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Tradizioni. Perché il Palio è un’ansia che ringiovanisce chi la prova

La storica gara che infiamma Siena e il mondo intero (Ansa/Carlo Ferraro)

in Avvenire
Infine il Palio è volato via dalla sua alta sede in bilico sopra una folla di voci e di colori. Come un aquilone sbanda tra le grida, gli urti, in un delirio acceso da gran tempo. Fuoco che divampa dagli Etruschi che, maestri delle corse di cavalli, si sfidavano nelle radure dei boschi intorno Siena, cavalcando nudi. Discende il Palio dal muro del Palazzo nella folla accosto al palco dei giudici, tra la mossa (la partenza) e la Costarella, una piaggia da cui si domina Piazza del Campo. Discende da quel cielo fiorito di passione e di paludate memorie cittadine. Il Palio rilancia nell’azzurro, per due volte l’anno (2 luglio e 16 agosto), i suoi strali e le sue frecce infuocate dalla cabala e dalla cocente battaglia in atto. Lo precipita in un golfo accogliente d’altre voci il suo effimero destino. Il Palio sfiorisce d’incanto in una manciatella di secondi che sono un’eternità per le Contrade avvinghiate a questa girevole ruota del destino. Ora in alto, ora a capoficco.
Emozioni taciute per tutto l’anno con quell’arte della dissimulazione che potente si impara fin da bambini ed esplode nel tormentoso agone della vittoria. Quando infuria la luce estiva e le notti a Siena vanno, nel balsamo della frescura, per il bisbiglio di acque segrete che si riversano nelle magnifiche fonti, allora Siena respira come una madre che abbia appena benedetto la nidiata. Il Pallio è una seta dipinta, che trae origine dal vestiario nobiliare dell’antica Roma. Evocare il solo nome della vittoria del Palio crea nei diciassette popoli di Siena, un entusiasmo indicibile, endemico, convulsivo. Tutto quel lento abbrivio che dura da un anno all’altro, dai primi vagiti fino alla vecchiaia, è un’indomita, sottile e battente trepidazione che cresce a vista d’occhio nei quattro giorni che precedono l’evento. La brama del trionfo pervade la città di canti, bandiere, tamburi. Il Palio è un’ossessione personale e collettiva così radicata, intima e segreta che è quasi impossibile rintracciarne le cause e i confini, la storia e le notturne ed esplicite ragioni. Possiamo solo dire che vincere il Palio è una gioia pura, ebbrezza senza fine, ma sobria, elegante e talvolta, per le più combattive e baldanti schiere, è un affronto vivace. La campanina della Chiesa della Contrada suona a vittoria il 2 luglio e il 16 agosto. Sembra anche lei una persona normale che d’improvviso è impazzita. I più solerti nel servizio alla Contrada si danno il cambio in questo gaudioso ufficio. Non la lasciano in pace, quella campanina, fino a notte fonda. Si canta per le strade solo per lei questa rinomata canzone: «Sòna, sòna campanina/ che per me non sòni mai/ ma stasera sònerai/ sònerai soltanto per me». Il Palio è un destino che si compie; qualcosa muore all’istante, si sbriciola, scompare e si inabissa nel pianto e nella gioia più sfrenata. Il destino però non infrange la speranza, perchè a Siena la speranza si rinnova nel Palio, nella sua ciclica stagione, nella sua incomparabile sequenza di luci e di ombre che sono proprie della vita. La Bellezza è mista al dolore tanto è forte e percussiva. Cadute e trionfi non si programmano.
Nel Palio vi è di mezzo la cabala dei numeri e ogni altro appiglio di Fede e di superstizione, purchè i colori della propria Contrada vadano a segno. Non si immagini però che la Fede si baratti con la passione civica. Niente è più simbolico del Palio di Siena: se lo vivi tutto l’anno lo senti traboccare dentro il sangue, perciò non è filosofia di ragionamenti, ma è un altro sottile e audace ragionare. E’ un’appartenenza esclusiva, non è fatto come lo sport dove uno è della Juventus e vive a mille chilometri da Torino. Non funziona così per noi. A Siena se non ti piove addosso la grazia del Palio tutti i giorni dell’anno, non ti puoi gloriare della sua bellezza e verità. Resti un pesce fuor d’acqua. Penosi i giorni del Palio per un senese fuori Siena quando il campanone, detto Sunto, rintocca dalla Torre del Mangia e chiama nel suo agonico lamento il Popolo a raccolta. Il Palio è un’ansia che ringiovanisce chi la prova e non si accettano sermoni da nessuno, né comparazioni saccenti o parentele con altre manifestazioni che portano questo nome. Il Palio è uno solo! Quello che amava Santa Caterina da Siena, che di cose belle e durature se ne intendeva. Il Palio è un’opera d’arte, un capolavoro collettivo di un Popolo che nei secoli ha tenuto alta la gloria delle Arti e della Santità. Il Palio si può solo vivere, non raccontare. Perchè è vita e morte in figura. Si può certo migliorare o sciattare del tutto, Dio non voglia! Se ne discute male, di squincio, come quando ti parlano addosso della tua mamma. Non si può parlare a freddo del Palio con l’incauto andazzo modernoide. Non ne sorte niente! «Ma di che?» si dice a Siena. «Di che si parla?» Come per chiudere alla spiccia un discorso tortuoso. Quest’anno il Palio del 2 luglio lo ha vinto il Drago: san Giorgio permettendo. Altri fuochi si accendono intorno al Palio, ora che a Siena se ne aspetta un altro.

Il bilancio dei Campionati. A Glasgow e a Berlino il volto migliore dell'Europa

La 20 km di marcia, maschile e femminile, sfila ai piedi della Gedächtniskirche (Ansa/Ap/Matthias Schrader)

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Comunque sia andata, è stato un successo. Quali che siano stati – come sono sempre, in ogni grande manifestazione sportiva – le gioie e i dolori, i trionfi insperati sul filo di lana e le brucianti delusioni per anni di lavoro sfumati magari per una foratura o per un inciampo, i primi Campionati europei hanno rappresentato una vittoria scintillante, sia per lo sport sia per l’Europa.
Per lo sport, perché questa manifestazione organizzata un po’ di corsa ha davvero avvicinato il livello tecnico e l’attenzione mediatica di una piccola Olimpiade. Con buona pace del Comitato internazionale olimpico, la cui analoga iniziativa – i Giochi europei – non ha scaldato né gli atleti, né il pubblico, né soprattutto le federazioni sportive continentali: alla prima edizione, Baku 2015, hanno partecipato di fatto solo seconde linee. Fortemente voluti dall’Unione europea di radiodiffusione, questi Campionati europei si sono invece intelligentemente appoggiati a iniziative già in corso (gli Europei di atletica 2018 erano già stati assegnati a Berlino, Glasgow aveva tutti gli impianti pronti dopo i Giochi del Commonwealth di quattro anni fa) e le ha riunite in un unico contenitore ben calibrato soprattutto dal punto di vista televisivo. E ottimi sono stati i dati di ascolto, dei quali si sono giovate soprattutto le discipline minori (dal canottaggio al golf) che hanno beneficiato dell’effetto traino costituito dalle due regine, nuoto e atletica. Per ospitare la prossima edizione – che si terrà nel 2022 – non mancano le candidature, tra le quali quella di Roma: ma prima andrà sciolto il complesso gioco a incastri in corso per portare in Italia le Olimpiadi invernali del 2026. Organizzazione intelligente, coordinamento tra le federazioni sportive continentali che hanno fatto convogliare sull’iniziativa i propri Campionati che comunque si sarebbe dovuti svolgere nel 2018, costi contenuti grazie l’uso di impianti già esistenti: tutto ha funzionato a dovere.
Ma anche l’Europa nel suo complesso esce bene da questa rassegna, e proprio in un momento in cui il vecchio e un po’ acciaccato continente ha un gran bisogno di guardarsi allo specchio e vedere riflessa un’immagine un po’ migliore di quella, improntata agli egoismi e alla sfiducia, che sembra andare per la maggiore. A brillare è soprattutto l’Europa dei popoli che si incontrano e si sfidano, sì, ma per abbracciarsi sempre a fine gara; l’Europa di un marciatore (l’italiano Stano) che al rifornimento di metà gara prende due spugne anziché una, e l’altra la passa all’avversario tedesco accanto a lui. È l’Europa dove l’origine etnica e famigliare degli atleti – dei cittadini – è giusto un dato biografico e nulla più. La platea continentale ha esultato e si è rattristata allo stesso modo quando i colori delle loro nazioni erano in campo, indifferentemente dalle sfumature melaniche della pelle di chi li indossava. Senza enfasi, anzi, con la massima semplicità: come raccontava in telecronaca il sempre eccellente Franco Bragagna, nella staffetta italiana c’erano Filippo Tortu detto Pippo, brianzolo di origini sarde, ed Eseosa Desalu detto Fausto, cremonese di origini nigeriane. Senza bisogno di aggiungere altro.
Non è retorica: è la reale quotidianità di tanti europei, soprattutto giovani, che sono nati e cresciuti in un contesto in cui l’orizzonte continentale, e non nazionale, è quello nel quale sono abituati a muoversi, a confrontarsi, a vivere. Senza dimenticare le proprie radici – e la cerimonia del podio con gli inni e le bandiere è sempre lì, al termine di ogni gara, a ricordarle – ma capaci di portarle, queste radici, nel tronco comune di un’identità più ampia, come se il fusto del grande albero europeo avesse bisogno di abbeverarsi ai mille rivoli delle sue pluralità, per poter infine abbracciare sotto il suo ombrello frondoso tutti i popoli del continente.

Il Sassuolo vince 5-1 al Mapei Stadium contro la Ternana e si qualifica al Quarto Turno Eliminatorio di Coppa Italia nel quale sfiderà il Catania.


I neroverdi sbloccano il risultato al 9': lancio di Magnanelli, sponda di Duncan a centro area e botta al volo di Boateng che segna il primo gol ufficiale della stagione. Al 21' fallo di mano in area di Diakhitè, l'arbitro assegna il penalty che Berardi trasforma. Al 29' percussione sulla destra di Duncan che entra in area e con un diagonale destro batte Iannarilli. Nella fase finale del primo tempo il Sassuolo trova il quarto gol con una prodezza di Berardi che in area dribbla secco il suo avversario e di destro infila la rete. Nel secondo tempo va vicino al gol anche il neo-entrato Boga con un colpo di testa che Iannarilli respinge con un intervento prodigioso, poco dopo la Ternana trova il gol del 4-1 con Defendi. Nel finale c'è gloria anche per il capitano neroverde Magnanelli che spara in rete dal limite dell'area piccola su una ribattuta dopo un tentativo di Boga.

IL TABELLINO
Sassuolo-Ternana 5-1
Marcatori: 9' Boateng (S), 21' rig. e 41' Berardi (S), 29' Duncan (S), 72' Defendi (T), 80' Magnanelli (S)
SASSUOLO: Consigli; Lirola, Magnani, Ferrari, Rogerio; Duncan, Magnanelli, Sensi (74' Bourabia); Berardi, Boateng (65' Babacar), Di Francesco (65' Boga).
A disp: Pegolo, Sernicola, Dell'Orco, Ferraresi, Adjapong, Missiroli, Djuricic, Odgaard, Matri.
All. Roberto De Zerbi
TERNANA: Iannarilli; Vives (58' Giraudo), Lopez, Vantaggiato (85' Repossi), Frediani, Fazio, Bergamelli, Rivas (46' Furlan), Altobelli, Defendi, Diakhitè.
A disp: Vitali, Gagno, Favalli, Nesta, Mazzarani.
All. Luigi De Canio
Arbitro: Calvarese di Teramo
Assistenti: Caliari di Legnago - Galetto di Rovigo
Quarto ufficiale: Rapuano di Rimini
Note: circa 400 spettatori. Ammoniti Rogerio (S), Duncan (S), Lopez (T)
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