio, apre nuovi scenari sul tridente d'attacco.

MIRANTE E CRESPO — Il Parma, invece, non è molto diverso da quello visto a Firenze. C'è Crespo in avanti al posto di Bojinov, l'occasione che gli capita al 12' - a tu per tu con Abbiati - qualche anno fa non l'avrebbe sbagliata. Gli emiliani recriminano per un contatto Nesta-Paci in area nella ripresa, il rigore ci può stare. Ma se in quella fase del match il parziale è solo di 1-0, il merito è soltanto di Mirante, decisivo in almeno tre occasioni: al 29' su Ibra in uscita, e poi al 37', quando lo svedese calcia tre volte e per tre volte l'estremo difensore del Parma gli nega la gioia del gol. Poi s'infortuna Morrone, e Marino inserisce Valiani che carbura alla distanza. Suoi i cross del forcing parmense, anche se l'occasione più ghiotta capita a Ronaldinho, ma non la sfrutta.

ROBINHO NON VA — Se non altro, Ronaldinho si muove per 90' e cerca spesso la verticalizzazione. A deludere, ancora una volta è Robinho, a corto di condizione e di lucidità ogni volta che si presenta in area. L'errore al 13' della ripresa ricorda quello di mercoledì in Champions League, anche se meno clamoroso. Probabile l'inserimento di Pato già dal prossimo match.
Claudio Lenzi - gazzetta.it

Calcio Lega Pro: così in 1ª Divisione il 3 Ottobre 2010. Classifiche e risultati

Così in 1ª Divisione

GIRONE A
ALTO ADIGE-ALESSANDRIA 1-2
Marcatori: Camillucci (Al) al 17’, Damonte (Al) al 23’, Marchi (AA) al 36’ s.t.
GUBBIO-MONZA 4-0
Marcatori: Borghese al 10’ p.t.; Donnarumma al 13’, Caracciolo al 19’, Galano al 20’ s.t.
LUMEZZANE-REGGIANA 2-2 Marcatori: Temelin (R) al 10’ p.t.; Galabinov (L) al 10’, Chinellato (R) al 31’, Ferrari (L) al 44’ s.t.
PAGANESE-RAVENNA 0-0
PAVIA-BASSANO 1-1
Marcatori: Del Sante (P) al 4’, Beccia (B) al 19’ p.t.
PERGOCREMA-SPAL 1-1
Marcatori: Fofana (S) al 3’, Scotto (P) al 44’ s.t.
SALERNITANA-SPEZIA 1-0
Marcatore: Merino al 39’ p.t.
SORRENTO-COMO 3-0
Marcatori: Togni al 28’ p.t.; Pignalosa all’8’ e al 19’ s.t.
VERONA-CREMONESE Lunedì, ore 20.45

CLASSIFICA
La situazione dopo 7 giornate: Alessandria e Spal p. 14; Salernitana 13; Sorrento 12; Cremonese*, Gubbio, Reggiana e Paganese 10; Lumezzane 9; Alto Adige, Pergocrema, Bassano e Pavia 8; Ravenna 7; Spezia, Como e Monza 6; Verona* 5. (*una gara in meno).

PROSSIMO TURNO
Le partite di domenica 10 (ore 15): Alessandria-Sorrento; Bassano-Lumezzane; Como-Gubbio; Cremonese-Alto Adige; Monza-Pavia; Ravenna-Verona; Reggiana-Paganese; Spal-Salernitana; Spezia-Pergocrema.

GIRONE B
BARLETTA-COSENZA 2-0
Marcatori: Bellomo al 36’ p.t. e al 17’ s.t.
BENEVENTO-TERNANA 3-1
Marcatori: D’Anna (B) al 1’ p.t.; D’Anna (B) al 5’, Vacca (B) al 12’, Noviello (T) al 14’ s.t.
CAVESE-SIRACUSA 3-1
Marcatori: Turienzo (C) all’8’, Mancino (S) all’11’, Di Napoli (C) al 42’ p.t.; C. Ciano (C) all’11’ s.t.
FOGGIA-VIAREGGIO 2-2
Marcatori: Taormina (V) al 16’, Kolawole (F) al 22’, Laribi (F) al 35’, Longobardi (V) su rigore al 38’ p.t.
FOLIGNO-GELA 1-4
Marcatori: Severini (F) al 1’, Stamilla (G) al 4’, Franciel (G) al 26’ e al 34’ p.t.; Docente (G) al 47’ s.t.
LANCIANO-JUVE STABIA 1-0
Marcatore: Turchi al 13’ p.t.
LUCCHESE-ATL. ROMA 0-2
Marcatori: Esposito al 27’, Ciofani al 36’ s.t.
NOCERINA-ANDRIA 1-0
Marcatore: Castaldo al 30’ s.t.
PISA-TARANTO 2-1
Marcatori: Carparelli (P) al 33’ p.t.; Carparelli (P) al 26’, Innocenti (T) al 31’ s.t.

CLASSIFICA
La situazione dopo 7 giornate: Atletico Roma* p. 18; Lanciano*, Benevento e Taranto 13; Nocerina e Gela 12; Foggia 11; Lucchese e Cosenza 10; Foligno, Viareggio, Andria e Ternana 8; Juve Stabia e Pisa 7; Cavese 6; Barletta 4; Siracusa 3. (*una gara in meno).javascript:void(0)

PROSSIMO TURNO
Le partite di domenica 10 (ore 15): Andria-Lanciano; Atletico Roma-Nocerina (sabato); Cosenza-Benevento (lunedì, 20.45); Gela-Foggia; Juve Stabia-Viareggio; Pisa-Cavese; Siracusa-Barletta; Taranto-Lucchese; Ternana-Foligno.

gazzetta.it

Questi i risultati della serie A.

Roma - Calcio: giallorossi sconfitti a Napoli per 2 a 0, Lazio supera il Brescia per 1 a 0. Questi i risultati della serie A. Pareggio tra Bologna-Sampdoria (1-1) e Chievo-Cagliari (0-0). Fiorentina-Palermo finisce 1-2, mentre Genoa batte Bari per 2-1. Lecce-Catania, giocata alle 12,30, e' finita 1-0.
Inter-Juventus e' in programma alle 20,45. Negli anticipi di ieri, Udinese-Cesena 1-0 e Parma-Milan 0-1 . (agi)

MONDIALI DI PALLAVOLO in Italia



di Adriana Pollice - ilmanifesto.it
Intervista ad Andrea Gardini, sulla panchina azzurra
Un mix italiano
Cerimonia d'apertura domani al Piccolo Teatro Strehler di Milano, sabato in campo per i primi incontri del mondiale di volley italiano, che torna a disputarsi da noi dopo 32 anni e qualche polemica nel passato per non aver ottenuto la manifestazione nel momento d'oro della pallavolo azzurra. La vittoria mondiale manca dal '98, dopo tre successi di fila. Il ct Andrea Anastasi punta, come obiettivo minimo, ad arrivare alla fase finale a Roma. Primi incontri all'ombra della Madonnina con, nell'ordine, Giappone, Iran ed Egitto. Dieci le sedi dei gironi per la qualificazione alle finali, che includono Torino, Verona, Trieste, Modena, Firenze, Ancona, Catania e Reggio Calabria. Nell'ultimo raduno azzurro di Mantova, quindici i convocati: Andrea Bari, Emanuele Birarelli, Simone Buti, Matej Cernic, Alessandro Fei, Michal Lasko, Davide Marra, Gabriele Maruotti, Luigi Mastrangelo, Simone Parodi, Andrea Sala, Cristian Savani, Dragan Travica, Valerio Vermiglio, Ivan Zaytsev. Sulla panchina italiana, come secondo, siede uno dei sei giocatori della 'generazione di fenomeni', capaci di vincere tutto (incluse otto World League) tranne le Olimpiadi, Andrea Gardini.

Che effetto farà non stare in campo?
L'età c'è e me ne sono fatto una ragione, così sarà bellissimo rivivere certe emozioni dalla panchina e per di più in Italia, dove non abbiamo mai giocato una competizione mondiale. Il godimento sarà lo stesso e anche la tensione, ma dopo tanto lavoro non vediamo l'ora di scendere in campo.

Tra le nazionali da temere non c'è più l'Olanda, che si mise tra voi e l'oro olimpico, ma c'è sempre il Brasile, una corazzata che sforna talenti a getto continuo.
I brasiliani sono probabilmente quelli che partono con i favori del pronostico, esplosivi e con una velocità di gioco incredibile, ma fa paura anche la Russia che ha dei giocatori enormi, giganteschi, una forza fisica imponente. E poi ci sono una folla di nazionali di livello altissimo come Cuba, gli Stati Uniti, la Bulgaria, la Francia, la Serbia, la Polonia. Tecnica, organizzazione di gioco, ma prima di arrivare a loro non bisogna distrarsi nel week end di esordio perché oggi come oggi nessuno fa sconti a nessuno.

Gli Stati Uniti hanno vinto a sorpresa le Olimpiadi di Pechino, dopo un periodo di appannamento a livello mondiale, grazie a un'organizzazione in campo perfetta.
È la loro filosofia di gioco. Si organizzano la preparazione in base ai cicli olimpici, dove riescono a portare a casa sempre risultati importanti. È nel loro stile essere pragmatici, hanno una dedizione assoluta, scendono in campo disposti a tutto, lo vedi che li devi proprio calpestare per farli morire! Così eravamo anche noi, è quel carattere che dobbiamo ritrovare.

Come sarà l'Italia di questi mondiali?
Abbiamo lavorato per mettere in campo un mix di esperienza e giovani leve. L'entusiasmo e la voglia di strafare accanto all'esperienza di chi può dare ordine e tranquillità, perché le insidie saranno ovunque. Rispetto alla World League, giocata quest'estate, siamo cresciuti molto, adesso il nostro gioco è molto più veloce, siamo più gruppo, anche la nostra mentalità in campo è migliorata. L'obiettivo è fare bene ai Mondiali, il contratto di allenatore e vice scade a ottobre, ma alle porte ci sono le Olimpiadi di Londra 2012, con le qualificazioni da giocarsi in casa. Ho fiducia, la federazione con Club Italia e Blue College, le squadre con i vivai stanno dando nuovo impulso al movimento, ci stiamo lasciando la crisi di talenti alle spalle, nuovi giocatori si affacciano e premono per arrivare.

Com'è cambiato il volley con l'introduzione del rally point system? Tu eri un centrale, anche se molto offensivo, un ruolo un po' penalizzato adesso.
Il pubblico di non addetti ai lavori spesso non capiva perché la palla andava a terra e il punteggio non si muoveva. Ora mi piace moltissimo, è più veloce, più dinamico, una distrazione e la partita scappa via. Così bisogna curare l'aspetto psicologico, perché bisogna restare mentalmente a mille per tutta la partita. Basta una ricezione sbagliata, un attacco tirato fuori e il set se ne va. Si deve scendere in campo con concentrazione e continuità per sperare di portare a casa i tre punti.

In primavera si è discusso se introdurre in nazionale uno dei fuoriclasse cubani che giocano in Italia, dopo i due anni di stop che devono osservare. Ma forse il modello a cui rifarsi è quello della Germania degli ultimi Mondiali di calcio, con le nuove leva di tedeschi di ogni origine in campo.
È già così per la nazionale azzurra perché la nostra società è già così e lo sport non può chiudersi ai cambiamenti sociali in nome di una italianità astratta che non esiste. Sulla nostra panchina ci sono Zaytsev, figlio di grandissimo palleggiatore russo che ha vinto tutto, nato a Perugia e vissuto a Roma e il suo accento lo dimostra in pieno. E poi Travica, portato in Italia dall'ex Jugoslavia che era in fasce, Lasko ha nelle vene sangue polacco, e tutti insieme cantiamo l'inno italiano.