Può sembrare blasfemo accostare la parola laurea al mondo del calcio, anzi, diciamolo proprio, anche pensando a tante persone ben più meritevoli in altri campi e settori della vita, potrebbe far storcere il naso la laurea ad honorem a Carlo Ancelotti.
L’Università degli Studi di Parma, ha infatti conferito all’allenatore reggiolese il titolo di dottore in “Scienze e tecniche delle attività motorie preventive e adattate” per i meriti sportivi acquisiti sul campo.
Il palmares di Carletto è noto ai tutti e oramai non stupisce più nulla.
Ciò che invece colpisce sono le parole pronunciate dalla cattedra dal neo dottore durante la sua Lectio Doctoralis dal titolo: “Il calcio una scuola di vita”.
“Il talento è un fatto di genetica, non lo si può allenare. Fare calcio mi ha aiutato a migliorare la relazione con gli altri, mi ha aiutato ad avere rispetto per le regole, per gli avversari e per i compagni”. E ancora: “Essere un allenatore significa soprattutto saper ascoltare gli altri, i collaboratori e i giocatori, e poi prendere delle decisioni. Io cerco di trasmettere le mie idee attraverso la persuasione, e non imponendole. Sono calmo, tranquillo, paziente. Molto paziente. E, soprattutto, ho la fortuna di essere sorretto da una grande passione per questo sport. Una passione che avevo a quindici anni e che ho ancora oggi”.
In questo virgolettato è condensato quanto la scuola o se si vuole l’università della vita cerca di insegnare ogni giorno: rapportarsi con gli altri, rispettandoli e ascoltare.
Cose che dette così appaiono sempre molto banali, ma che alla prova dei fatti per molti personaggi più o meno animati da uno smisurato ego (e nel mondo se ne incontrano tanti) sembrano insormontabili.
Alla base dei successi di Re Carlo c’è una passione incredibile e immutata cui si affianca quel rimanere umili e coi piedi per terra che di sicuro Ancelotti ha ereditato dalla sua famiglia.
Se poi vi si aggiunge la fortuna di incontrare i “professori” giusti, che oltre ad insegnarti nozioni, trasmettono anche lezioni di vita, il corso di studi è fatto. E l’alleantore del Real ha avuto almeno due grandi maestri: Nils Liedholm ed Arrigo Sacchi se mi fermo al solo ambito sportivo.
A volte se penso all’esame di maturità della scuola, credo sempre che porti il nome sbagliato perchè incontrando tanti ragazzi di maturità ne vedo poca. Soprattutto nel provare a inseguire ad ogni costo sogni e desideri.
Vedo tanta voglia di provare ad essere maturi, ma quanta fatica che costa! Meglio vivacchiare sulla superficialità… demandando spesso intenzioni di crescita a semplici parole ricche di intenti ma povere di fatti.
Forse si dovrebbe istituire un corso di laurea in fatti, dell’università della vita di tutti i giorni. Di sicuro non insegna a vincere Champions League ma insegna ad essere persone migliori, credibili e mosse dalla forza delle proprie idee, della propria passione e dei propri sacrifci.
E a noi adulti sul loro cammino il compito di rappresentare il mondo accademico che, si badi bene, non insegna bensì ispira.
Non sono le vittorie a costituire la pergamena di laurea, ma è tutto quello che lasci alle persone, altrimenti non si capisce come l’allenatore più vincente del mondo si sia commosso indossando l’ermellino rosso e ringraziando tutti coloro lo hanno aiutato a laurearsi… in umanità.
Complimenti dottore!
laliberta.info