Sport Land News: il disastro azzurro Analisi di un’eliminazione annunciata: esclusioni fatali e scelte sbagliate Ora toccherà a Prandelli ricostruire la Nazionale

il disastro azzurro Analisi di un’eliminazione annunciata: esclusioni fatali e scelte sbagliate Ora toccherà a Prandelli ricostruire la Nazionale

È una sconfitta storica Italia fuori senza alibi

ITALIA 2 SLOVACCHIA 3

DI
ANDREA SARONNI - avvenire

L
a palla del 3-3, a pochi metri dalla porta, ma­lamente ciccata da Simone Pepe al minuto 96. Pochi istanti più tardi, il fischio che sancisce il risultato finale: Slovacchia 3, Italia 2. Italia, cam­pione uscente, che viene eliminata dal Mondiale 2010. Un mucchio di fotogrammi con dentro tutte le componenti del fallimento più grande della lun­ga e gloriosa storia del calcio nazionale. La più gran­de, perché in assenza di una Corea vera e propria, ci sono dei numeri, dei fatti che inchiodano: pri­ma volta fuori da un torneo iridato senza mai vin­cere una partita, eliminazione nel girone di quali­ficazione dopo 36 anni (ultimo naufragio in tre par­tite nel 1974), ultimi classificati in un girone che ­ranking Fifa alla mano - era il più facile del lotto, cinque gol subìti andando sempre in svantaggio.

Sempre sott’acqua alla prima ondata, contro Para­guay, Nuova Zelanda, Slovacchia, sempre incapa­ci di prendere in mano la gara con decisione, per­sonalità prima dello svantaggio, di raddrizzarla e di farla propria dopo avere incassato il colpo. Un co­pione letto anche nella disastrosa partita con gli slovacchi, un copione naturale per questa Italia brutta e triste, pessimo mix allestito da Marcello Lippi tra giocatori logori (Cannavaro, Iaquinta, Gat­tuso, Zambrotta) e “bamboccioni” quali Criscito, Pepe, Marchetti, Montolivo. Un gruppo di gran bra­vi
ragazzi non eccelsi tecnicamente e assoluta­mente vuoti dal punto di vista della personalità, preda di paure che, dopo il vantaggio realizzato da Vittek grazie a uno scellerato disimpegno di De Rossi davanti alla nostra area (24’), sono evolute in chiaro, aperto terrore di correre, battersi o sempli­cemente giocare a pallone, disciplina in cui, anche con queste forze, si riteneva essere più bravi degli slovacchi.

La pochezza azzurra è stata esponenzialmente di­latata
dalla gestione del match operata da Marcel­lo Lippi, che, incredibil­mente, è stato il primo ad andare in tilt di fronte al­l’ennesimo 0-1. Il ct in­verte posizioni, cambia moduli in corsa, si gioca immediatamente due cambi ad inizio ripresa e­stromettendo il pallidissi­mo, disastroso Criscito e lo sfiatato Gattuso, messo in campo alla stregua di un poster di un condottiero grande e scomparso. Entrano Maggio, invitato a spingere e basta sulla fa­scia destra (Zambrotta, comunque tornato ai suoi tristi standard milanisti, emigra a sinistra) e Qua­gliarella, che va a comporre con Di Natale e Pepe una sorta di tridente alle spalle di Iaquinta, confu­so e per nulla incidente nel ruolo di prima punta. L’Italia, insomma, si affida all’Udinese presente e passata per non annegare: una volta i blocchi era­no quelli di Juve, Inter, Milan. Ma sono pensieri che lasciano il tempo che trovano di fronte a una rea­zione, a un tentativo di rimonta timido timido che si spegne in gol sbagliati da Iaquinta e Di Natale, su un ginocchio di Skrtel che a cavallo della linea bian­ca butta fuori il possibile 1-1 di Quagliarella. E quan­do su un angolo “di rifiatamento”, la Slovacchia e l’armadio Vittek puniscono l’ennesima, clamoro­sa sciocchezza della nostra retroguardia con un tocco sottomisura: Chiellini si fa anticipare in ma­niera grottesca (73’). Peggio si vedrà quando, in pieno as­sedio azzurro dopo l’1-2 di Di Natale (tocco a porta vuo­ta dopo una percussione di Quagliarella, indubbiamen­te l’unico a salvare la faccia, 77’), il neo-entrato Kopunek si permetterà di andare a se­gnare ricevendo diretta­mente da fallo laterale: un gol che non si vede nemme­no nelle categorie giovanili, ma in quel momento (89’) dentro quelle sbiadite maglie azzurre c’erano solo nervi e cuore, non più occhi, non più teste. Il gol del 2-3 di Quagliarella, pregevolissimo (pallonetto da fuori area, 92’), serve a regalare ulteriori e inde­siderati rimpianti e sussulti. Quella sbucciata di Pe­pe, al 96’, dice che non sempre la banca del calcio è disposta a concedere crediti in nome di un bla­sone, di una storia grande. Il Sudafrica può fare a meno di noi, da oggi ex-campioni del Mondo.