Sport Land News: disabili
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Il governo risparmia sui disabili. Altri 700mila euro tagliati allo sport

La 'mazzata' arriva nel pieno della stagione e della preparazione olimpica. Dura reazione del presidente Pancalli: "Abbandonati dalle istituzioni. Adesso le nazionali di nuoto e di atletica rischiano di non partecipare ai prossimi Mondiali"

La sbornia di entusiasmo delle Paralimpiadi di Londra, quando dalle istituzioni arrivava un coro di lodi per gli atleti italiani in grado di superare gli ostacoli della disabilità, è già finita. Il governo, a corto di soldi, ha deciso di tagliare ancora i finanziamenti al Comitato italiano paralimpico: altri 700mila euro, che si aggiungono alla sforbiciata di 2 milioni di euro già prevista ad inizio anno.
“Siamo tutti bravi ad applaudire questi ragazzi quando raggiungono grandi risultati e portano alto l’onore dell’Italia nel mondo. Evidentemente qualcuno non sa, o fa finta di non sapere, che quelle medaglie sono il frutto di un lavoro che costa fatica e soldi. Alla fine quando c’è bisogno di tagliare siamo sempre noi ad andarci di mezzo”. E’ amareggiato Luca Pancalli, presidente del Cip. E non usa mezzi termini per commentare al fattoquotidiano.it l’ennesima brutta notizia per lo sport paralimpico. “Quello che proprio non mi va giù – aggiunge – è che questo taglio arriva a stagione in corso. Avevamo già subito un taglio consistente, ma a quello ci eravamo rassegnati, rimboccandoci le maniche, convinti di poter raggiungere comunque buoni risultati grazie al lavoro e alle idee. Adesso quest’ulteriore mazzata manda all’aria tutta la programmazione sportiva”.
Il taglio, per la precisione, ammonta a 721.038 euro. A stabilirlo è il decreto n. 120/bil del presidente del consiglio dei ministri, del 28 giugno, con oggetto “Variazioni al bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei Ministri per l’anno 2013″. Come si legge nel testo, “per assicurare il dovuto versamento di 40 milioni di euro all’entrata del bilancio dello Stato”, il governo non ha avuto remore a rastrellare fondi dalle politiche sociali: tra i vari interventi, ci sono 200mila euro in meno alle minoranze linguistiche; 1,3 milioni alle pari opportunità; 700mila euro alla prevenzione e recupero di tossicodipendenze; 2,6 milioni per le politiche della famiglia, 750mila euro per quelle giovanili. E, appunto, la sforbiciata allo sport paralimpico. Che complessivamente patisce un taglio del budget superiore al 30%, se consideriamo anche i due milioni di euro persi rispetto al 2012. Invece per il Coni (che al Cip versa a sua volta poco meno di un milione l’anno) il contributo statale era rimasto sostanzialmente invariato tra il 2012 e il 2013.
“Ad essere ‘trascurati’ ormai siamo abituati. Ma un taglio così, a metà stagione e in un anno di preparazione olimpica, fa davvero male”, ribadisce Pancalli. Che ha di fronte un percorso obbligato, a questo punto: “Nella prossima giunta (in calendario mercoledì, ndr), rivisiteremo in negativo tutti i capitoli di bilancio. Saremo costretti a tagliare agli organi territoriali, ai programmi e alle federazioni”. “Con i Giochi invernali all’orizzonte – aggiunge il Presidente – proveremo a risparmiare almeno i budget delle federazioni impegnate a Sochi 2014“. Ma per venire incontro alle esigenze di Sport del ghiaccio, Sport invernali e Sordomuti, pagheranno altre Federazioni. “Le nazionali di nuoto e di atletica rischiano seriamente di non poter partecipare ai prossimi mondiali. E se alla fine riusciremo a farle partire, si bloccheranno altre attività”, conclude Pancalli. Perchè in Italia quello paralimpico è uno sport di Serie B. Almeno per il governo.
fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/07/08/governo-risparmia-sui-disabili-altri-700mila-euro-tagliati-allo-sport-paralimpico/650030/

 

Ancora una volta, dunque, gioco e sport come terapia

 
Torna nella sua sesta edizione Matti per il calcio Uips, la rassegna sportiva di calcio sociale che vedrà fronteggiarsi ben ventidue squadre formate da persone con disagio mentale, operatori e medici dei Centri e dei Dipartimenti di salute mentale di tutta Italia.

Dal 13 al 15 settembre, Montalto di Castro (VT) ospiterà quella che è una delle maggiori manifestazioni di calcio sociale del nostro paese. A partecipare al torneo di calcio a 7 saranno quindi squadre da ogni parte della penisola: 40 le partite dopo il fischio d’inizio del 13 settembre, per un totale di 400 giocatori coinvolti, senza contare il centinaio di volontari, tra accompagnatori e operatori.

Ancora una volta, dunque, gioco e sport come terapia, spazio in cui le differenze si annullano e le barriere si abbattono. Al di là dei vincitori, tutti avranno modo di festeggiare: nella serata conlusiva è infatti prevista una festa nella quale verranno premiati tutti i partecipanti.

Fonte: uisp.it

Normalità è il nome elaborato ideologicamente per significare maggioranza. Cos’altro può significare, «normale», se non il fatto di ricadere in una maggioranza statistica? Io disabile in un mondo che esclude

Normalità è il nome elaborato ideologicamente per significare maggioranza. Cos’altro può significare, «normale», se non il fatto di ricadere in una maggioranza statistica? E cos’altro significa «anormalità» se non l’appartenenza a una minoranza statistica? Parlo di maggioranze e minoranze perché l’idea di normalità presuppone che alcune unità di un totale complessivo non siano conformi alla «norma»; se il 100 per cento delle unità recassero gli stessi tratti distintivi, sarebbe difficile che emergesse l’idea di una «norma». Quindi l’idea di «norma» e «normalità» implica una dissimiglianza, una difformità: la suddivisione di un totale complessivo in una maggioranza e in una minoranza, in un «la maggior parte» e «alcuni». La «elaborazione ideologica» che ho menzionato si riferisce alla sovrapposizione del «si deve» sull’«è»: non soltanto le unità di un certo tipo sono in maggioranza, ma esse sono come «dovrebbero essere»; sono «giuste e appropriate»; al contrario, quelle che difettano dell’attributo in questione sono come «non dovrebbero essere» – «sbagliate e inappropriate». Il passaggio dalla «maggioranza statistica» (un’enunciazione di fatto) alla «normalità» (un giudizio di valutazione), e dalla «minoranza statistica» alla «anormalità», attribuisce una differenza di qualità alla differenza nei numeri: essere in minoranza significa anche essere inferiori. Si sovrappone una differenza di qualità sulla differenza numerica – e, se viene applicata alle interazioni umane, si riciclano le differenze della forza numerica nel fenomeno (sia in teoria, sia in pratica) della ineguaglianza sociale. La questione della «normalità versus anormalità» è la forma in cui la questione della «maggioranza versus minoranza» viene assorbita/addomesticata, e conseguentemente fissata, nella costruzione e nella preservazione dell’ordine sociale. Sospetto perciò che «disabilità» e «invalidità», i nomi affiliati (e in misura parzialmente maggiore, benché non interamente, «politicamente corretta») per «anormalità», quando si riferiscono al trattamento delle minoranze umane come inferiori, siano parte integrante della più vasta questione «maggioranza versus minoranza» – e quindi in definitiva un problema politico. Questo problema si focalizza sulla difesa dei diritti delle minoranze che i meccanismi democratici esistenti, basati come sono sull’incorporazione del fatto di essere una maggioranza nel diritto di assumere decisioni vincolanti per tutti, sembrano essere incapaci (e con ogni verosimiglianza non particolarmente desiderosi) di affrontare, gestire e risolvere definitivamente la questione.

Nella famosa storia di H.G. Wells «Nel Paese dei Ciechi» la questione viene posta ed esplorata acutamente: in una società di ciechi, un orbo sarebbe stato re, come credeva la persona che si avventurò nella vallata per fuggire dalla società di chi vedeva con entrambi gli occhi, in cui essere orbi veniva considerato un difetto avvilente? Se fosse stato davvero re in una società di ciechi, la tacita assunzione sottesa alla nostra società (che la superiorità dei vedenti sui ciechi è un verdetto della natura, piuttosto che una creazione socioculturale) sarebbe stata confermata, rinforzata, forse addirittura «provata». Ma ciò non avvenne. Lo straniero con un occhio solo non venne acclamato come un re da adorare e a cui obbedire, venne visto invece come un mostro da aborrire e scacciare! Nella «normalità» fatta nella valle su misura per i suoi abitanti che avevano avuto il destino di essere ciechi lui, l’orbo, era portatore di una minacciosa anormalità. Il che spiega che la normalità non viene vissuta come repellente e minacciosa a causa della sua intrinseca inferiorità, bensì per il fatto che contrasta l’ordine stabilito per aderire ai bisogni/costumi/aspettative dei «normali» – vale a dire, della maggioranza. Alla fin fine, discriminare ciò che è «anormale» (ovvero la condizione della minoranza) è un’attività posta in essere per difendere e preservare l’ordine, una creazione socioculturale.

Nella sua storia in due romanzi distinti, «Cecità» e «Saggio sulla lucidità», José Saramago ha sviluppato ulteriormente questo argomento. Nel primo romanzo, un’inesplicabile cecità affligge l’intera popolazione della città con l’unica eccezione di una donna, sulla quale gli orrori della nuova «norma» che sospende e invalida tutte le regole del vecchio ordine si focalizzano sulla minoranza di una persona eletta nelle menti terrificate della maggioranza cieca come una causa, forse la causa principale, del loro miserabile destino.  Nel secondo romanzo la città è totalmente guarita dalla peste della cecità, ma è afflitta da un disastro parimenti inesplicabile che si è abbattuto sull’ordine sociale: il rifiuto dell’elettorato di esprimere la propria preferenza, e quindi di mantenere vivo il presupposto stesso della democrazia, in modello attualmente vincolante di ordine. Tutte le forze della polizia segreta vengono così mobilitate per dare la caccia a, e neutralizzare, quell’unica donna che durante il flagello della cecità non aveva perduto la vista…
Anormali una volta, anormali per sempre; anormali rispetto a un singolo aspetto, anormali in tutto; e non una minaccia a un ordine specifico, bensì all’ordine in quanto tale. Alla fine, tutto ruota intorno all’ordine. I vari tipi di ordine sono tagliati su misura delle maggioranze, e così i pochi che nicchiano o si rifiutano apertamente di obbedire si ritrovano a essere una minoranza, agevole da sminuire come una «deviazione marginale» – e perciò facili da individuare, localizzare, disarmare e sopraffare. Selezionare, designare e isolare come una «frangia di anormalità» è il necessario fattore concomitante della costruzione dell’ordine e il costo inevitabile della sua perpetuazione. Questa è una verità molesta, dolorosa e sgradevole, e tuttavia è la verità. Il mondo abitato viene strutturato in modo da essere ospitale – conveniente e confortevole – per i suoi abitanti «normali»: le persone che costituiscono la maggioranza. Le automobili devono essere equipaggiate con luci e trombe che avvisino del loro arrivo – strumenti di nessuna utilità per i ciechi e i sordi. Le scale, che hanno il compito di facilitare l’ascesa verso i luoghi elevati, non sono di alcun aiuto per le persone relegate su sedie a rotelle. Io stesso, nella mia età avanzata, avendo ormai perso la maggior parte del mio udito, non posso più essere allertato dai telefoni o dal campanello di chi suoni alla mia porta.

Questi esempi si sono riferiti finora alle disabilità fisiche – che in una società solidale potrebbero essere sanati da trattamenti medici e, nel caso dell’assenza di una funzione fisiologica, mitigati da strumenti tecnologici capaci di «estendere» il corpo umano e/o fare le veci delle risorse fisiche mancanti. Non esistono però le sole disabilità fisiche, vi sono altre disabilità molto più diffuse, anche se in questi casi i loro poteri disabilitanti vengono spazzati sotto il tappeto, ipocritamente negati o altrimenti ignorati e dissimulati. Non sono problemi medici o tecnologici ma politici. Per esempio, gli handicap causati alle persone che non possiedono un’automobile cancellando, come «improduttivi» (e per ciò stesso di peso ai cittadini «normali» che pagano le tasse), molti percorsi degli autobus o chiudendo uffici postali o filiali bancarie «non remunerative». Vi sono, specialmente nella nostra società dei consumi, consumatori «squalificati», a corto di denaro, a cui non si fa credito, e a cui perciò si nega la possibilità di raggiungere gli standard di «normalità» stabiliti dal mercato e misurati dal numero di cose possedute e dagli atti d’acquisto. E, circostanza ancora più importante per il tema di cui ci stiamo occupando, vi sono grandi quantità di giovani fisicamente prestanti in età scolare, disabilitati nei loro tentativi di raggiungere gli standard posti dal mercato del lavoro dal fatto di essere nati e cresciuti in famiglie i cui guadagni sono sotto la media o in quartieri deprivati e trascurati… Famiglie che vivono in povertà (anche in questo caso una condizione misurata da standard di «normalità» che, posti in termini socioculturali, sono i fornitori più prolifici di studenti deboli o «ritardati»). In questi casi sarebbero necessari equivalenti politici degli strumenti medici o tecnologici usati per compensare le disabilità fisiche. Questi mezzi esistono senz’altro, ma la loro disponibilità o la loro assenza dipende sono in piccola parte dalle scuole e dagli insegnanti. L’ineguaglianza delle opportunità educative è qualcosa che soltanto le politiche statali possono affrontare e risolvere in modo netto e preciso. Finora, comunque, come abbiamo visto prima, le politiche statali sembrano più propense alla latitanza che a mettersi in gioco con serietà per risolvere questo enorme problema.

IL TESTO


 
Venti conversazioni in un’estate, tra internet e Leeds (città di residenta di Bauman). È nato così «Conversazioni sull’educazione» (pp. 146, euro 12- scheda online su ibs con il 15% di sconto), il volume Erickson in cui l’intellettuale di origine polacca dialoga con l’italiano Riccardo Mazzeo e del quale offriamo in questa pagina un saggio. A 86 anni il sociologo che ha coniato la definizione di «società liquida», si occupa delle giovani generazioni e del tema dell’educazione: qual è oggi il suo ruolo, se manca un’idea precisa di futuro, se i progetti a lungo termine sembrano ormai impossibili, se non esiste più un modello unico e condiviso di umanità? Bauman offre una prospettiva critica, ma anche di estrema apertura, per esempio ritenendo che l’inevitabile processo di meticciato culturale dovuto all’emigrazione di extracomunitari in Occidente sia «fonte di arricchimento e motore di creatività, per la civiltà europea così come per qualunque altra»; purché la coabitazione sia basata da ambedue le parti sul rispetto dei principi del "contratto sociale" europeo.


Zygmunt Bauman - avvenire.it