DA RIO DE JANEIRO
Che Il calcio in Brasile sia una realtà più importante che in qualunque altro Paese al mondo lo dimostrano gli innumerevoli articoli, libri e convegni dedicati al futebol verdeoro come espressione sociale e di riscatto. E lo conferma l’esistenza di corsi accademici come quello di cui è titolare, all’Università statale di Rio de Janeiro e all’Università Salgado de Oliveira, il professor Maurício Murad. Murad insegna infatti Sociologia del calcio.
Perché il calcio in Brasile è così importante?
Una certa identificazione con la nazionale di calcio esiste in qualunque Paese in cui questo sport è amato. Ma è vero: qui in Brasile tale identificazione con la Seleção è totale. E questo per una ragione peculiare: le squadre di calcio in generale, e la nazionale in particolare, sono la rappresentazione del Paese. Non del Paese come è, ma come dovrebbe essere. Un Paese vincente – perché nessuno ha conquistato tanti titoli mondiali come il Brasile – e soprattutto un Paese democratico. In nazionale giocano bianchi e neri, ricchi e poveri. Anzi, i grandi campioni, da Pelé a Garrincha, da Ronaldo ad Adriano, vengono dalla povertà o dalle favelas. Il calcio ha dimostrato ai brasiliani che anche i più svantaggiati, i neri discendenti dagli schiavi, possono imporsi e avere successo. E tutto questo in armonia con quei bianchi di buona famiglia, alla Kaká per intenderci, che nella storia del Brasile hanno sempre avuto grandi privilegi.
Il calcio è quindi simbolo di riscatto sociale. Ma è anche la rappresentazione di un Paese socialmente giusto che, nella realtà, non esiste...
Esatto. In Brasile la disuguaglianza sociale è ancora grande. Ma la situazione è migliorata molto negli ultimi decenni. E io credo che il calcio abbia assai contribuito a diffondere l’idea della parità dei diritti. Il calcio ha unito bianchi e neri, ricchi e poveri come soltanto in un altro settore della cultura popolare del Paese è successo, ovvero in quello musicale. Certo, da qui a pensare che il calcio e la musica, da soli, possano cambiare la mentalità di un Paese gigantesco e complesso come il Brasile, ce ne corre...
Non ritiene però che dare tanta importanza al calcio finisca con l’essere pericoloso? A volte si ha la netta sensazione che il brasiliano scenda in piazza solo per la nazionale e mai per protestare contro ingiustizia e malgoverno.
Ciò avviene costantemente. La colpa però non è del calcio, ma dell’uso politico che ne viene fatto. Fin dai tempi della dittatura militare, le vittorie della Seleção sono state usate a fini propagandistici o per distogliere l’attenzione dai problemi reali. A mio parere, i brasiliani dovrebbero continuare a seguire con la stessa passione il calcio. Ma dovrebbero essere educati a non attribuirgli un’importanza esagerata. Credo che con il tempo si arriverà a questo traguardo. ( G.Mil. ) - avvenire
Che Il calcio in Brasile sia una realtà più importante che in qualunque altro Paese al mondo lo dimostrano gli innumerevoli articoli, libri e convegni dedicati al futebol verdeoro come espressione sociale e di riscatto. E lo conferma l’esistenza di corsi accademici come quello di cui è titolare, all’Università statale di Rio de Janeiro e all’Università Salgado de Oliveira, il professor Maurício Murad. Murad insegna infatti Sociologia del calcio.
Perché il calcio in Brasile è così importante?
Una certa identificazione con la nazionale di calcio esiste in qualunque Paese in cui questo sport è amato. Ma è vero: qui in Brasile tale identificazione con la Seleção è totale. E questo per una ragione peculiare: le squadre di calcio in generale, e la nazionale in particolare, sono la rappresentazione del Paese. Non del Paese come è, ma come dovrebbe essere. Un Paese vincente – perché nessuno ha conquistato tanti titoli mondiali come il Brasile – e soprattutto un Paese democratico. In nazionale giocano bianchi e neri, ricchi e poveri. Anzi, i grandi campioni, da Pelé a Garrincha, da Ronaldo ad Adriano, vengono dalla povertà o dalle favelas. Il calcio ha dimostrato ai brasiliani che anche i più svantaggiati, i neri discendenti dagli schiavi, possono imporsi e avere successo. E tutto questo in armonia con quei bianchi di buona famiglia, alla Kaká per intenderci, che nella storia del Brasile hanno sempre avuto grandi privilegi.
Il calcio è quindi simbolo di riscatto sociale. Ma è anche la rappresentazione di un Paese socialmente giusto che, nella realtà, non esiste...
Esatto. In Brasile la disuguaglianza sociale è ancora grande. Ma la situazione è migliorata molto negli ultimi decenni. E io credo che il calcio abbia assai contribuito a diffondere l’idea della parità dei diritti. Il calcio ha unito bianchi e neri, ricchi e poveri come soltanto in un altro settore della cultura popolare del Paese è successo, ovvero in quello musicale. Certo, da qui a pensare che il calcio e la musica, da soli, possano cambiare la mentalità di un Paese gigantesco e complesso come il Brasile, ce ne corre...
Non ritiene però che dare tanta importanza al calcio finisca con l’essere pericoloso? A volte si ha la netta sensazione che il brasiliano scenda in piazza solo per la nazionale e mai per protestare contro ingiustizia e malgoverno.
Ciò avviene costantemente. La colpa però non è del calcio, ma dell’uso politico che ne viene fatto. Fin dai tempi della dittatura militare, le vittorie della Seleção sono state usate a fini propagandistici o per distogliere l’attenzione dai problemi reali. A mio parere, i brasiliani dovrebbero continuare a seguire con la stessa passione il calcio. Ma dovrebbero essere educati a non attribuirgli un’importanza esagerata. Credo che con il tempo si arriverà a questo traguardo. ( G.Mil. ) - avvenire