JOHANNESBURG – E’ quando il grosso grasso radiocronista brazileiro attacca il suo collegamento, mentre implode nella sua delusione mesto come un brazileiro mai dovrebbe essere; è in quel momento che si ha la netta percezione di come in Brasile l’idea della bellezza del gioco e della felicità che si porta dietro ogni dribbling, sia superiore a tutto. Randpark Golf Club di Johannesburg, il giorno dopo Brasile-Corea del Nord, mezzogiorno di totale sconforto a casa-verdeoro. Non c’è allegria e non c’è samba nelle parole del radiocronista che sta raccontando la sua disillusione a un intero popolo. Volevate gioia? Avete avuto in cambio una banalissima vittoria. Solo una nenia triste, una cantilena da vespro siciliano. Il senso di tutto è: ma che divertimento c’è a vincere così?
NOIA BRAZIL -Questi non siamo noi. L’altra sera i brasiliani – da Rio a Porto Alegre – hanno spento la tivù e si sono detti: questi non siamo noi. «Brasile noioso come un sonnifero» , titolano i quotidiani.
Uno tra i più venduti, « Folha » di San Paolo, si inventa uno slogan: non più Seleçao, ma « Selexotan » , come il farmaco del sonno. «O Globo» parla di «siccità del gol» . L’accusato numero uno è sempre lui, il mai amato Carlos Dunga, uno che i brasiliani sopportano a malapena, ma solo perché nella sua gestione il «Cucciolo » ha vinto Coppa America, Confederations Cup e girone di qualificazione ai mondiali in Sudafrica, e di più non poteva fare.
Persino Lula non l’ha presa bene. E non è un buon segno. Il presidente ha assistito alla partita con la moglie Marisa Leticia e con alcuni ministri. Festa non è stata. «Il presidente non era molto felice- ha rivelato uno del suo staff -
però è convinto che il rendimento migliorerà». Dunga, dal canto suo, non fa niente per rendersi simpatico. Ieri ha cancellato la conferenza-stampa a venti minuti dal suo inizio; nei giorni scorsi ha litigato con i giornalisti che non si capacitavano degli allenamenti a porte chiuse. Ma come, noi siamo il Brasile. A porte chiuse, e quando mai?
CRITICHE -Dunga come Capello. Motivi diversi, la stessa critica. Non ci seipiaciuto, Carlos. Gli rinfacciano il gioco, brutto e noioso,e un Kakà lontano dalla condizione, lo accusano di non dare spettacolo (ma lui si era difeso preventivamente prima del Mondiale: «Non cerco il calcio-bonito, voglio solo vincere» ) , tornano su vecchie discussioni, come quella delle convocazioni mancate. Dov’è Pato? Non ti faceva comodo uno come Ronaldinho? E Adriano, lo buttavi via? Qualcuno – pensa te a che punto sono arrivati – tira in ballo anche Ronaldo. Poi esagerano, sbeffeggiandolo per la giacca, pensata dalla figlia Gabriela, aspirante ( molto aspirante) stilista che già aveva vestito il padre ehm, ehm con una horror- camiciola che fece epoca. « O Dia » lancia addirittura un sondaggio: «Ma chi gliela ha data quella orribile giacca a Dunga?». C’è chi vota «Capitan Nemo», altri il «Piccolo Principe». Luis Fabiano prova la difesa: «C’erano coreani dapper-tutto, una marea di coreani: è difficile giocare così» . Ma in fondo, la critica più spietata, quella che fa più male, arriva dai cugini argentini, che ovviamente godono come ricci. Il «Clarin» scrive che: «Il Brasile ha solo vinto», sottolineando il « solo » . Vincere soltanto non è da Brasile, non è da noi piagnucola qui al Golf Club il radiocronista brasiliano: mi sono visto allo specchio e non mi sono riconosciuto più, dove ti sei persa bellezza, dove sei finitofutbol bailado? (corsport)