Dopo
la vittoria degli azzurri a Everan (o Yeveran, fate vobis) contro la
nazionale armena, nonostante il primo posto in classifica nel girone di
qualificazione ai Mondiali di Brasile 2014, abbiamo avvertito qualche
segnale di stanchezza da parte della solita frangia critica che
manipola la pubblica ottusità. La campagna del “rinnovamento italiano”
del calcio, condotta – secondo noi magistralmente - negli ultimi due
anni dal "ct più umano, più vero" Cesare Prandelli,
comincia a far serpeggiare i primi malumori tra gli scettici scribi di
corte. Sì sa che la gente, specie quella degli stadi, ha scarsa memoria:
non ricorda più che l’Italia veniva da un Mondiale del Sudafrica (2010)
disastroso (complice anche la superbia lippiana) e che era partita per
gli Europei di Polonia e Ucraina (2012) con l’obiettivo “massimo” di
superare almeno il primo turno.
Invece, grazie anche alla saggezza e alla serenità oratoriale innestata dal Cesare, in un gruppo composto anche da “geni ribelli, alias ragazzi difficili” come Balotelli e Cassano (ancora non convocato), l’Italia è arrivata fino in fondo: sconfitta solo in finale dall’invincibile armata Spagnola. “L’unica squadra in grado di dettare legge e di vincere le partite già prima di giocarle”, dice Prandelli, incensando giustamente la fenomenologia della Spagna bicampione d’Europa e campione del mondo in carica. Questo a giustificare i suoi ragazzi che appena manifestano qualche calo di tensione e non offrono quel bel calcio organizzato, spregiudicato e frizzante (quasi anti-italico, perché finalmente offensivo) vengono subito ripresi per un orecchio. Prandelli giustamente non ci sta, difende il suo gruppo e il suo lavoro, tirando dritto per la strada intrapresa che è quella che siamo sicuri porterà ad altri buoni risultati. A cominciare , si spera, da domani sera a San Siro, con l’Italia che replica con la Danimarca.
A Roma e dintorni intanto il problema nazionale non sono mica gli scandali della politica regionale, ma la “punizione” inflitta da Zdenek Zeman ai due “dissidenti” De Rossi e Osvaldo. Sempre secondo la stampa più illuminata, Prandelli ha “liberato” i due romanisti e loro per riconoscenza al Cesare salvatore gli hanno regalato i due gol decisivi nella partita con l’Armenia. La riabilitazione azzurra dei romanisti De Rossi e Osvaldo, così diventa un pretesto per mettere sempre in mezzo, come un prezzemolone, al tecnico boemo, sul quale ormai esiste una letteratura sterminata.
Persino Aldo Grasso nella prima pagina del Corrierone di domenica, sta lì ad interrogarsi sulla teoria di Alessandro Giuli che scrive: “Il problema dell’As Roma è che ha scelto Platone per la panchina, ma gli ha messo in rosa troppe stelle senza cielo, e lo ha precipitato in un sistema solare irrancidito dalla consuetudine della peggio negligenza capitolina”. D’ora in poi sfidiamo chiunque a negare la valenza altamente filosofica, nonché culturale, che possiede il gioco del calcio, specie in questa nostra Repubblica fondata sul pallone.
Invece, grazie anche alla saggezza e alla serenità oratoriale innestata dal Cesare, in un gruppo composto anche da “geni ribelli, alias ragazzi difficili” come Balotelli e Cassano (ancora non convocato), l’Italia è arrivata fino in fondo: sconfitta solo in finale dall’invincibile armata Spagnola. “L’unica squadra in grado di dettare legge e di vincere le partite già prima di giocarle”, dice Prandelli, incensando giustamente la fenomenologia della Spagna bicampione d’Europa e campione del mondo in carica. Questo a giustificare i suoi ragazzi che appena manifestano qualche calo di tensione e non offrono quel bel calcio organizzato, spregiudicato e frizzante (quasi anti-italico, perché finalmente offensivo) vengono subito ripresi per un orecchio. Prandelli giustamente non ci sta, difende il suo gruppo e il suo lavoro, tirando dritto per la strada intrapresa che è quella che siamo sicuri porterà ad altri buoni risultati. A cominciare , si spera, da domani sera a San Siro, con l’Italia che replica con la Danimarca.
A Roma e dintorni intanto il problema nazionale non sono mica gli scandali della politica regionale, ma la “punizione” inflitta da Zdenek Zeman ai due “dissidenti” De Rossi e Osvaldo. Sempre secondo la stampa più illuminata, Prandelli ha “liberato” i due romanisti e loro per riconoscenza al Cesare salvatore gli hanno regalato i due gol decisivi nella partita con l’Armenia. La riabilitazione azzurra dei romanisti De Rossi e Osvaldo, così diventa un pretesto per mettere sempre in mezzo, come un prezzemolone, al tecnico boemo, sul quale ormai esiste una letteratura sterminata.
Persino Aldo Grasso nella prima pagina del Corrierone di domenica, sta lì ad interrogarsi sulla teoria di Alessandro Giuli che scrive: “Il problema dell’As Roma è che ha scelto Platone per la panchina, ma gli ha messo in rosa troppe stelle senza cielo, e lo ha precipitato in un sistema solare irrancidito dalla consuetudine della peggio negligenza capitolina”. D’ora in poi sfidiamo chiunque a negare la valenza altamente filosofica, nonché culturale, che possiede il gioco del calcio, specie in questa nostra Repubblica fondata sul pallone.
Tornando al campo, con la Serie A chiusa per la Nazionale, abbiamo
ammirato da vicino la B e la corazzata Sassuolo (vedi link). Una realtà
consolidata e un modello organizzativo da seguire la società emiliana di
patron Squinzi. Il presidente di Confindustria, in un tempo di
colossali beghe economiche, almeno un giorno alla settimana può
rilassarsi con i suoi ragazzi del Sassuolo,
autentici dominatori del campionato cadetto: 8 vittorie e un pareggio
nelle prime nove gare di campionato. Record. Meglio anche della
Juventus, quella della stagione 2006-2007 quando i bianconeri vennero
retrocessi in B per lo scandalo di Calciopoli.
Ma non tocchiamo questi tasti e da Sassuolo sconfiniamo velocemente a Maranello, in casa Ferrari dove l’atmosfera è assai meno briosa. A Yeongam la Rossa ha vissuto la sua “Corea”. Dopo 112 giorni al comando della classifica, Fernando Alonso abdica lo scettro del capolista che torna a re Vettel. La sua Red Bull sorpassa, non a sorpresa, a più 6 (215 punti) la Rossa del paggio Fernando. Cinque Gran Premi da qui alla fine, un mini-mondiale in cui tutto può ancora accadere… E se la Ferrari di Alonso può ancora farcela, lo scoprirà solo correndo, molto più veloce di Vettel.
Ma non tocchiamo questi tasti e da Sassuolo sconfiniamo velocemente a Maranello, in casa Ferrari dove l’atmosfera è assai meno briosa. A Yeongam la Rossa ha vissuto la sua “Corea”. Dopo 112 giorni al comando della classifica, Fernando Alonso abdica lo scettro del capolista che torna a re Vettel. La sua Red Bull sorpassa, non a sorpresa, a più 6 (215 punti) la Rossa del paggio Fernando. Cinque Gran Premi da qui alla fine, un mini-mondiale in cui tutto può ancora accadere… E se la Ferrari di Alonso può ancora farcela, lo scoprirà solo correndo, molto più veloce di Vettel.
Massimiliano Castellani - avvenire.it