di Niccolò Nisivoccia
LIBRI
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«Sivori, il vizio» di Massimo Raffaeli
È uscito da poco Sivori, un vizio (Italic, pp. 246, 16 euro) di Massimo Raffaeli (notissimo a tutti i lettori di questo giornale e non solo); e fin dalla Premessa l'autore compie la propria dichiarazione di fede: «il calcio, insieme con la letteratura, è la passione più antica della mia vita». In effetti il libro raccoglie scritti di calcio (come annuncia il sottotitolo), la maggior parte dei quali apparsa proprio sul manifesto; e se allora di calcio e letteratura si parla, si dica subito la verità: che Raffaeli rappresenta probabilmente l'espressione più alta di letteratura calcistica che oggi l'Italia conosca (dove la formula dubitativa è giustificata solo dal rispetto del pudore, che si sa contraddistinguere Raffaeli medesimo come cifra dell'anima), pur coltivata in forme circoscritte e riposte, vale a dire esercitata in forme diverse da quelle strettamente narrative. Perché qui scrive di calcio, ma Raffaeli è molte cose insieme: è letterato tout court, è opinionista, è critico letterario, è traduttore (benché la traduzione l'abbia frequentata poco negli ultimi anni, ma sarebbe sufficiente quel piccolo gioiello che è La morte difficile di René Crevel), è promotore culturale (e basti pensare alla recentissima benemerita ripubblicazione presso BUR, accompagnata dalla sua prefazione, di Azzurro tenebra di Arpino, (acquista il libro su ibs)
da lui tenacemente sostenuta); e solo appunto non è narratore o poeta in quanto tale. Ma le sue pagine - e le sue pagine sul calcio in particolare - hanno toni e contengono suggestioni e rivelazioni e squarci, che pure spesso all'invenzione letteraria o all'illuminazione poetica lo avvicinano; e però essendo al contempo la sua scrittura anche perfetta, nel senso in cui la perfezione della scrittura la intendeva Stendhal (che ne riteneva capaci solo i banchieri): nel senso cioè di essere fatta di parole limpide e precise, così rare nella vaghezza dello scrivere e del parlare comuni.
Quasi sempre il discorso sul calcio di Raffaeli trova occasione d'essere in relazione a libri letti o ad autori amati: in Sivori, un vizio se ne trova conferma, come dimostrano - aprendolo a caso - gli scritti su Alfonso Gatto o su Vittorio Sereni, o su Brera o Soldati o lo stesso Arpino, o sul misconosciuto Salvatore Bruno o sul dimenticatissimo Velso Mucci. Ma altrove sono i protagonisti del gioco, passati o presenti: Sivori naturalmente, e poi Angelillo, Piola, Facchetti, Dirceu, Zidane; ecco, altrove sono i protagonisti del gioco ad essere protagonisti anche della pagina e a venirvi fissati in un gesto, in un carattere, in un ricordo che li fanno divenire letterari a loro volta: figure quasi mitiche e di sogno, di cui allora vorremmo rivedere immediatamente le azioni, i movimenti, i gol, o le parate. Senza tuttavia che questa dimensione quasi mitica e di sogno faccia velo a quella strettamente tecnica e tattica, in relazione alla quale pure Raffaeli dà sempre grande prova di competenza: e qui allora per tutti sarebbe sufficiente leggere gli scritti su Bulgarelli o su Annibale Frossi. Oppure, altrove ancora: certe parabole esistenziali, nel racconto che ne viene offerto, diventano poco meno che romanzi in se stesse, come quella di Matthias Sindelar, «uno dei più grandi giocatori di ogni tempo, centravanti dei biancoviola dell'Austria Vienna, alfiere del Wunderteam allenato da Hugo Meisl, lui che probabilmente era ebreo e sicuramente antinazista ... eliminato insieme con la sua compagna, una ragazza milanese, ebrea anche lei, che insegnava italiano in un liceo di Vienna e l'aveva conosciuto nella sua città ai Mondiali del '34, in ospedale, dopo che Luisito Monti, un oriundo argentino dai modi efferati, lo aveva estromesso nel corso della semifinale, il cui arbitraggio tutti reputarono uno scandalo, cercando di spezzargli un ginocchio».
Insomma, ha forse poco senso tutto sommato parlare di letteratura calcistica, quanto poco ne ha più in generale parlare di letterature di genere anziché di letteratura tout court; ma è che davvero a questo genere Raffaeli conferisce nobile dignità: la letteratura facendosi strumento d'elevazione del calcio al di sopra delle miserie cui la postmodernità ogni giorno di più ci abitua, il calcio facendosi a sua volta elemento letterario da un lato e veicolo d'amore verso la letteratura dall'altro. E forse allora Raffaeli perdonerà il torto, o magari addirittura lo accetterà di buon grado.
ilmanifesto.it 4 agosto 2010