«E correndo correndo di notte da solo, prendi la tua tuta blu, stella stella crudele e sincera, fammi correre di più...», canta Antonello Venditti in Correndo correndo. È il brano dedicato a uno dei suoi eroi della “magica Roma” (quella dello scudetto, stagione 1982-’83) il fluidificante della corsia di sinistra Sebastiano Nela, per la torcida giallorossa, semplicemente Sebino il grande. Venditti quella canzone la incise nel 1987, quando Nela era alle prese con il recupero da un brutto infortunio al ginocchio. «Picchia Sebino», chiedevano a gran voce i Ragazzi della Sud, e lui, a 52 anni, ha appena finito di “picchiare” l’avversario più ostico che abbia mai incontrato, il cancro. «Lo scorso autunno mi diagnosticarono un tumore al colon con presenza di metastasi. I medici mi dissero che non c’era tempo da perdere, così il 14 novembre sono stato operato». Poi la dura lotta contro il male e le sedute di chemioterapia.
«La prima sensazione naturalmente è stata di paura. Paura di non farcela, il terrore della morte che condividi con tante persone... Finchè certe esperienze non ti toccano direttamente, molto spesso non si ha idea di quanta gente ci sia negli ospedali che soffre – dice emozionato Nela – . Sono stati 8 mesi difficili e il pensiero a volte andava a mio padre che due anni fa è morto di cancro. Ho pregato Dio che mi desse la forza di reagire. Ho preso la situazione di petto, cercando di mantenere sempre uno spirito positivo, anche perché non mi andava di farmi vedere giù di morale da mia moglie e dalle nostre due figlie. L’amore della mia famiglia è stato fondamentale per uscire dal tunnel». Poi c’è stato il grande affetto della sua seconda famiglia, la Roma dello scudetto di trent’anni fa. «I ragazzi (Conti, Pruzzo, Chierico e gran parte di quella rosa giallorossa che risiede ancora a Roma, ndr) sono stati meravigliosi e non smetterò mai di ringraziarli per il loro affetto e il sostegno che mi hanno dato. Ogni lunedì sera organizzavano una cena per stare assieme e per non farmi pensare alle terapie alle quali dovevo sottopormi durante la settimana. E poi è stato importante continuare a lavorare come commentatore. A quelli di Mediaset ho solo chiesto nei mesi invernali di non spedirmi troppo lontano, non potevo rischiare di beccarmi un’influenza...».
Ora l’inverno è finito da un pezzo e con la primavera Sebino, ha picchiato ancora duro contro il male. L’ultimo ciclo di chemio l’ha sostenuto tre settimane fa e l’11 luglio il risultato finale dice che ha vinto ancora lui. «La tac ha dato esito positivo, tutti i valori sono tornati alla normalità... Provi a non pensarci più, ma poi pensi che vorresti fare qualcosa per chi sta ancora male, specie per i bambini. E poi quando senti che Tito Vilanova ha dovuto lasciare il Barcellona per una recidiva provi tanta amarezza, perché sai che cosa significa dovere combattere tutti i giorni contro certo malattie. Ma un attimo dopo mi dico anche che è tempo di andare avanti e di ricominciare..». Ha ricominciato da Riscone di Brunico, dove è in ritiro la Roma di Garcia e domenica Sebino è pure tornato in campo con le vecchie glorie romaniste nella partita di beneficenza contro la Nazionale dei magistrati. «Abbiamo vinto noi e per me in questo periodo è come essere tornato ai giorni dei festeggiamenti per il nostro scudetto». Il secondo storico tricolore della “Maggica” guidata dal barone Nils Liedholm; la società di quel nobil signore del senatore Dino Viola. «Credo che tranne per le ultime generazioni, la nostra Roma sia rimasta nel cuore dei tifosi molto più di quella di Capello che vinse lo scudetto nel 2001... Forse perché era una squadra tutta italiana, forse perché era ancora un calcio più umano. Oggi c’è una proprietà americana con dirigenti che spuntano da tutte le parti, comprano 40 giocatori e mettono sotto contratto venti fisioterapisti. Insomma non si capisce più niente». Parola della “bandiera Nela” che è rimasto profondamente legato alla Roma e ha sempre sognato di poterci tornare a lavorare un giorno. Ma a parte Bruno Conti, della vecchia guardia non c’è mai stato spazio per nessuno di quei ragazzi dell’83. «C’è solo Bruno è vero, e anche lui durante l’era Sensi ha avuto dei momenti in cui stava per mollare... Io sono stato a un passo dal rientro, quando ho fatto da mediatore per portare Rudi Voeller sulla panchina della Roma. L’operazione andò in porto, ma qualcuno ha pensato che non meritassi neppure un “grazie” e mi hanno sbattuto la porta in faccia. Ma va bene così: ho un patentino da direttore sportivo e quello da allenatore di prima categoria. Faccio il commentatore in tv e ho spalle belle larghe, continuo per la mia strada». Le spalle grosse, come i polpacci del gladiatorio Sebino, 281 battaglie (con 16 gol segnati) combattute con la maglia giallorossa e allenato fin dagli inizi a non arrendersi mai. «La mia carriera poteva chiudersi già a vent’anni. In un Napoli-Roma per la gomitata fortuita del mio compagno Dario Bonetti ebbi un arresto cardiaco. Per undici anni a ogni inizio stagione dovevo andare a Trento a farmi confermare l’idoneità agonistica dal prof. Furlanello. Quando sento di giovani calciatori che muoiono o di quei colleghi come Borgonovo che sono stati stroncati dalla Sla qualche domanda me la faccio... La mia generazione, che io sappia, può avere abusato di micoren e di voltaren e di qualche “bibitone”, ma personalmente non solo non ho mai preso nessuna sostanza, ma ho perfino repulsione per l’ago. Il doping aiuterà a correre di più, ma nel calcio la differenza la fa ancora la tecnica. E con quello che circola da noi, gente come Totti e Pirlo possono campare di rendita ancora per parecchio».
Mancano i fantasisti, ma anche i fluidificanti alla Nela («se è per questo anche i portieri, togli Buffon il resto sono solo stranieri», sottolinea Sebino) che ha un solo rimpianto: la Nazionale. «Feci i Mondiali di Messico ’86 con Bearzot, dopo Vicini mi aveva promosso titolare, ed erano anni in cui in per quel ruolo c’erano De Agostini, Carobbi, Di Chiara e stava sbocciando Paolo Maldini. Poi l’infortunio e sono rimasto con sole 6 presenze in azzurro, ma ne avrei potute fare almeno una ventina. Però, ora più che mai, so che sono altre le cose che contano, anche nella vita di un uomo di calcio...». Ciò che conta per Nela è «sentirsi più forte di prima». E Venditti anche stasera può dedicare al suo Sebino: «Ed il bosco e lo stadio si illumina a giorno un applauso ti farà, corri forte dietro al cespuglio, acqua pura ci sarà...».
«La prima sensazione naturalmente è stata di paura. Paura di non farcela, il terrore della morte che condividi con tante persone... Finchè certe esperienze non ti toccano direttamente, molto spesso non si ha idea di quanta gente ci sia negli ospedali che soffre – dice emozionato Nela – . Sono stati 8 mesi difficili e il pensiero a volte andava a mio padre che due anni fa è morto di cancro. Ho pregato Dio che mi desse la forza di reagire. Ho preso la situazione di petto, cercando di mantenere sempre uno spirito positivo, anche perché non mi andava di farmi vedere giù di morale da mia moglie e dalle nostre due figlie. L’amore della mia famiglia è stato fondamentale per uscire dal tunnel». Poi c’è stato il grande affetto della sua seconda famiglia, la Roma dello scudetto di trent’anni fa. «I ragazzi (Conti, Pruzzo, Chierico e gran parte di quella rosa giallorossa che risiede ancora a Roma, ndr) sono stati meravigliosi e non smetterò mai di ringraziarli per il loro affetto e il sostegno che mi hanno dato. Ogni lunedì sera organizzavano una cena per stare assieme e per non farmi pensare alle terapie alle quali dovevo sottopormi durante la settimana. E poi è stato importante continuare a lavorare come commentatore. A quelli di Mediaset ho solo chiesto nei mesi invernali di non spedirmi troppo lontano, non potevo rischiare di beccarmi un’influenza...».
Ora l’inverno è finito da un pezzo e con la primavera Sebino, ha picchiato ancora duro contro il male. L’ultimo ciclo di chemio l’ha sostenuto tre settimane fa e l’11 luglio il risultato finale dice che ha vinto ancora lui. «La tac ha dato esito positivo, tutti i valori sono tornati alla normalità... Provi a non pensarci più, ma poi pensi che vorresti fare qualcosa per chi sta ancora male, specie per i bambini. E poi quando senti che Tito Vilanova ha dovuto lasciare il Barcellona per una recidiva provi tanta amarezza, perché sai che cosa significa dovere combattere tutti i giorni contro certo malattie. Ma un attimo dopo mi dico anche che è tempo di andare avanti e di ricominciare..». Ha ricominciato da Riscone di Brunico, dove è in ritiro la Roma di Garcia e domenica Sebino è pure tornato in campo con le vecchie glorie romaniste nella partita di beneficenza contro la Nazionale dei magistrati. «Abbiamo vinto noi e per me in questo periodo è come essere tornato ai giorni dei festeggiamenti per il nostro scudetto». Il secondo storico tricolore della “Maggica” guidata dal barone Nils Liedholm; la società di quel nobil signore del senatore Dino Viola. «Credo che tranne per le ultime generazioni, la nostra Roma sia rimasta nel cuore dei tifosi molto più di quella di Capello che vinse lo scudetto nel 2001... Forse perché era una squadra tutta italiana, forse perché era ancora un calcio più umano. Oggi c’è una proprietà americana con dirigenti che spuntano da tutte le parti, comprano 40 giocatori e mettono sotto contratto venti fisioterapisti. Insomma non si capisce più niente». Parola della “bandiera Nela” che è rimasto profondamente legato alla Roma e ha sempre sognato di poterci tornare a lavorare un giorno. Ma a parte Bruno Conti, della vecchia guardia non c’è mai stato spazio per nessuno di quei ragazzi dell’83. «C’è solo Bruno è vero, e anche lui durante l’era Sensi ha avuto dei momenti in cui stava per mollare... Io sono stato a un passo dal rientro, quando ho fatto da mediatore per portare Rudi Voeller sulla panchina della Roma. L’operazione andò in porto, ma qualcuno ha pensato che non meritassi neppure un “grazie” e mi hanno sbattuto la porta in faccia. Ma va bene così: ho un patentino da direttore sportivo e quello da allenatore di prima categoria. Faccio il commentatore in tv e ho spalle belle larghe, continuo per la mia strada». Le spalle grosse, come i polpacci del gladiatorio Sebino, 281 battaglie (con 16 gol segnati) combattute con la maglia giallorossa e allenato fin dagli inizi a non arrendersi mai. «La mia carriera poteva chiudersi già a vent’anni. In un Napoli-Roma per la gomitata fortuita del mio compagno Dario Bonetti ebbi un arresto cardiaco. Per undici anni a ogni inizio stagione dovevo andare a Trento a farmi confermare l’idoneità agonistica dal prof. Furlanello. Quando sento di giovani calciatori che muoiono o di quei colleghi come Borgonovo che sono stati stroncati dalla Sla qualche domanda me la faccio... La mia generazione, che io sappia, può avere abusato di micoren e di voltaren e di qualche “bibitone”, ma personalmente non solo non ho mai preso nessuna sostanza, ma ho perfino repulsione per l’ago. Il doping aiuterà a correre di più, ma nel calcio la differenza la fa ancora la tecnica. E con quello che circola da noi, gente come Totti e Pirlo possono campare di rendita ancora per parecchio».
Mancano i fantasisti, ma anche i fluidificanti alla Nela («se è per questo anche i portieri, togli Buffon il resto sono solo stranieri», sottolinea Sebino) che ha un solo rimpianto: la Nazionale. «Feci i Mondiali di Messico ’86 con Bearzot, dopo Vicini mi aveva promosso titolare, ed erano anni in cui in per quel ruolo c’erano De Agostini, Carobbi, Di Chiara e stava sbocciando Paolo Maldini. Poi l’infortunio e sono rimasto con sole 6 presenze in azzurro, ma ne avrei potute fare almeno una ventina. Però, ora più che mai, so che sono altre le cose che contano, anche nella vita di un uomo di calcio...». Ciò che conta per Nela è «sentirsi più forte di prima». E Venditti anche stasera può dedicare al suo Sebino: «Ed il bosco e lo stadio si illumina a giorno un applauso ti farà, corri forte dietro al cespuglio, acqua pura ci sarà...».
Massimiliano Castellani - avvenire.it