Tre ore alla settimana, 108 in un anno. Una conoscenza progressiva e obbligatoria dello sport, tutto lo sport: da sperimentare, praticare e veder praticato da altri, quelli bravi. Discipline da provare, tutti e tutte: sport di base, nuoto e atletica, obbligatori e naturalmente gratuiti; sport di "adattamento all'ambiente", come orienteering, arrampicata, ciclismo, pattinaggio su ghiaccio o a rotelle; sport intrecciati col territorio e la cultura locale: sci per chi è in montagna, vela per chi è al mare, canoa o kayak per gli altri; sport di "cooperazione e opposizione individuale": discipline di combattimento (lotta o pugilato), di racchette (tennis o tennistavolo o badminton) di squadra (calcio, pallavolo, basket e pallamano); sport "artistici ed estetici": danza e ginnastica. Si fa tutto a scuola, durante le 108 ore e in quelle facoltative al pomeriggio, perché ogni scuola deve (non: può. Deve) essere dotata di un'associazione sportiva scolastica che dia accesso alle attività, gratuite o pagando un modesto contibuto.
Se a qualcuno l'elenco appena descritto sembra il programma del paese dei balocchi, sappia invece che è il programma dell'educazione sportiva nelle scuole elementari pubbliche in Francia, il nostro grande paese cugino. Scuole elementari, primarie, chiamatele come volete, insomma, i primi anni di vita sociale organizzata dei bambini. Si chiama EPS, un acronimo per Education Physique et Sportive, roba semplice da capire, molto più difficile da fare. Eppure loro la fanno, i
francesi che poi si incazzavano quando Bartali li batteva. Ora ci battono loro a noi, e non si parla solo di medaglie olimpiche, ma di un bel pezzo di investimento sul futuro. Per i francesi, investire sul futuro significa anche far capire ai loro bambini (e poi ragazzi, perché l'EPS continua alle medie e nei licei, quando i ragazzi cominciano - solo allora - la specializzazione in uno sport preferito) che lo sport è una fetta importante e seria della vita, e dunque va coltivata e studiata come il francese o la matematica. Perché fa stare meglio, fa stare con gli altri, insegna le regole, il rispetto e tante altre belle cose che servono parecchio da grandi.
Non è una novità, che la Francia investa così tanto nell'educazione sportiva. Lo è invece, almeno nelle intenzioni, che anche in Italia qualcuno si stia ponendo davvero il problema di come e cosa fare dello sport, dopo decenni di abbandono. Un abbandono, si badi bene, non finanziario, ma politico, culturale, strategico. Dal dopoguerra in poi, per l'Italia lo sport è stato il Coni, prima autofinanziato con le schedine, ora sovvenzionato ogni anno (oltre 400 milioni di euro nel 2012). Ma il Coni si occupa, da sempre, principalmente di due cose: vincere le medaglie olimpiche e mantenere se stesso, una macchina di burocrazia e di potere che inghiotte il 40% dei soldi disponibili. Allo sport per tutti, alle scuole, ai bambini, dovrebbe pensarci lo stato. Che non lo fa, non l'ha mai fatto seriamente, a meno di non considerare serio il programma di "alfabetizzazione motoria" varato in pompa magna tre anni fa da Coni e Ministero della pubblica istruzione: basta vedere sul sito del Miur il programma (e le risorse investite) e confrontarlo con l'Eps francese per capire perché di alfabetizzazione (e non motoria) avrebbe bisogno chi pensa di risolvere così il deficit pazzesco scavato negli anni con il resto d'Europa.
Chi quel gap lo conosce bene è Josefa Idem, che adesso fa il ministro dello sport, dopo aver fatto l'atleta olimpica per tutta la vita. Lo sa, e ha voglia di provarci. Non a copiare i francesi, ma a entrare davvero dentro le scuole con concetti semplici e preziosi: la multidisciplinarietà, le società sportive d'appoggio, la revisione dei programmi, un approccio culturale allo sport non più da dopoguerra, ma da terzo millennio. Roba elementare, appunto, che qualcuno, nelle periferie più illuminate dello sport italiano (il Trentino, per esempio, che ha programmi di avanguardia) ha già capito. Vedremo se basterà l'impegno, e la sintonia con il presidente del Coni, Malagò. Vedremo se un ministro senza portafoglio ma con parecchia energia riuscirà almeno ad accendere un luce: finora, dietro i riflettori puntati sui medaglieri olimpici, l'Italia ha sempre nascosto il buio. Ma è ora che la notte finisca, almeno quella delle idee.
(10 maggio 2013) © Riproduzione riservata - repubblica.it