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Trapattoni: guida la nazionale del Vaticano!

Sfiderà la squadra della Guardia di Finanza con Donadoni in panchina. Il 23 ottobre il ct dell'Irlanda allenerà i migliori giocatori della Clericus Cup.

L'idea di creare la nazionale del Vaticano venne al cardinale Bertone, tifoso juventino, quando era arcivescovo di Genova, con la convinzione che attraverso il calcio sia possibile continuare l'opera di evangelizzazione e far circolare tra i giovani i valori della Chiesa.

Un sogno forse destinato a diventare realtà. Si stanno mettendo i mattoni, anche se nessuno si sbilancia.

(La Gazzetta dello Sport)

Del Piero come Buddha

di Giorgio De Simone

Domenica a Napoli, Totti si stava già avviando verso la panchina, rassegnato ad andar fuori. Ma imprevedibilmente (?!) Ranieri lo lasciava in campo facendo uscire Borriello, ovvero il bomber che non aveva incantato ma si sentiva (dichiarazioni sue) «il gol in canna». A Milano, domenica sera, nella partita di gala contro l’Inter, Del Piero entrava in campo per accomodarsi, sereno come un Budda, nella buca dei panchinari. Sereno sì, il capitano della Juve, e anche allegro. Il contrario del capitano della Roma, ormai incapace di sorridere. Otto giorni prima, nella partita all’Olimpico contro l’Inter, Ranieri lo aveva sostituito a pochi minuti dalla fine, lui si era infilato negli spogliatoi più nero di un furioso Giove e da lì era poi corso a casa a smaltire l’affronto. Discussioni, chiarimenti ci saranno stati in settimana e il risultato eccolo lì: contro il Napoli, Totti non gioca bene, ma Ranieri lo lascia in campo. A quel punto (certo non esclusivamente per questa mossa) perde la partita quando la volta prima, sostituendo il capitano con Vucinic, proprio con Vucinic l’aveva vinta. I rapporti tra Ranieri e Totti saranno anche buoni, ma è un fatto che il Pupone le sostituzioni non le prende bene. E spiegherà pure il tecnico che a questo punto della carriera, misurando le energie, distribuendo le forze, Francesco sarà sempre lui. Niente da fare. Al contrario, sul versante bianconero, Del Piero se ne sta fuori con il sorriso di chi alla scuola di mister Capello, quando stava più in panca che in campo, la lezione l’ha imparata bene. Così bene che oggi i conti il giocatore li sa fare con la sua storia, la sua carriera, il suo portafoglio fino a farsi dire da tutt’e tre (storia, carriera e portafoglio) che sono conti giusti. Nato a Conegliano Veneto ma torinese d’adozione, Alex Del Piero conosce l’accortezza, la prudenza, la pazienza piemontesi.

Nemmeno a lui fa piacere non entrare in campo, meno piacere ancora gli fa uscire ma, ragionandoci, ha capito che è giusto così.

Questo in un mondo dove nessuno accetta di star fuori, domenica Cassano è uscito che sembrava un orso bruno e l’interista Muntari, quando ha saputo che non avrebbe giocato, ha rifiutato la tribuna. Francesco e Alex, i due grandi capitani oggi a passeggio sul Sunset Boulevard, hanno avuto e hanno una vita fatta di pallone come il pane è fatto di farina. Appassionata vita per l’uno, ragionata per l’altro. Totti è stato e resta (dopo il leggendario capitano Giacomo Losi)

er core de Roma e per lui il sentimento fa premio su tutto. Per Del Piero è invece la ragione da preferirsi a tutto. Uno va dove lo porta il cuore, l’altro dove la ragione ha detto al cuore di tacere.

avvenire.it

Mourinho “normal one” «Il mio credo speciale»

Il vero Josè Mourinho si è “confessato” a Fogli, l’inserto di “Studi Cattolici” e per gentile concessione pubblichiamo questa intervista. Un Mourinho molto umile e pacato.

Il vero “Special One” fa il modesto dopo i tre “tituli” - Coppa Italia, Scudetto e Champions League - del Grande Slam interista?
«Non sono modesto, sono credente».

Credente o superstizioso?
«Qualcuno mi aveva visto stringere un crocifisso durante una partita. Almeno una volta all’anno vado in pellegrinaggio a Fatima. Il crocifisso che porto con me è un regalo di mia moglie».

A proposito di crocifisso, che cos’era successo con il Sindaco di Reggio Calabria?
«Mi aveva accusato di avere dato una moneta a un bambino disabile per umiliarlo. Invece a quel bambino avevo donato il mio crocifisso. Mia moglie l’aveva comprato a Fatima e lo tenevo in tasca da tre-quattro anni».

Riesce a essere criticato anche quando fa un gesto affettuoso.
«Si vede che sono sfortunato...».

Come sconfigge la sfortuna?
«Con la preghiera».

Prega molto?
«Sono cresciuto in una famiglia religiosa».

Chi Le ha insegnato a pregare?
«Mia madre. E ricordo ancora certe preghiere che mi faceva dire la sera».

Ha un santo di riferimento?
«La Madonna di Fatima».

Con chi è andato la prima volta al Santuario di Fatima?
«Con mia madre. E da allora il 13 maggio è una ricorrenza molto importante per me e per la mia famiglia».

Sua madre la portava a Fatima mentre Suo padre Félix, ex portiere portoghese, sui campi di calcio.
«Mio padre viveva per il calcio. Io gli devo tutto».

Oltre agli schemi tattici in campo le ha dato dei suggerimenti anche per la vita?
«Onestà e lealtà verso il prossimo».

Che valori ha trasmesso ai suoi figli?
«Gli stessi».

Compreso l’insegnamento cattolico?
«Se n’è occupata soprattutto mia moglie».

Un papà forse un po’ assente?
«Quando posso, vado a prendere i miei figli a scuola e sto con loro. Mi ripaga delle volte che manco, per lavoro, alle feste importanti come i loro compleanni».

Sua moglie la segue sempre?
«Una vera famiglia deve essere unita. Ovunque».

Com’è Mourinho in famiglia?
«Normale. È una famiglia fantastica la mia. Siamo molto felici. Mia moglie e i miei figli sono molto importanti nella mia vita».

Sua moglie non compare nelle foto dei giornali.
«Non ama la mondanità, le piace stare tranquilla. Ha rinunciato alla sua carriera per starmi vicino».

Quando torna a casa dopo le partite parla di calcio?
«Che vinca o perda, è impossibile che sia una persona diversa quando torno a casa».

Chi è il mister in casa Mourinho?
«Mia moglie. Lei è fondamentale nella mia vita. I miei figli Matilde jr e José jr dicono, scherzando, che a casa non ho autorità. Matilde è il miglior allenatore del mondo. Mia moglie e i miei figli hanno la priorità su tutto. Non ci sono ambizioni che reggano».

È attaccato alla sua terra?
«Setùbal è il posto dove ritrovo le mie radici».

E ogni estate vi torna per insegnare calcio ai bambini poveri.
«Ho ricevuto tanto dalla vita e voglio regalare qualcosa a chi è meno fortunato».

Chi l’ha deciso?
«Matilde e io. Ma prima lei. Sono bambini sfortunati che noi siamo felici di aiutare».

A chi chiede aiuto quando una partita si mette male?
«In campo bastano i giocatori».

Ma lei è “The Special One”.
«Non voglio peccare di superbia».

Lo fa ogni volta che dice di essere il miglior allenatore del mondo.
«Ma è la verità».

Com’è un allenatore cattolico nei ritiri e in campo?
«Serio. Nel lavoro e nella vita. A volte l’esclusione dalla formazione serve come insegnamento».

Quale insegnamento?
«Che la vita è una faccenda seria. E va affrontata seriamente».

Per la serie: “Dio perdona, Mourinho no”?
«Solo dopo il ravvedimento».

Il Suo secondo nome è Mario, proprio come qualcuno che dovrebbe ravvedersi (leggasi Balotelli)?
«Io non faccio nomi».

Ci pensano i giornali.
«I giornali non sono la Bibbia».

Dalla Bibbia al Corano, che cos’era successo con Muntari?
«Niente di speciale».

L’aveva sostituito perché digiunava durante il Ramadan e in campo non rendeva.
«Quando un giocatore non è in forma viene sostituito. Senza problemi».

Ha avuto problemi come allenatore cattolico in Inghilterra?
«Ci mancherebbe. Non ascolto le critiche sul mio lavoro, figurarsi sul mio credo religioso».

Ha chiesto aiuto alla fede nei momenti difficili?
«Non solo in quelli difficili. E non mi ha mai deluso.

Sono invece molto delusi i tifosi interisti per come si è comportato andando via.
«Ho fatto quello che si aspettavano da me: vincere».

Adesso c’è la panchina del Real Madrid.
«Sarò ancora il migliore».

A Madrid si aspettano che ripeta il “miracolo” di Milano.
«Se le cose cominciano bene finiscono bene».

Che cos’ha provato mentre alzava per la seconda volta la “Coppa con le orecchie”?
«La voglia di alzarla per la terza volta. Tre Champions con tre squadre diverse: l’unico»

Sono state uniche anche le reazioni dopo la finale.
«Si sapeva che era la mia ultima partita con l’Inter».

L’Italia non l’ha mai amata
«Non mi hanno perdonato di avere dato autorevolezza all’Inter, che in termini mediatici è dietro il Milan e per il tifo viene dopo la Juventus».
Il giorno più bello di quest’anno “special”?
«La promozione di mia figlia Matilde jr».
Claudio Pollastri - avvenire.it