di Sandro Mazzola - avvenire 25 Luglio 2010
Mi sarebbe tanto piaciuto vedere dei filmati delle partite di Giuseppe Meazza, perché non so se sia stato il più grande giocatore italiano di tutti i tempi, ma di sicuro, a detta di chi ha avuto l’onore di essergli compagno di squadra o che l’ha visto giocare, era «un fenomeno che inventava calcio». La sua bella figura di uomo elegante incuteva rispetto, specie a un ragazzino come me che se l’è ritrovato allenatore nelle giovanili dell’Inter. Al primo allenamento ebbi la consapevolezza che di fronte avevo un mito vivente che era lì, ad insegnarci i fondamentali del gioco del pallone. Ma oltre alla grande esperienza del giocatoremodello, in campo Meazza dispensava a tutti noi ragazzini del vivaio nerazzurro, consigli di vita. Perle di saggezza che sono servite, anche a quei compagni che poi non hanno fatto una carriera da professionisti e hanno scelto altre strade. I suoi insegnamenti arrivavano dall’uomo che aveva conosciuto la strada e la gavetta prima di diventare il grande Peppìn.
L’elegantissimo signor Meazza. Agli allenamenti si presentava sempre rigorosamente vestito in abiti borghesi, giacca e cravatta, così tutti aspettavamo primavera per vederlo finalmente indossare la tuta che lo avvicinava un po’ di più a noi. Il suo spirito però, era rimasto quello di un giovane innamorato del calcio con il quale si è divertito tanto, anche quando aveva smesso di giocare. Lo ammiravamo, stupiti, quando calciava dei bolidi incredibili e così precisi che finivano quasi sempre in rete e non capivi mai se avesse tirato con il destro o con il sinistro, tanto era abile con entrambi i piedi. Amava scherzare ed era dotato di un’ironia tagliente. Ricordo che un giorno una troupe della Rai venne a cercarlo per una trasmissione: «Come si insegna il calcio». A Meazza chiesero di insegnare il calcio di rigore. In porta misero il 3° portiere dell’Inter, Annibale, e il giornalista concordò che Meazza avrebbe calciato a destra e lui si sarebbe tuffato a sinistra, poi avrebbe tirato a sinistra e lui si sarebbe tuffato dalla parte opposta. Annibale, preoccupato, si avvicinò a Meazza e gli chiese di evitargli quella figuraccia del portiere “spiazzato”, tanto più che poi il filmato lo avrebbero visto alla televisione: «E io - disse Annibale - che figura ci faccio con gli amici dell’oratorio?». Meazza sembrò impietosirsi, ma poi alla fine calciò due rigori di testa sua e senza nessun accordo spiazzò il povero Annibale che rimase di sasso, mentre noi che assistevamo ridevamo come dei pazzi. Era divertente quel suo modo di vivere le situazioni sempre con l’eterno spirito del giocatore che azzarda e va in cerca del numero ad effetto. Ricordo ancora il mio primo derby con il Milan a 15 anni. Meazza ci convocò alle 11 del mattino in sede e questa cosa ci eccitava tantissimo, perché era un po’ come se fosse il ritiro pre-partita della prima squadra. Entrammo nella stanza e stranamente lo trovammo con indosso una maglia nera. Ci fissò uno a a uno e poi disse: «Ragazzi, io ho giocato 6 mesi con il Milan e non me lo sono mai perdonato.
Quindi mi raccomando, oggi andate in campo e cercate di vincere e di segnare almeno 5-10 gol...». Non era uno spavaldo, aveva rispetto per tutti, a cominciare dagli avversari, ma era anche un uomo che viveva con estrema passione. In panchina, d’inverno, avvolto nel suo cappotto, fumava una sigaretta dietro l’altra e da lì vedeva e sentiva ogni respiro. Non dimenticherò mai quella volta che in campo, quando ancora per ragioni fisiche mi schierava all’ala destra, cominciai a brontolare a voce alta perchè non mi arrivava il pallone. Meazza allora si drizzò in piedi, mi chiamò da parte e con accento milanese mi disse: «Ueh “Pastina”, io ho vinto due volte il campionato del mondo e non mi sono mai lamentato con i miei compagni...». Quel rimprovero per me fu uno schiaffo paterno, mi ha aiutato a crescere e a vincere tanto, mantenendo sempre i piedi per terra. E anche per per questo io sarò sempre grato a quel grande uomo del Peppìn Meazza.