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Intervista Schillaci: Italia ridammi notti magiche

Formidabile quell’anno 1990, l’estate dei Mondiali di calcio italiani. «Notti magiche / inseguendo un gol» – cantavano Bennato e la Nannini – e fermo immagine indelebile sugli occhi spiritati della “tigre” del Cep di Palermo, Totò Schillaci. È passato oltre un quarto di secolo da certe notti e il cinquantunenne Totò di strada ne ha fatta tanta. Come sottolinea Edoardo Bennato in prefazione all’autobiografia di Schillaci – scritta dal calciatore con Andrea Mercurio –Il gol è tutto (Piemme, pagine 288, euro 17,50), «Totò bambino è arrivato lontano, in quelle notti magiche, sotto il cielo di un’estate italiana».

Stiamo per rivivere altri notti magiche anche all’Europeo di Francia?
«Non si può accostare la Nazionale di Italia ’90 a questa di Antonio Conte. La nostra era una squadra straordinaria, una delle migliori di tutti i tempi. Farne parte, aver avuto la fiducia del ct Azeglio Vicini, è stata una soddisfazione immensa. Ero partito con poche chance di giocare e alla fine mi sono ritrovato ad essere il capocannoniere del torneo (sei gol), il vincitore della Scarpa d’oro e il secondo classificato al Pallone d’oro dietro a Lothar Matthäus campione del mondo con la Germania».

Ma quel Mondiale resta forse anche uno dei suoi più grandi rimpianti sportivi...
«Arrivare solo terzi da imbattuti, con appena un gol subito da Zenga fino alla semifinale, ed essere buttati fuori ai rigori dall’Argentina, dopo aver bloccato Maradona... Sono cose che anche a distanza di tanto tempo ci ripensi e sì, fanno un po’ male. Ma è andata così, fa parte del gioco».

Il bilancio della sua carriera è comunque positivo no?
«Sono stato molto fortunato. Ho cominciato a giocare sull’asfalto nella strada del mio quartiere a Palermo, circondato da gente che ha conosciuto la fame e la galera. Io ce l’ho fatta superando continuamente tutte le sfide che si sono presentate e afferrando al momento giusto l’occasione che mi veniva data».

Una sfida che oggi continua con la sua scuola calcio palermitana.
«Ho trecento ragazzi nella scuola di via Leonardo da Vinci ai quali insegno ogni giorno che se fai sport e ti allontani dai pericoli della strada prima o poi si presenterà la buona chance. L’importante è saper trovare una passione, e che sia per un pallone da calcio, da pallavolo o da rugby, per un paio di scarpette di danza o per uno strumento musicale, l’importante è che tu segua la tua passione e la tua vita diventerà più facile e sicuramente migliore. Io questo ho fatto, ho solo assecondato la mia passione di bambino e sono arrivato al grande calcio».

Prima però c’è stato un settennale di gavetta al Messina con allenatore il “Professore” Franco Scoglio come guida.
«Uno dei tecnici più bravi e forse dimenticati del nostro calcio, ma che è sempre presente nel mio cuore. La lezione più importante del Professore? Scoglio mi diceva: “Totò vai in campo e gioca come sai, vedrai che il gol arriverà”. Aveva ragione».

Nell’89 cade il Muro di Berlino e lei diventa il nuovo bomber della Juventus.
«Un passaggio facilitato dall’incontro di amici veri in campo e fuori, come Tacconi, il terzino Napoli e il più grande campione che ha espresso il nostro calcio negli ultimi trent’anni, Roberto Baggio. Roby è stato il nostro Maradona e l’ha dimostrato ancora di più quando ha chiuso la sua carriera in provincia, al Brescia».

Alla Juve con Trapattoni ci furono momenti di grande tensione quando il giorno della strage di Capaci le disse: «Avete ucciso anche Falcone».
«Quella sera mi presentai a tavola con la squadra ignorando la notizia... Il Trap si voltò verso di me e disse quella frase, ma non lo fece con cattiveria, era soltanto addolorato e sconvolto per l’accaduto. E io più di lui: lì per lì me la presi, oggi so che la morte dei giudici Falcone e Borsellino e di tutte le vittime di mafia non è certo imputabile al popolo siciliano, il quale è composto da gente che vive del proprio lavoro e non ha niente a che fare con la malavita».

Oggi gli ultrà se la prendono con i calciatori di colore, ieri invece si accanivano contro quelli meridionali e a lei gridavano «Schillaci ruba le gomme».
«Sono cose che mi danno molto fastidio, anche perché da sempre è un costume tipicamente italiano. Io non me la sono mai presa più di tanto e ho capito che un calciatore l’unica risposta agli ignoranti può darla solo in campo, giocando al meglio e divertendo la maggior parte della gente che va allo stadio per assistere a uno spettacolo e non per insultare il meridionale o il ragazzo di colore».

Il suo calcio aveva al massimo tre stranieri, oggi ci sono squadre che quando va bene schierano tre italiani.
«E infatti le conseguenze le stiamo vivendo e pagando sulla nostra pelle. Conte ha fatto una fatica enorme a trovare ventitré giocatori da portare agli Europei. Prendete uno come Zaza, è un ottimo attaccante, ma alla Juventus nel suo ruolo ha davanti altri quattro stranieri e gli tocca andare puntualmente in panchina».

E se Zaza diventasse lo Schillaci di Francia 2016?
«Glie lo auguro di cuore, un po’ mi somiglia: Zaza sa entrare a partita in corso e cambiarla, perché vede la porta come pochi altri attaccanti in circolazione».

Lei è stato il primo italiano a sbarcare in Giappone, che ricordi ha?
«Venivo da una stagione all’Inter piena di infortuni, avevo ventinove anni ma già mi sentivo a fine carriera, così accettai l’offerta molto vantaggiosa del Júbilo Iwata. All’epoca il calcio giapponese non aveva il seguito di adesso e le cose in questi vent’anni sono nettamente migliorate in tutta l’Asia. Per lavoro vado spesso in Cina con il Club Italia e la “rivoluzione” che stanno facendo, a partire dalle scuole calcio fino all’acquisto dell’Inter, mi fa pensare che non sono lontani i tempi in cui anche i cinesi avranno una nazionale competitiva».

Si dice che il calcio sia una “fede”, ma quella Schillaci ce l’ha a prescindere da un campo di pallone...
«Dio unisce tutti i puntini per creare il nostro disegno e io mi sono sempre trovato nei puntini giusti. Unendoli, uno dopo l’altro, è venuto fuori lo splendido disegno che sto vivendo: altri giorni e notti magiche, e questo lo considero un dono divino».
Avvenire

L'Inter ai cinesi del Suning: è ufficiale


L'Inter diventa cinese, ora è ufficiale. Il gruppo Suning ha annunciato che rileverà il 68,55 percento della società nerazzurra, «è la prima operazione in Italia», ha affermato il presidente Zhang Jindong, che ha intenzione di voler «ricostruire la gloriosa storia del passato». 

Con il passaggio della maggioranza, l'Inter conferma l'uscita dal club di Massimo Moratti, mentre Erick Thohir continuerà alla guida di esso come presidente. «Questa nuova partnership - dice Thohir - porta l'Inter a compiere un passo rivoluzionario verso il futuro». 

Dopo settimane di speculazioni, la cinese Suning ha reso noto di aver raggiunto un accordo per acquistare il 68,55% dell'Inter per 270 milioni di euro. La conferma è giunta durante una conferenza stampa congiunta tra la società cinese e i vertici dell'Inter nella città di Nanchino. In base all'accordo, l'ex presidente dell'Inter, Massimo Moratti, cederà tutta la sua quota nella squadra, appena sotto il 30%. L'attuale azionista di maggioranza, Erick Thohir, rimarrà l'unico azionista di minoranza della squadra e continuerà a rivestire il ruolo di presidente mentre Moratti lascerà il club. 

«Portiamo in dote la nostra grande storia e credo che il gruppo Suning abbia tutto per farci crescere. Il nostro compito è rendere felici i nostri tifosi» ha detto Javier Zanetti, vicepresidente dell'Inter, nel corso della conferenza stampa al Sofitel Zhongshan Golf Resort di Nanchino. «L' obiettivo per la prossima stagione è costruire una squadra forte, competitiva in Campionato e in Europa, per tornare a disputare la Champions», ha aggiunto Zanetti.

Avvenire

Dalla salvezza via mare alla piscina olimpica di Rio 2016 Olimpiadi Brasile

È il percorso di Yusra Mardini, la diciotteenne siriana che esattamente un anno fa riuscì a salvarsi nuotando fino alle coste della Grecia da dover era approdata fuggendo da Damasco. In fuga non per la vittoria, ma per portare in salvo la propria vita e quella della sorella Sarah. Dalla Grecia a Berlino, dove ha cominciato ad allenarsi nella piscina costruita per i Giochi del 1936. E già questo era stato un grande successo per Yusra, che adesso sta vivendo il più bel sogno della sua pur breve esistenza: partecipare alle Olimpiadi. Ha superato la selezione che vedeva in lizza quarantadue profughi provenienti da diversi Paesi per entrare a far parte della squadra degli “Atleti rifugiati olimpici”. Un progetto promosso dal Cio che si sta per realizzare.
«Saranno dieci gli Atleti rifugiati a Rio», ha detto molto emozionato il presidente del Cio Tomas Bach, e tra questi è rientrata anche Yusra. «Sono felicissima, non posso spiegare quanto sono felice – ha detto la giovane siriana –. Quando me lo hanno detto ho pianto. Una medaglia a Rio? Non penso di essere ancora pronta per questo, magari posso sperare e sognare di conquistarla a Tokyo nel 2020». Accompagnati da altri dodici fra dirigenti, allenatori e medici, Yusra e la squadra dei Rifugiati olimpici verrà guidata a Rio dalla grande maratoneta Tegla Loroupe, che in questi anni si è battuta per i diritti dei rifugiati e per loro ha creato anche un campo d’allenamento in Kenya. Yusra non sarà la sola siriana della squadra: infatti nei dieci figura anche il suo connazionale – nuotatore anche lui – Rami Anis, che vive in Belgio. La nazione più rappresentata è il Sudan del Sud, con cinque elementi che gareggeranno nell’atletica: Yiech Pur Biel, James Nyang Chiengjiek e Paulo Amotun Lokoro tra gli uomini e Anjelina Nada Lohalith e Rose Nathike Lokonyen tra le donne. Due atleti anche della Repubblica Democratica del Congo, entrambi nel judo: un uomo, Popole Misenga, e una donna, Yolande Bukasa Mabika. Infine un etiope nell’atletica, Yonas Kinde.
«Ringrazio calorosamente i cinque comitati olimpici nazionali di Germania, Brasile, Belgio, Lussemburgo e Kenya, che ospitano questi atleti e li aiutano a inserirsi nel tessuto sociale dei loro Paesi », è stato il messaggio di ringraziamento del presidente Bach, che considera questa squadra e tutto il lavoro svolto per l’accoglienza e gli allenamenti degli atleti «un esempio importante di integrazione, un segno alla comunità internazionale. Sono fiero di questo programma: gli atleti non saranno solo aiutati per questi Giochi ma anche negli anni futuri. Sono stati scelti dopo processi di selezione e a Rio, durante la cerimonia d’ apertura dei Giochi, sfileranno subito prima del Brasile».
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