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Cinema Cineppalone PELÉ, il Re della Ginga
Usciamo dall’Odeon, la sala milanese dove abbiamo appena assistito alla proiezione in anteprima del film dei fratelli Jeff e Michael ZimbalistPelè, ma senza la risposta all’enigma dell’ultimo secolo di storia di cuoio: meglio Pelé o Maradona? Quel raffinato intellettuale di Vladimir Dimitrijevic (1934-2011, editore – Éditions L’Âge d’Homme – e scrittore serbo, naturalizzato svizzero), nel suo splendido saggioLa vita è un pallone rotondo (Adelphi) questo annoso nodo agli scarpini l’aveva sciolto. «Pelé ha cercato di piacere ai giorna-listi, è diventato un idolo e “yes-man” dei politici. Io preferisco coloro che hanno conservato l’impertinenza dei fanciulli. È un gran bene per la società che vi siano degli adulti ma io preferisco Maradona. Uno dei miei amici mi ha detto: “è un giovinastro”. Sì, e io lo amo per questo. Egli ha provato tutto, egli è stato punito...», disse Dimitrijevic.
Punti di vista. La realtà è che tra Edson Arantes Do Nascimento, in arte Pelé e Diego Armando Maradona passano vent’anni e mille gol di differenza, tutti a favore del brasiliano (1.283 reti segnate in carriera). Identiche sono le origini, la povertà da favela (la Bauru di Pelé, 300 km a nordovest di Santos, stato di San Paolo) o da barrio ( Villa Fiorito di Maradona, villa de emergencia a sud di Buenos Aires) e quel passo diverso dal resto dei comuni mortali del pallone. Perché uno, Pelé è “O Rei”, il re del popolo del fútbol bailado, l’altro El Diego è la Mano de Diosin eterno ricordo della manita che insaccò in rete contro gli inglesi. Una rete da titolo Mundial per l’Argentina a Messico 1986. L’unico vinto da Maradona, mentre Pelé vanta il record insuperato dell’unico calciatore che ha conquistato tre Coppe del Mondo, nelle edizioni di Svezia ’58, Cile ’62 e quella della finale con l’Italia di Ferruccio Valcareggi a Messico ’70. Altro primato che resiste è quello di Pelé «più giovane debuttante-marcatore a un Mondiale»: il primo gol lo realizzò al Galles a 17 anni e 239 giorni e cinque giorni dopo rifilò la prima tripletta iridata alla Francia del bomber Fontaine. L’ultimo sigillo se lo tenne per la finale contro la Svezia padrona di casa e favorita del torneo. E qui, nel trionfo dei suoi compagni della Seleçao e le lacrime di gioia dell’ex piccolo “Dico”, nominato sul campo Pelé, termina il film dei fratelli Zimbalist.
Un film buono, ma per i bambini di oggi, un po’ meno per quelli cresciuti con i cartoon calcistici degli anni ’80 di Holly e Benji o per la generazione successiva degli affezionati agli Shaolin Soccer. Il resto del mondo non rimarrà molto colpito dalla pellicola, se non dalla Ginga. Il movimento danzante, da Capoeira, che pare abbia ispirato l’apprendistato tecnico del piccolo “Dico”. Le scene più belle di Pelé (proiettato in 250 sale italiane) sono infatti quelle della Ginga esibita dai “Senza scarpe”, i bambini e compagni di squadra di “Dico”, capaci di palleggiare per ore con dei palloni fatti di stracci senza farli cadere in terra. To- da Ginga è sinonimo di “Toda joia”, l’allegria del calciosamba brasilero che negli ultimi anni è scemata. Colpa della radicale europeizzazione dei “craque”, i talenti di strada che eppure continuano a nascere e a crescere sotto la bandiera verdeoro con la scritta «Ordem e Progresso». Il film degli Zimbalist strappa qualche risata e la lacrima a tratti accarezza la palpebra. «Quando ho iniziato a leggere lo script mi sono commosso.
Si parlava della mia infanzia e della mia famiglia povera», ha raccontato Pelé. Papà Dondinho, ex calciatore dalla carriera interrotta per infortunio alla gamba (vanta un solo record non superato dal figlio: in una partita fece 5 gol di testa) insegnò al suo pupillo l’arte della Ginga calciando e palleggiando i frutti di un albero di mango. Allenamenti che avvenivano nelle pause pranzo dal lavoro di inserviente d’ospedale. Prima di vomitare per la tensione accumulata alla vigilia delle partite importanti, il Pelé bambino è preda della nausea dei cessi e dei pavimenti da lavare assieme ai genitori. Dona Celeste, la mamma di Pelé, nel film è la donna delle pulizie di casa Altafini. Ma si tratta di un falso storico, pardon, fiction. «La mia famiglia era povera quanto quella di Pelé: mio padre lavorava in uno zuccherificio e mamma faceva le pulizie nella casa di una famiglia benestante ». Fa sapere José Altafini, il secondo più giovane convocato dal ct Vicente Feola in quel Mondiale del ’58, il bambino d’oro del Palmeiras, “Mazola” (con una sola zeta), omaggio all capitano del grande Torino Valentino Mazzola, scomparso nel ’49 a Superga. Ecco, «diventare il più grande giocatore del mondo», era il sogno e l’obiettivo dichiarato di Pel° che a 9 anni ascolta alla radio la telecronaca del Maracanazola Rimet persa in casa dal Brasile – vinta dall’Uruguay – , e per consolare il padre gli promise: «Un giorno la vincerò io la Coppa del Mondo ».
Quel giorno non era affatto lontano, otto anni dopo allo stadio Råsunda di Stoccolma il sogno si era realizzato grazie anche alla più grande promessa del calcio brasiliano destinato a diventare “O Rei” dell’intero pianeta football. Oggi, a 75 anni, Pelé continua ad essere il re del calcio, ma quello nato con il colletto bianco, perché il re nudo resta sempre Maradona. Il piccolo “Dico” da sempre attraversa il mondo, e adesso lo farà ancora di più con questo film imperfetto, come del resto è il percorso di ogni uomo, Pelé compreso. Ciò che rimane dopo la parola “Fine” è la magia di un pallone e l’atmosfera indelebile dell’appartenenza a una squadra che su un prato, d’incanto, spesso diventa popolo ed è capace di fermare il tempo. Pelé non è mai riuscito a descrivere una simile meraviglia, e allora c’ha pensato un altro genio del calcio brasiliano, il rivoluzionario Socrates: «Certe volte seduto nello spogliatoio, la vita pare che si rifiuti di scorrere».
Avvenire
Claudio Amendola diventa regista: "Un inno alla nobiltà dello sport"
L'attore debutta dietro alla macchina da presa in "La mossa del pinguino": storia di una squadra di curling che vuole andare alle Olimpiadi. Con Ennio Fantastichini, Antonello Fassari, Ricky Memphis, Francesca Inaudi. Il neo regista: "La storia di un sogno, di una speranza e di un riscatto"
di LEANDRO PALESTINI
Per il suo debutto alla regia Claudio Amendola ha scelto un "inno allo
sport". Come Giulio Cesaroni (il protagoniosta della celebre serie tv di
Canale 5) è un tifoso della Roma, ma giura che nel suo La mossa del pinguino,
con il quale debutta alla regia, non si vedrà l'ombra di Totti, "anche
perché i diritti sarebbero costati troppo". Racconta così la storia di
una squadra romana di curling (quello sport giocato sul ghiaccio con
pesanti pietre di granito levigato), di quattro amici che si allenano
per partecipare alle Olimpiadi di Torino 2006.
"É un film sul significato più autentico e nobile dello sport, quello che purtroppo manca oggi al calcio. È il racconto di un sogno, di una speranza, di un riscatto, una piccola rivincita di fronte alle proprie fatiche quotidiane", spiega il neo regista a una settimana dalla fine delle riprese del film co-firmato con Edoardo Leo, che è nel cast con Ennio Fantastichini, Ricky Memphis, Antonello Fassari e Francesca Inaudi. Il significato del titolo? "È un colpo a sorpresa. Lo capirete andando al cinema".
Dopo una trentennale carriera da attore, Amendola va dietro la macchina da presa e prende molto sul serio il nuovo lavoro. Da quali registi ha imparato di più? "Mi hanno influenzato soprattutto i meno bravi: è da loro che ho imparato quali errori non fare. Stando dietro alla sceneggiatura, senza cedere a egoismi o vanità". Non fa i nomi dei cattivi maestri. Ricorda solo uno dei preziosi consigli di Steno. "Una volta mi disse che nella commedia, quando gli attori fanno ridere, il regista non deve fare niente, solo riprendere. Lui fece così con Sordi in Un americano a Roma. Io ho la fortuna di avere attori divertenti e generosi".
Memphis, Leo, Fassari e Fantastichini offrono un saggio della loro bravura sul campo di curling, anche se al posto delle "stone" usano le pentole a pressione. "Io faccio lo sbocciatore, con un piccolo handicap: da claudicante, il mio stile è il passo doppio", rivela Fantastichini. La sua risata si fa contagiosa. Memphis dice di avere l'ansia: "Ho le pulsazioni a duecento, devo scopettare, levigare, prima dell'arrivo delle stone, per migliorare la loro traiettoria". Fassari confessa varie cadute: "Con queste scarpe sul ghiaccio ho fatto degli scivoloni in stile dorso, delfino o farfalla". Edoardo Leo è l'esperto di curling ("lo stone-selcio pesa 19,5 chilogrammi"), rivela che La mossa del pinguino "nasce da una storia vera: io e Claudio abbiamo comprato i diritti tre anni fa". Lui è Bruno, un Peter Pan che si rifiuta di crescere e rischia di far naufragare il matrimonio con Eva (Francesca Inaudi) che ha pure un figlio da crescere. "Faccio la cassiera in un supermercato, la moglie e la mamma di un ragazzo di 11 anni. Faticoso, ma sono contenta di fare un personaggio normale" dice la Inaudi, che approva "lo spirito del film, l'invito a tornare all'essenza dello sport".
Amendola va orgoglioso di "fare un film che funziona, con un piccolo budget", al di sotto dei 2 milioni di euro. La mossa del pinguino uscirà all'inizio del 2014, è stato prodotto dalla Dap Italy di Guido, Marco e Nicola De Angelis e sarà distribuito da Videa (in 200 copie). Con il sostegno dell'Istituto per il credito sportivo e la Film Commission Torino Piemonte.
repubblica.it
"É un film sul significato più autentico e nobile dello sport, quello che purtroppo manca oggi al calcio. È il racconto di un sogno, di una speranza, di un riscatto, una piccola rivincita di fronte alle proprie fatiche quotidiane", spiega il neo regista a una settimana dalla fine delle riprese del film co-firmato con Edoardo Leo, che è nel cast con Ennio Fantastichini, Ricky Memphis, Antonello Fassari e Francesca Inaudi. Il significato del titolo? "È un colpo a sorpresa. Lo capirete andando al cinema".
Dopo una trentennale carriera da attore, Amendola va dietro la macchina da presa e prende molto sul serio il nuovo lavoro. Da quali registi ha imparato di più? "Mi hanno influenzato soprattutto i meno bravi: è da loro che ho imparato quali errori non fare. Stando dietro alla sceneggiatura, senza cedere a egoismi o vanità". Non fa i nomi dei cattivi maestri. Ricorda solo uno dei preziosi consigli di Steno. "Una volta mi disse che nella commedia, quando gli attori fanno ridere, il regista non deve fare niente, solo riprendere. Lui fece così con Sordi in Un americano a Roma. Io ho la fortuna di avere attori divertenti e generosi".
Memphis, Leo, Fassari e Fantastichini offrono un saggio della loro bravura sul campo di curling, anche se al posto delle "stone" usano le pentole a pressione. "Io faccio lo sbocciatore, con un piccolo handicap: da claudicante, il mio stile è il passo doppio", rivela Fantastichini. La sua risata si fa contagiosa. Memphis dice di avere l'ansia: "Ho le pulsazioni a duecento, devo scopettare, levigare, prima dell'arrivo delle stone, per migliorare la loro traiettoria". Fassari confessa varie cadute: "Con queste scarpe sul ghiaccio ho fatto degli scivoloni in stile dorso, delfino o farfalla". Edoardo Leo è l'esperto di curling ("lo stone-selcio pesa 19,5 chilogrammi"), rivela che La mossa del pinguino "nasce da una storia vera: io e Claudio abbiamo comprato i diritti tre anni fa". Lui è Bruno, un Peter Pan che si rifiuta di crescere e rischia di far naufragare il matrimonio con Eva (Francesca Inaudi) che ha pure un figlio da crescere. "Faccio la cassiera in un supermercato, la moglie e la mamma di un ragazzo di 11 anni. Faticoso, ma sono contenta di fare un personaggio normale" dice la Inaudi, che approva "lo spirito del film, l'invito a tornare all'essenza dello sport".
Amendola va orgoglioso di "fare un film che funziona, con un piccolo budget", al di sotto dei 2 milioni di euro. La mossa del pinguino uscirà all'inizio del 2014, è stato prodotto dalla Dap Italy di Guido, Marco e Nicola De Angelis e sarà distribuito da Videa (in 200 copie). Con il sostegno dell'Istituto per il credito sportivo e la Film Commission Torino Piemonte.
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