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Ratzinger: calcio, paradiso in terra

il caso

Il binomio «panem et circenses» non spiega il fascino del gioco. Esso spopola perché unisce un’eco della liberazione dell’uomo dal tempo a regole ferree e intenti comuni.

In epoca di Mondiali, la sorprendente analisi del futuro Pontefice
«No all’industria del gioco, il campo insegni la disciplina»

DI GIACOMO SAMEK LODOVICI - avvenire

I l testo che qui pubblichiamo, scritto dall’allora cardinal Ratzinger, può risultare sorprendente per chi non ne conosca l’autore, in particolare i suoi detrattori. Infatti, oltre ad essere un testo antropologicamente profondo, contribuisce a far luce sulla sua personalità, perché mostra che Benedetto XVI non è un arcigno moralista o un intellettuale snob che disprezza le manifestazioni sportive, soprattutto se interessano le masse.

L’attuale Papa è tutt’altro che un uomo duro ed inflessibile, piuttosto è una persona mite e affettuosa, come palesò la sua commozione quando celebrò il funerale del suo predecessore, o come è risultato evidente in vari momenti del pontificato, per esempio nell’incontro con alcuni senza tetto o con alcune vittime degli abusi di alcuni preti. Nel contempo egli è saldo nel difendere strenuamente la dignità umana e la fede dei semplici.

Questo testo sui mondiali di calcio spiega le ragioni del fascino che essi esercitano. Lungi da moralismi (spiegare l’interesse per questa manifestazione riducendolo alla logica del

panem et circenses o solo con l’efficacia del marketing commerciale), Ratzinger svolge un’analisi della natura del gioco, e del calcio in particolare, che – spiega – tocca qualcosa di radicalmente umano. Infatti, nel calcio avviene una felice sintesi tra la libertà (che trascende le necessità della vita quotidiana ed asseconda una nostalgia per un Paradiso perduto, anticipando la dimensione di quello futuro) e le regole dell’interazione, una sintesi dove la libertà è possibile grazie alle regole (e perciò educa alla vita).

Il tema del gioco è molto affascinante ed ha suscitato l’attenzione di numerosi autori.

Esso è un’attività libera (un gioco svolto per costrizione diventa altro, per esempio un lavoro), esercitata in vista dell’interruzione della fatica del corpo, del riposo dello spirito, della sua distrazione e del suo divertimento, che inoltre esprime la creatività della persona, nonché la sua capacità di distaccarsi dalle attività pragmatiche per compiere un agire «autotelico», cioè fine a se stessa, dato che non rinvia ad uno scopo di utilità, interesse o bisogno materiale.

Risponde semmai a bisogni estetici – in quanto il gioco crea qualcosa di nuovo e di personale, di ben costruito, è una modalità dell’attività artistica–- ed al desiderio dello spirito. Quest’ultimo, infatti, anela sia all’autorealizzazione del sé, e nel gioco si cerca di dare appunto il meglio di se stessi in quella sfera, sia ad una dimensione dell’esistenza, di cui il gioco è anticipazione, in cui la regola non è più minimamente in antitesi con la spontaneità: perciò il bambino – nella cui vita la dimensione del gioco è costitutiva – è insieme origine dell’esistenza umana e figura di Tempi Nuovi, ultraterreni.

In effetti, se si trasgrediscono le regole, il mondo del gioco crolla, perciò 'il giocatore che si sottrae alle regole è un guastafeste» (come ha sottolineato Johan Huizinga, uno storico che ha investigato acutamente il fenomeno ludico nel suo Homo ludens). Egli guasta la malìa di un modo d’essere che è festa, pur essendovi delle regole, e che è prefigurazione della Festa.

Ma è un guastafeste anche chi non prende sul serio il gioco. E questo ci dice che nel gioco c’è non soltanto gioiosità, piacere e leggerezza, ma anche la serietà (che è diversa dalla seriosità), così palese nell’impegno che in esso riversano i bambini, ed allude alla serietà-gioiosa della beatitudine eterna.

Quest’ultima è superamento di tutto ciò che è pesante, doloroso e oppressivo nel quotidiano, è il raggiungimento del proprio compimento, la questione più importante dell’uomo.

la riflessione

«Lo sport è evasione dalla serietà schiavizzante del quotidiano per la serietà del bello»

DI JOSEPH RATZINGER

R egolarmente ogni quattro anni il campionato mondiale di calcio si di­mostra un evento che affascina cen­tinaia di milioni di persone. Nessun altro av­venimento sulla terra può avere un effetto altrettanto vasto, il che dimostra che questa manifestazione sportiva tocca un qualche e­lemento primordiale dell’umanità e viene da chiedersi su cosa si fondi tutto questo potere di un gioco. Il pessimista dirà che è come nell’antica Roma. La parola d’ordine della massa era: panem et circenses , pane e circo. Il pane e il gioco sarebbero dunque i contenuti vitali di una società decadente che non ha altri obiettivi più elevati. Ma se anche si accettasse questa spiegazione, es­sa non sarebbe assolutamente sufficiente. Ci si dovrebbe chiedere ancora: in cosa risie­de il fascino di un gioco che assume la stes­sa importanza del pane? Si potrebbe ri­spondere, facendo ancora riferimento alla Roma antica, che la richiesta di pane e gio­co era in realtà l’espressione del desiderio di una vita paradisiaca, di una vita di sazietà senza affanni e di una libertà appagata. Per­ché è questo che s’intende in ultima anali­si con il gioco: un’azione completamente li­bera, senza scopo e senza costrizione, che al tempo stesso impegna e occupa tutte le forze dell’uomo. In questo senso il gioco sa­rebbe una sorta di tentato ritorno al para­diso: l’evasione dalla serietà schiavizzante della vita quotidiana e della necessità di gua­dagnarsi il pane, per vivere la libera serietà di ciò che non è obbligatorio e perciò è bel­lo.

Così il gioco va oltre la vita quotidiana. Ma, soprattutto nel bambino, ha anche il carat­tere di esercitazione alla vita. Simboleggia la vita stessa e la anti­cipa, per così dire, in una maniera libera­mente strutturata. A me sembra che il fa­scino del calcio stia essenzialmente nel fatto che esso colle­ga questi due aspetti in una forma molto convincente. Costringe l’uomo a imporsi u­na disciplina in modo da ottenere con l’al­lenamento, la padronanza di sé; con la pa­dronanza, la superiorità e con la superio­rità, la libertà. Inoltre gli insegna soprattut­to un disciplinato affiatamento: in quanto gioco di squadra costringe all’inserimento del singolo nella squadra. Unisce i giocato­ri con un obiettivo comune; il successo e l’insuccesso di ogni singolo stanno nel suc­cesso e nell’insuccesso del tutto. Inoltre, in­segna una leale rivalità, dove la regola co­mune, cui ci si assoggetta, rimane l’ele­mento che lega e unisce nell’opposizione. Infine, la libertà del gioco, se questo si svol­ge correttamente, annulla la serietà della ri­valità. Assistendovi, gli uomini si identifica­no con il gioco e con i giocatori, e parteci­pano quindi personalmente all’affiatamen­to e alla rivalità, alla serietà e alla libertà: i gio­catori diventano un simbolo della propria vi­ta; il che si ripercuote a sua volta su di loro: essi sanno che gli uomini rappresentano in loro se stessi e si sentono confermati. Natu­ralmente tutto ciò può essere inquinato da uno spirito affaristico che assoggetta tutto alla cupa serietà del denaro, trasforma il gio­co da gioco a industria, e crea un mondo fit­tizio di dimensioni spaventose.

Ma neppure questo mondo fittizio potreb­be esistere senza l’aspetto positivo che è al­la base del gioco: l’esercitazione alla vita e il superamento della vita in direzione del pa­radiso perduto. In entrambi i casi si tratta però di cercare una disciplina della libertà; di esercitare con se stessi l’affiatamento, la rivalità e l’intesa nell’obbedienza alla rego­la. Forse, riflettendo su queste cose, po­tremmo nuovamente imparare dal gioco a vivere, perché in esso è evi dente qualcosa di fondamentale: l’uomo non vive di solo pane, il mondo del pane è solo il preludio della vera umanità, del mondo della libertà. La libertà si nutre però della regola, della di­sciplina, che insegna l’affiatamento e la ri­valità leale, l’indipendenza del successo e­steriore e dell’arbitrio, e diviene appunto, così, veramente libera. Il gioco, una vita. Se andiamo in profondità, il fenomeno di un mondo appassionato di calcio può darci di più che un po’ di divertimento.