Sport Land News: Storie di riscatto: i Giochi degli ultimi

Storie di riscatto: i Giochi degli ultimi


Da escluso a primo, anche se è finito ultimo. È lunghissimo il passo di ferro di Oscar Pistorius, che conclude la sua straordinaria Olimpiade insieme ai compagni del Sudafrica della 4x400. Staffetta da sogno (vinta dalle Bahamas), la favola dell’uomo senza gambe: ammissione e riscatto, le protesi restano senza podio. Ma con 100mila persone in piedi ad applaudire. Bello, da non crederci. Anche Timothy Amos l’altra sera era arrivato sul traguardo con gli occhi spalancati. Voleva vederlo tutto quel momento. Lui, secondo dietro al keniano Rudisha, imprendibile e strepitoso oro negli 800 metri con primato del mondo incorporato. A 18 anni una medaglia d’argento olimpica è già tanta roba. Specie se sei nato in Botswana, che di medaglie dal 1966 (da quando cioè si chiama così) e da 32 anni (da quando partecipa ai Giochi), non ne aveva mai vinta nemmeno una. Così Timothy per l’emozione è svenuto in pista. Per portarlo via hanno fatto venire la barella, ma lui ha lasciato lo stadio con la bandiera del suo Paese stretta in mano.


Storie di ultimi, che diventano primi. O quasi. Storie di Giochi, enorme ruota a premi che regala qualcosa a tanti. Non a tutti. Perché quello delle medaglie è una specie di circolo. Non esclusivo, ma abbastanza esigente. Fino a ieri sera, in queste Olimpiadi, 80 Paesi ne hanno vinta almeno una, ma 123 non sono mai saliti sul podio. E difficilmente il 99% di loro lo faranno tra oggi e domani, quando su Londra 2012 scenderà il sipario. Non ce la farà la Bolivia, che ci prova dal 1936. E neppure il Congo, che ai Giochi ci viene dal 1964. Per non dire di Nepal, Somalia, Cambogia o Paraguay. Pezzi di mondo che rappresentano milioni di anime, che sono ultimi tutti i giorni, e lo restano anche qui. Però lo sport è un angolo a parte. Dove la Giamaica, nazione che ha meno abitanti di Roma, nella velocità si permette di tenere in scacco il mondo. E di guardare dall’alto in basso l’America. La differenza è che qui esistono le favole. E ogni tanto diventano vere.

Quella di Gabby Douglas, all’ombra dei cerchi, è una delle più belle. Da un’oscura esistenza di stenti e allenamenti, alla fama e ricchezza in un solo giorno. La sedicenne americana diventata la prima ginnasta di colore a vincere una gara individuale (nell’all-around), torna da Londra con la vita rivoluzionata. Qualcuno ha calcolato che grazie alla medaglia e alla popolarità conquistata qui, la piccola Cenerentola nera si è già assicurata almeno 2 milioni di dollari in sponsorizzazioni. Una nota multinazionale ha già chiuso con lei un contratto per mettere la sua faccia sulle scatole dei cornflakes. Un tesoro piovuto dal cielo per un’adolescente figlia di una ragazza madre della Virginia cresciuta - o che sta ancora crescendo - con tre fratelli. Una famiglia mantenuta, finora, dalla pensione di invalidità della madre, che nel 2009 ha dovuto lasciare il lavoro per ragioni di salute. «Abbiamo lottato contro la miseria per anni – ha ammesso Gabby nella sua conferenza stampa di addio alle Olimpiadi –, mentre le altre ragazze mi raccontavano di scarpe nuove o vestiti regalati dai genitori…». Ora anche Cenerentola potrà permetterseli. Ma la rivincita degli ultimi alle Olimpiadi non è uno sport che riguarda solo i poveri.

Chiedere per conferma agli Emirati Arabi: ai Giochi ci sono già venuti 7 volte, ma hanno portato via solo una medaglia in tutto, d’oro peraltro, datata 2004. La vinse, ovviamente, uno sceicco, Ahmed Al Maktoum, sparando con la carabina. Poi i campioni, come tanti altri ricchi Paesi del Golfo Persico, hanno cominciato a comprarli all’estero per farli vincere con la loro bandiera. Qualcuno c’è riuscito ad abbandonare la casella degli “zero tituli”, ma così non vale. Perché ultimo, uno deve esserlo dentro, e per davvero. Solo così puoi diventare primo, anche senza salire sul podio. Un traguardo che di diritto ha superato di certo il vogatore nigeriano Hamadou Djibo Issaka. Gli è bastato partecipare alla semifinale del singolo maschile. Prima volta alle Olimpiadi della Nigeria in questo sport: ovviamente è arrivato parecchio dopo il penultimo. Anche perché - ha spiegato - nel suo Paese si è allenato remando su una pesante barca da pesca, l’unica disponibile. Quella sottile e tecnologica che ha usato in gara, l’ha vista per la prima volta qui. Applausi, please.

Alberto Caprotti  - avvenire.it