Sport Land News: Quando è ora gli italiani amano l'Italia

Quando è ora gli italiani amano l'Italia

MICHELE BRAMBILLA
Avevamo appena finito tutti quanti di dire e di scrivere che dell’avventura degli azzurri in questi mondiali non frega niente a nessuno, e anzi che erano sempre di più coloro che si auguravano una figuraccia, che siamo già qui a registrare un dato che ribalta tante nostre impressioni.

La prima partita della Nazionale, cioè la non certo esaltante prestazione con il non certo formidabile Paraguay, ha fatto il record di spettatori. Ventun milioni e mezzo tra Rai e Sky. Vuol dire che la partita l’hanno vista proprio quasi tutti.

Ma c’è un altro dato meno scientifico, però altrettanto reale, ed è quello sull’ancor più sorprendente proliferazione di megaschermi nelle piazze, di gente in giro con la bandiera italiana, di tricolori alle finestre. L’Italia della gente comune non solo ha visto l’Italia del calcio: ha anche tifato. Questo è un dato per molti inconfessabile, perché non c’è nulla di più banale che manifestarsi tifosi della Nazionale, e non c’è nulla di più snob che dire: della Nazionale non me ne può importare di meno. Eppure l’altra sera faceva caldo, tenevamo tutti le finestre aperte e quando De Rossi ha segnato - e si trattava solo di un modesto pareggio - s’è udito un urlo provenire dalle case accanto, evidentemente popolate da tifosi occulti come noi.

E’ strano quel che è successo l’altro ieri. Perché non si può neppure dire che, come al solito, noi italiani siamo stati solleciti nel salir sul carro dei vincitori: per adesso non ci sono vittorie da festeggiare e non c’è neppure un carro. C’è però qualche cosa di misterioso che porta tutti noi, quando l’Italia gioca ai mondiali, a prendere atto di un’inattesa prevalenza dell’emozione sulla ragione, o meglio su convinzioni che riteniamo ragionate. Per capirci: anche chi trova Lippi simpatico come un bicchiere di olio di ricino, anche chi avrebbe preso a sberle Cannavaro quando ha detto che siamo un Paese ridicolo perché qualcuno sostiene che i calciatori guadagnano troppo, forse perfino chi si dichiara non italiano ma padano, insomma anche chi crede di avere buone ragioni per «tifare contro» quando la palla è in campo avverte un senso di appartenenza di cui è il primo a meravigliarsi.

Il record di spettatori e di tifo per una pur improbabile Nazionale come questa dimostra probabilmente una cosa. Dimostra che noi italiani siamo molto meno anti-italiani di quanto diciamo e anzi ostentiamo di essere. Fa chic lamentare sempre che in Italia è tutto uno schifo, che nei Paesi anglosassoni sì che c’è un senso dello Stato, che in Francia sì che i trasporti pubblici funzionano, che negli Stati Uniti sì che valorizzano i talenti e io i miei figli li mando all’estero e bla bla bla. Da qualche anno c’è perfino una retorica terzomondista alimentata da chi, con i soldi guadagnati in Italia, va in vacanza in Paesi miserabili (ma in hotel a cinque stelle) e quando torna ammonisce: là sono tanto poveri ma hanno una dignità, mica come noi.

Tutto questo noi ossessivamente ripetiamo perché, tra i nostri tanti difetti, il peggiore sta appunto nel dire che siamo pieni di difetti. Campioni dell’autodiffamazione, ecco il nostro primato. «Siamo in Italia…» è la conclusione sconsolata di tanti nostri discorsi, come per dire: qui non si può concludere nulla di buono. Strano Paese, in cui ciascuno critica l’Italia e al tempo stesso se ne dissocia, come se gli italiani fossero sempre gli altri.

Eppure siamo molto meno peggio di quanto ci vogliamo dipingere. Tanto che, paradossalmente, perfino questo nostro continuo criticarci a volte diventa un pregio. Perché i veri difensori di una civiltà non sono i suoi goffi e retorici esaltatori, ma i suoi critici: a volte perfino i suoi detrattori e i suoi castigatori. Il mugugno di noi italiani è fastidioso e ingeneroso, ma serve pure a tenere desta l’attenzione per limitare i danni. In fondo il cinema italiano è diventato un cinema solo quando ha cominciato a smascherare le nostre miserie e le nostre viltà.

Speriamo che la Nazionale non inciampi goffamente contro qualche carneade neozelandese o slovacco. Dovesse succedere, diamo per scontato che torneremo tutti anti-italiani. Farebbe parte del nostro modo di essere. Ma per il momento prendiamo atto che l’inizio di questo Mondiale, con tanto e spontaneo tifo, è la prova che questo popolo si vuol bene molto più di quanto voglia far credere.
La stampa.it