DI IVO ROMANO
Il calcio italiano da sabato entra nella nuova era della Tessera del tifoso. Una piccola card che come sempre divide la nostra Repubblica del pallone. A Napoli, ci sono gruppi di ultrà dissidenti che via Internet non trovano di meglio che consigliare «come si falsifica» la famigerata tessera. Incidenti di percorso in un iter che soddisfa il suo principale promotore, il ministro dell’Interno Roberto Maroni. «Dopo molte resistenze e qualche mugugno, le società hanno mantenuto gli impegni che avevano assunto. Non tutto è stato realizzato in modo omogeneo, ma quanto doveva esser fatto o almeno avviato è avvenuto. Ci saranno anche altre misure perchè bisogna tener distinti i tifosi veri dagli ultras violenti che si oppongono ad ogni forma di controllo e sicurezza», sottolinea il ministro Maroni, raggiante per il raggiungimento di quota 521.540 tessere del tifoso tra i club di Serie A e B.
E allora andiamo a verificare qual è la novità che fa pensare a un calcio italiano anno zero. La tessera del tifoso, promette di ripulire gli stadi da ogni forma di violenza. Che sia la panacea di tutti i mali lo dirà solo il tempo. Un dato, per ora, è certo: cambierà le abitudini dei calciofili. La tessera della rivoluzione. Più o meno come con una carta di credito o un bancomat, sia per forma che per dimensioni. E, soprattutto, obbligatoria per chi voglia seguire la squadra del cuore in trasferta, almeno nel settore ospiti (altrimenti si può sempre acquistare un biglietto per altri settori, sempre che siano in vendita). Variabile il costo: si aggira tra i 10 e i 15 euro, ma in seguito c’è chi è pronto a distribuirla gratuitamente, insieme all’abbonamento (potrebbe anche sostituirlo: in più dell’abbonamento ci sarà anche la foto personale), sempre che il richiedente abbia i requisiti previsti dalla legge. Perché è vero che viene rilasciata dalle singole società (cui il richiedente dovrà comunicare tutti i dati personali), ma non prima del via libera da parte della Questura, cui spetta il diritto di veto: non potrà averla chi sia stato sottoposto a provvedimento di Daspo (che vieta ai soggetti pericolosi l’accesso ai luoghi in cui si svolgano manifestazioni sportive) e a chi abbia subito condanne per reati da stadio negli ultimi 5 anni.
La tessera del tifoso non è indispensabile per seguire le partite casalinghe della squadra del cuore: qualunque non abbonato potrà acquistare il biglietto nominativo. Ma il possessore avrà la possibilità di acquistare fino a 4 biglietti per amici che vuol portare con sé allo stadio: sarà comunque necessario esibire i documenti d’identità delle persone interessate. La card diventa, invece, fondamentale per le gare in trasferta: in questo caso garantirà il biglietto per il settore ospiti, cui altrimenti non si potrà accedere in alcun modo. La tessera, inoltre, permetterà l’accesso agli stadi anche in occasione di partite soggette a restrizioni (che, d’ora in poi, dovrebbero diminuire). Se dubbi e proteste non mancano, i club si sono comunque messi in regola. Tutti d’accordo, a quanto pare: dalla Lega di A («la tessera del tifoso è progetto condiviso da società e ministero, è un passaporto universale per gli stadi, che va a vantaggio dei tifosi», secondo il presidente Beretta) fino alla Lega Pro («un’iniziativa lodevole, che non potevamo non appoggiare, anzi lo abbiamo fatto con grande entusiasmo», per il presidente Macalli). Il progetto è partito, dove in tempo utile, dove in colpevole ritardo. Ma i problemi restano. La reazione degli ultrà, innanzitutto. E la volontà di disertare la campagna abbonamenti. Chi più, chi meno registra una contrazione negli abbonamenti venduti: proiezioni azzardano un decremento tra il 15 e il 20 per cento, un ulteriore colpo alle già scarse presenze negli stadi. E poi si aspettano notizie dall’Osservatorio del Viminale: con l’avven- to della Tessera del tifoso cosa accade alle restrizioni per alcune trasferte? Ci sarà ancora un elenco di partite ad alto rischio? Saranno confermate alcune vecchie limitazioni? Domande legittime, in attesa di risposte certe.
E poi c’è chi dietro ci vede dell’altro. Un’operazione commerciale, ad esempio. La fidelizzazione del tifoso, la lotta alla violenza. Ma pure altro. La tessera è una sorta di carta di credito ricaricabile (con tanto di codice Iban impresso), ma senza obbligo di conto corrente bancario, con costi di gestione variabili, a seconda dell’uso che ne si fa. E chi più spende maggiori benefici ottiene. Un vorticoso giro di quattrini (difficile da quantificare per ora) dalle tasche dei tifosi alle casse dei club, secondo una logica deleteria: chi più spende più è tifoso. Lo si capirà. Lampante la direzione del movimento di danaro: dalle tasche dei tifosi alle casse della società.
Nulla di paragonabile alla tessera del tifoso, fuori dai confini italiani.
Una prima assoluta, la novità voluta dal Viminale. Qualcuno ci ha provato, altrove. Ma senza riscuotere consensi. Altri ci stanno provano ancora, ma con un iter che avanza col freno a mano tirato. È il caso dell’Argentina, dove il problema della violenza a margine del calcio è all’ordine del giorno: il progetto è datato 2007, affidato all’Universidad Tecnologica General (che ha studiato una speciale carta magnetica), ma ha oltre 3 anni dal varo non è ancora entrato in vigore. Restando in America Latina, qualcosa del genere era stato studiato anni addietro anche in Brasile, ma l’idea andò incontro al semaforo rosso proprio quando sembrava in dirittura d’arrivo. In altri paesi dove il fenomeno della violenza negli stadi è particolarmente sentito ci hanno pensato, ma senza mai giungere all’adozione di un sistema simile alla nostra tessera del tifoso: solo in Olanda si sta provando a studiare qualcosa di analogo, ma si è ancora agli inizi. In Inghilterra, ai tempi della dura lotta contro la piaga degli hooligans, ci provò il primo ministro Margaret Thatcher, la lady di ferro, che però si scontrò contro l’insormontabile necessità di difendere la privacy. Perciò anche nella Premier si va avanti con un semplice abbonamento nominale, ben lontano dalla nostra tessera
avvenire 25 agosto 2010