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Luigi Garlando fa parte della squadra di cronisti del più rappresentativo dei quotidiani sportivi italiani: La Gazzetta dello Sport. Cura la rubrica che fu di Candido Cannavò; con Piemme ha pubblicato la fortunatissima serie Gol!, in cui racconta le vicende della squadra di calcio delle Cipolline:
un riuscitissimo best seller in tutto il mondo. Ora torna in libreria
con un’avventura che sa molto delle sue esperienze di vita, portando con
sé un pizzico della suggestione provata tra le mitiche pagine rosa del
suo giornale. Ciponews è infatti il mensile delle Cipolline.
Dante, Tommi, Sara, Lara, tutti i ragazzi della squadra sono uniti in
una nuova e straordinaria avventura: far parte della redazione di una
rivista. Questo nuovo lavoro di Garlando è l’occasione per i più piccoli
di crescere conoscendo uno dei valori fondamentali della società, il
coraggio e il valore della libertà di stampa.
Hai vinto molti premi, solo per citarne alcuni de La vita è una bomba il Premio Il Battello a Vapore, il Premio Selezione Bancarellino, e il Premio Bruno Roghi; ce n’è uno a cui resti legato particolarmente?Il
primo, Il Premio Il Battello a Vapore, perché mi ha fatto diventare
scrittore. Si trattava di un concorso per racconti inediti a tema libero
e il premio consisteva appunto nella pubblicazione. Così è nato il mio
primo libro, edito dalla Piemme nel 2001: La vita è una bomba.
Qual è il complimento più bello che ti ha fatto uno dei tuoi giovani fan?Il più divertente me lo ha scritto un bambino: “Luigi, sei il più bravo scrittore del mondo. Altro che quel Manzoni che legge sempre mia sorella…”. Ma
i complimenti preferiti sono quelli di bambini che mi confessano di non
avere mai amato la lettura e di essersi appassionati alle Cipolline.
Avvicinare un bambino al meraviglioso mondo della lettura è una
gratificazione unica.
Da dove è nato il nome “Cipolline”?
Avendo
creato la figura di Gaston Champignon, cuoco-allenatore, mi serviva per
la squadra un nome che avesse a che fare con la cucina. Riflettendoci
su, mi è tornata in menta la storia del piccolo Diego Armando Maradona che
giocava in una squadra che si chiamava le Cipolline. O, meglio, le
Cipolline era il nome della categoria dei piccoli calciatori argentini,
così come noi in Italia abbiamo i Pulcini. Le Cipolline di Maradona
diventarono una leggenda, un vero orgoglio nazionale perché quei bambini
giocarono centinaia di partite senza perdere mai. Il nome suonava
divertente e aveva a che fare con la cucina: faceva al caso mio. Perciò
l’ho preso in prestito da Maradona. Anche se Gaston Champignon non
insegnerebbe mai ai suoi ragazzi a ingannare l’arbitro con un gol di
mano…”
Come ti è venuta l’idea di fare una collana di libri sul calcio?Ad
essere sincero, l’idea è venuta alla Piemme, la mia casa editrice, dopo
il successo di un libro che avevo scritto sul calcio: Da grande farò il calciatore.
Non accolsi con entusiasmo la proposta, perché di calcio mi occupavo
già tutti i giorni nella mia attività di giornalista sportivo. Nei libri
per ragazzi avevo programmato di trattare altri argomenti. Poi però mi
sono convinto della necessità di mettere in campo una squadra simpatica,
competitiva, che fosse anche un esempio di lealtà sportiva. Per
esperienza diretta, so che anche il calcio giovanile è ammalato di
esasperazione: ex giocatori frustrati che diventano allenatori per
vincere a tutti i costi attraverso una squadra di ragazzi ciò che non
sono riusciti a vincere da soli; genitori che pretendono di avere in
casa il prossimo Pallone d’Oro e magari si azzuffano o insultano in
tribuna… Le Cipolline sono scese in campo anche per questo, per
insegnare che ‘chi si diverte, non perde mai’, che l’amicizia conta più
della classifica.
Nei tuoi ultimi libri ci ha colpito molto il riferimento a Giovanni Falcone, come si coniuga la passione civile con quella sportiva e quanto è importante per te insegnarlo ai ragazzi?A Giovanni Falcone e alla sua straordinaria lezione ho dedicato Per questo mi chiamo Giovanni,
che considero il mio libro più importante. Falcone amava i ragazzi e lo
sport. Andava spesso a parlare nelle scuole, convinto che la lotta alla
mafia dovesse cominciare già da bambini, educandoli al rispetto delle
regole e delle istituzioni. Il magistrato palermitano considerava lo
sport una palestra privilegiata dove allenare i muscoli della legalità,
perché lo sport insegna a rispettare il regolamento e l’avversario.
Falcone praticava canottaggio, nuoto, ping pong e andava spesso allo
stadio a seguire il Palermo. Era uno sportivo vero. Perciò, quando ho
portato le Cipolline in vacanza in Sicilia, mi è venuto naturale
condurle al famoso ‘albero Falcone’ e raccontare loro la straordinaria
lezione di coraggio e di legalità del magistrato ucciso a Capaci. Le
Cipolline praticano lo sport come sarebbe piaciuto a Falcone: con
passione e lealtà.