da Avvenire
Obiettivo stagionale dichiarato, almeno da noi: oh, potenti del calcio, guarite il pallone. Non vi chiediamo di scacciare i mercanti dagli stadi, missione impossibile, ma almeno provate a curare le troppe piaghe di questa sfera di cuoio, tanto amata. Lo sappiamo da un pezzo che non esistono i campionati più belli del mondo, ma ci saranno pure da qualche parte dell’universo quelli un po’ più sani e più veri. Il calcio globale, quello che si gioca in tutti i luoghi, e a tutte le ore, è un calcio profondamente malato. È la prima impressione, non di settembre, ma di questo 24 agosto, in cui riprende il campionato di Serie A.
La malattia è multifattoriale e origina dalla violenza (ritorno prepotente degli hooligans in Inghilterra, avverte il Times), dai capi ultrà morti sparati che diventano martiri della Curva. Ma in questo sistema patologico metteteci tutto ciò che nella società civile non sarebbe mai permesso e che invece può chi governa una società di calcio. Tipo i presidenti maneggioni (italiani, arabi, cinesi, russi, americani) che comprano club per un euro e li rivendono a centinaia di milioni, quelli che possono truccare conti, plusvalenze, fallire, finire in galera, espatriare e poi rientrare in Italia e rimettersi comodamente in gioco. Sono i predatori che azzannano le carogne dell’eldorado pallonaro. E le vittime? Siamo noi.
La gente comune che paga il biglietto d’ingresso in tribuna, sempre più caro, la famiglia che conferma anche quest’anno l’abbonamento alla pay-tv, il papà che porta il figlio per la prima volta allo stadio e scopre che la maglia della squadra del cuore è la più costosa da acquistare rispetto al prezzo delle casacche originali dei club europei... Un calcio davvero sano e più a misura d’uomo non si permetterebbe, come accade, di essere irrimediabilmente nelle mani dei procuratori dalle sette pance e dai dieci telefonini (con i quali gestiscono il calciomercato). Non si consentirebbe di essere sempre aperto e sempre più simile al mercato delle vacche. Un’oligarchia al potere, specchio purtroppo della maggior parte dei governi del mondo, in cui i pochi ricchi si arricchiscono sempre di più e i tanti poveri precipitano nell’abisso della miseria comune. Ma questo il tifoso, invasato – per antonomasia –, ipnotizzato da Cristiano o da Lukaku, non lo vede e non lo sente. Il calcio per loro è malattia. E fa bene il figliol prodigo Mario Balotelli appena rientrato a 'casa Brescia' ad augurarsi di ritrovare almeno un campionato italiano «meno razzista » rispetto a quello che aveva lasciato. Sogno di una notte di fine estate.
Nella liberalissima Inghilterra in cui Mario ha giocato (Manchester City e Liverpool) non è che a razzismo stiano messi meglio: la Premier al secondo turno ha già registrato tre episodi pesantissimi di intolleranza. Ultimo, il linciaggio sui social da parte dei tifosi del Manchester United di Paul Pogba per il solo fatto di aver sbagliato un rigore. La passata stagione il capro espiatorio del 'razzismo all’italiana' è stato il difensore del Napoli Koulibaly, il quale più volte tentò di convincere l’arbitro a sospendere la partita. Altra missione impossibile. Noi chiediamo sin dal primo minuto di questa stagione 2019-2020 che in caso di cori e gesti razzisti si trovi il coraggio di sospendere l’incontro e di rimandare le squadre negli spogliatoi. Mister Igor Trocchia quel coraggio, ritirare dal campo i ragazzini del Pontisola per insulto razzista a un suo giocatore, ce l’ha avuto.
È vero, la sta ancora pagando con l’emarginazione da parte di quella dirigenza che nutre in seno la serpe del calcio avvelenato, ma il presidente Mattarella si è accorto di mister Trocchia e l’ha premiato per il fairplay e per aver agito da uomo vero, da buon padre di famiglia. Un altro grande mister, uomo vero e buon padre di famiglia, non sarà in panchina in questa prima giornata, l’allenatore del Bologna Sinisa Mihajlovic. La prime uscite precampionato dei suoi rossoblù Sinisa le ha seguite dal letto d’ospedale dove con gli occhi della tigre sta sfidando la leucemia. Mihajlovic parla con la squadra in videoconferenza, la rincuora, la spinge a fare sempre meglio, anche senza di lui. E questa, nonostante la malattia, è forse l’unica pagina di un calcio non-malato, è un assist alla speranza. Che si possa ancora tornare a vedere un calcio fatto di gesti umani e di protagonisti esemplari. Che si possa ritrovare una sana passione di cuoio, senza più piaghe. Che a parlare sia solo il campo, l’odore indimenticabile d’erba fresca di un prato verde, dove i nostri sogni di eterni bambini innamorati di sport possano ancora rimbalzare, come un pallone. Questo sì che sarebbe il campionato più bello del mondo. Proviamoci. E adesso, fischio d’inizio.