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Doping, 23 positivi dopo i riesami di Londra. Olimpiadi di Rio a rischio

Provengono da 6 nazioni, toccano 5 sport e sono attualmente in corsa per la partecipazione a Rio 2016

ROMA - Si allarga lo scandalo doping mondiale. Sono 23 gli atleti di Londra 2012 trovati positivi dopo il primo riesame delle provette. Provengono da 6 nazioni, toccano 5 sport e sono attualmente in corsa per la partecipazione a Rio 2016 che a questo punto è a rischio. Lo annuncia il Cio. I riesami con nuove tecnologia hanno riguardato 265 atleti. Lo stesso tipo di riesame aveva già individuato 31 casi positivi per Pechino 2008. Per dichiarare la piena positività bisogna ora attendere una seconda controanalisi
 Il Cio, come annunciato, ha diffuso dunque i risultati di 265 nuovi test effettuati con alcune tecnologie innovative e che hanno preso in esame le provette depositate durante l'Olimpiade inglese, disputata nell'estate 2012. Dai test sono emersi numeri che comprovano positività di atleti e coinvolgono varie discipline, ma solo dopo le controanalisi - riferisce il Cio - "potrà essere svelata l'identità degli atleti coinvolti". Dei 31 casi riconducibili alle Olimpiadi 2008 a Pechino, che dovrebbero diventare 32, dopo che il Cio ha rivelato che "esiste un altro test dal quale emergono parametri spropositati", 14 coinvolgono atleti russi (10 medagliati con un oro, quattro argenti e cinque bronzi): otto sono dell'atletica, inclusa la saltatrice in alto Anna Chicherova, due dai pesi e uno invece coinvolge un'ostacolista spagnola, Josephine Onyia. "Le nuove analisi - spiega il presidente del Cio, Thomas Bach - dimostrano, ancora una volta, la nostra determinazione nella lotta al doping. Vogliamo tenere lontano dall'Olimpiade di Rio chi ha barato. Ho già nominato un'apposita commissione che, per conto del Cio, avrà pieni poteri decisionali sulle eventuali sanzioni da infliggere agli atleti". 
Corriere dello Sport

Giro d'Italia 2016, Nibali vince la corsa rosa e bissa il successo del 2013

Vincenzo Nibali (Astana) è il vincitore della 99/a edizione del Giro d'Italia di ciclismo. Al termine della corsa partita da Apeldoorn (Olanda) il 6 maggio, e conclusasi oggi con la passerella di Torino, ha preceduto il colombiano Chaves di 52" e lo spagnolo Valverde di 1'17". E' il secondo Giro vinto da Nibali, già trionfatore nel 2013. Vincenzo Nibali ha tagliato il traguardo di Torino alzando il braccio del compagno Michele Scarponi. Un omaggio al suo gregario che lo ha sostenuto durante tutto il Giro. Prima i due si erano scambiati una pacca sulla spalla in segno di festa. "E' stata un'emozione bellissima per tutto il percorso, poi entrare qui nel circuito, con tutta quella folla, che dire...eccezionale, non ci sono parole...": così Vincenzo Nibali, fresco vincitore del Giro d'Italia, ai microfoni della Rai, dopo aver tagliato il traguardo finale a Torino. "Sono grandi emozioni", aggiunge il siciliano che è stato oggi raggiunto nel capoluogo piemontese dalla famiglia: "Sono partiti tutti ieri sera e oggi sono arrivati qui,. Avrò la possibilità di abbracciarli tutti".
SUB IUDICE L'ULTIMA VOLATA - La giuria del Giro d'Italia ha assegnato al tedesco Nikias Arndt (Team Giant) la vittoria dell'ultima tappa del Giro d'Italia, da Cuneo a Torino. Giacomo Nizzolo, primo al traguardo, è stato declassato perché la sua azione allo sprint è stata ritenuta irregolare. Sul podio con Arndt (Giant) salgono Matteo Trentin (Etixx), secondo, e Sacha Modolo (Lampre), terzo. E' la settima vittoria tedesca al Giro 2016. "Non posso fare altro che accettare il verdetto della giuria, ma è una decisione ingiusta perché so di aver fatto i movimenti giusti". Giacomo Nizzolo, vincitore di tappa declassato dalla giuria in favore del secondo arrivato, il tedesco Nikias Arndt, non nasconde la sua delusione. "Se hanno visto questo accetto la decisione - spiega - andrò a casa non felice, ma sapendo che una tappa al Giro la valgo". La giuria ha declassato Nizzolo per aver ostacolato la volata di Modolo stringendolo all'esterno. Il Giro si conclude senza vittorie azzurre in volata
PIOGGIA E CADUTE - Nuova caduta in gruppo lungo il circuito cittadino di Torino, arrivo dell'ultima tappa del Giro d'Italia: ne hanno fatto le spese, tra gli altri, i colombiani Uran Uran e Chaves. I due colombiani si sono rialzati. La strada è resa viscida dalla pioggia caduta in mattinata. Eventuali ritardi accumulati all'arrivo non determineranno comunque effetti sulla classifica in virtù della decisione della giuria di neutralizzare i tempi al primo passaggio degli otto previsti nel circuito cittadino.
A 6 chilometri dal traguardo rovinosa caduta di Sonny Colbrelli. Il corridore della Bardiani, che stava tentando un allungo, è rimasto a terra dopo un pauroso capitombolo causato dal contatto tra il suo braccio sinistro e uno spettatore ai lati della strada.
Scivolone senza gravi conseguenze per Esteban Chaves, nel corso della 21/a e ultima tappa del Giro d'Italia, da Cuneo a Torino. Il colombiano, secondo nella classifica generale del Giro, complici una distrazione dettata dal clima di festa che si respira in gruppo e la strada resa viscida dalla pioggia, ha perso il controllo della bici. Con lui sono caduti anche altri corridori dell'Orica, tutti prontamente rientrati in gruppo. Nella stessa caduta è rimasto coinvolto il danese della Lotto Soudal Lars Bak che invece è stato costretto al ritiro.
Nibali: "libero da pressioni, ed è stata svolta" - Il guizzo del fuoriclasse, la giocata che risolve una gara dopo una prestazione opaca. E' stato cosi' il Giro di Vincenzo Nibali, apatico per diciotto tappe, tra una condizione che tardava ad arrivare, strategie sbagliate e un campione in crisi d'identità che non si riconosceva più. "Non sono più io", la frase pronunciata non più tardi di martedì scorso, sembrava l'epitaffio in calce a una resa firmata dopo l'ennesima sberla rimediata sul Fai della Paganella, mica lo Zoncolan. Ma il campione non abdica mai a se stesso. Due tappe di quelle toste, con montagne vere da scalare, e riecco il Nibali vincitore di Tour, Giro e Vuelta a dettare legge sulle Alpi. All'inferno e ritorno in due giorni e sorpasso in vetta. Roba da campioni, appunto. "Il clic - spiega - è scattato quando mi sono detto che vincevo o perdevo alla fine era importante si', ma era la stessa cosa. E' stato allora che mi sono liberato di tutte le pressioni e di tutti i pensieri. Non è stato facile questo Giro, vissuto da favorito, con tutti i fari addosso. Mi è stata vicino la squadra, ma anche i colleghi di altri team che mi dicevano che poteva succedere ancora di tutto nell'ultima settimana. E poi il pubblico, un affetto straordinario sulle strade".
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Basket: playoff, Milano 1/a finalista Olimpia espugna il 'taliercio' 68-60

L'EA7 Emporio Armani Milano è la prima finalista dei playoff scudetto di basket. L'Olimpia ha infatti battuto l'Umana Reyer Venezia, espugnando il 'Talercio' in gara-6 col punteggio di 68-60 e si è portata sul 4-2. In finale incontrerà la vincente tra Grissin Bon Reggio Emilia e Sidigas Avellino (serie sul 3-3).
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Euro2016: Italia ancora da fare, solo un lampo di Pellè. Conte sa che veve ancora lavorare tanto

Una partita così così ma gli azzurri tornano alla vittoria nella penultima amichevole prima degli Europei, giocata contro la Scozia a La Valletta. E' finita 1-0, grazie a un gol di Pellè al 12' del secondo tempo, al termine di una gara con poco gioco e una girandola di cambi nel finale.Buone risposte da De Rossi, tra gli osservati speciali per via dei problemi al tendine d'Achille, che è stato poi sollevato da Jorginho a metà ripresa. 
Con Pellè goleador, è risultato invece in ombra Eder, mentre le palle gol sono capitate tutte sui piedi di Giaccherini (un'occasione dopo pochi minuti neutralizzata con una super parata da Marshall) e Candreva però poco lucidi, forse anche per via dei carichi di lavoro di questi giorni. E' andata un po' meglio nella ripresa col giocatore del Southampton in gol al 12' su verticalizzazione di De Rossi. Conte ha poi mandato in campo Bernardeschi, Insigne, Parolo, Zaza e Bonaventura.
Ci abbiamo messo molto impegno, anche se il campo che era in pessime condizioni, non ci ha aiutato. Stiamo lavorando comunque mi è piaciuto lo spirito di applicazione dei ragazzi": così il ct della nazionale Antonio Conte alla rai dopo il match contro la Scozia. "Sappiamo che dobbiamo lavorare e che abbiamo un percorso da fare - aggiunge - ma questo lo sappiamo. Non so se troveremo tutte le risposte che cerchiamo ma intanto guardiamo agli aspetti positivi: non abbiamo preso gol, non ci hanno tirato in porta e abbiamo vinto". In vista delle scelte che serviranno a definire la lista dei 23 Conte fa sapere che lui "dormirà tranquillo ma soprattutto lavoreremo per fare dormire i tifosi tranquilli".
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Finale Champions League: Real Madrid campione d'Europa, Atletico sconfitto ai calci di rigore

Il derby di Madrid giocato a San Siro regala la Champions League 2016 al Real, che batte 6-4 l'Atletico ai rigori sotto gli occhi di re Felipe, del premier Rajoy e di decine di migliaia di tifosi spagnoli. E' l'11/o successo dei madridisti nel trofeo e Zidane diventa il settimo campione ad averlo vinto sia in campo sia dalla panchina. 
Lo segna Cristiano Ronaldo il rigore della vita, quello che consegna la Champions al Real Madrid al termine di una partita infinita, fissa sul risultato di 1-1 anche dopo i tempi supplementari. Ha vinto la ragione, non il sentimento, perde il cuore contro i reali solisti. La vendetta di Lisbona e' stata mancata ma giusto di un soffio. Simeone, il grande trascinatore, l'uomo dei sogni fallisce. Protagonista la 'suerte', la fortuna che gira le spalle al Cholo e sorride a Zidane che la sfida piu' volte in questa partita. Per i colchoneros madrileni resta il sapore amaro della beffa e la Champions un tabù. Juanfran sbaglia il rigore decisivo e finisce nella polvere. Tante le lacrime, immensa l'amarezza nella curva biancorossa che iniziava a crederci, quasi immaginando di poter alzare al cielo quella coppa cosi' lungamente inseguita. Simeone fatica ad accettare il crudele verdetto consegnato dalla cabala dei rigori, ha gli occhi lucidi e lo sguardo vitreo.
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La Sidigas mantiene l'imbattibilità casalinga e liquida Reggio Emilia anche in gara 6 della semifinale play off. Lunedì 30 maggio, al Pala Bigi, la sfida decisiva che vale l'accesso alla finale

 Sarà gara 7, la "bella", a dire chi fra Grissin Bon Reggio Emilia e Sidigas Avellino andrà a giocarsi la finale scudetto. La squadra di Max Menetti non è riuscita a fare l'impresa al Pala Del Mauro e il primo match ball è stato annullato dal quintetto di Pino Sacripanti, che ha vinto 83-74 confermando la sua imbattibilità casalinga in questi play off.
Tutto da rifare, dunque, per Kaukenas e compagni che si giocheranno tutto in 40 minuti, con il vantaggio del fattore campo, contro una squadra che ha dimostrato grande forza e qualità, grazie agli americani Nunnally e Ragland ma anche al reggiano Riccardo Cervi, che sta giocando dei play off esaltanti.
Avellino, trascinata da un pubblico indemoniato, è partita bene ma non è riuscita, a differenza di quanto era accaduto in gara 4, a scrollarsi subito di dosso la formazione reggiana.

IL TABELLINO
SIDIGAS AVELLINO                 83
GRISSIN BON REGGIO EMILIA 74
SIDIGAS AVELLINO: Ragland 23, Green 7, Veikalas 5, Acker 6, Leunen 5, Cervi 16, Severini, Nunnally 17, Pini 2, Buva 2, Parlato ne, Norcino ne. Allenatore Sacripanti.

GRISSIN BON REGGIO EMILIA: Aradori 11, Needham 7, Polonara 4, Lavrinovic 9, Della Valle 7, De Nicolao 2, Parrillo, Kaukenas 22, Silins, Gentile, Golubovic 12. Allenatore Menetti.
Arbitro: Paternicò, Seghetti, Biggi.
Parziali: 21-17, 35-35, 60-54.
Note: tiri da due (Sidigas 24/39, Grissin Bon 28/45), tiri da tre (Sidigas 8/18, Grissin Bon 5/21), tiri liberi (Sidigas 11/15, Grissin Bon 3/4). Rimbalzi: Sidigas 34 (10 offensivi), Grissin Bon 28 (10 offensivi).
fonte: Gazzetta di Reggio

Cinema Cineppalone PELÉ, il Re della Ginga


Usciamo dall’Odeon, la sala milanese dove abbiamo appena assistito alla proiezione in anteprima del film dei fratelli Jeff e Michael ZimbalistPelè, ma senza la risposta all’enigma dell’ultimo secolo di storia di cuoio: meglio Pelé o Maradona? Quel raffinato intellettuale di Vladimir Dimitrijevic (1934-2011, editore – Éditions L’Âge d’Homme – e scrittore serbo, naturalizzato svizzero), nel suo splendido saggioLa vita è un pallone rotondo (Adelphi) questo annoso nodo agli scarpini l’aveva sciolto. «Pelé ha cercato di piacere ai giorna-listi, è diventato un idolo e “yes-man” dei politici. Io preferisco coloro che hanno conservato l’impertinenza dei fanciulli. È un gran bene per la società che vi siano degli adulti ma io preferisco Maradona. Uno dei miei amici mi ha detto: “è un giovinastro”. Sì, e io lo amo per questo. Egli ha provato tutto, egli è stato punito...», disse Dimitrijevic. 

Punti di vista. La realtà è che tra Edson Arantes Do Nascimento, in arte Pelé e Diego Armando Maradona passano vent’anni e mille gol di differenza, tutti a favore del brasiliano (1.283 reti segnate in carriera). Identiche sono le origini, la povertà da favela (la Bauru di Pelé, 300 km a nordovest di Santos, stato di San Paolo) o da barrio ( Villa Fiorito di Maradona, villa de emergencia a sud di Buenos Aires) e quel passo diverso dal resto dei comuni mortali del pallone. Perché uno, Pelé è “O Rei”, il re del popolo del fútbol bailado, l’altro El Diego è la Mano de Diosin eterno ricordo della manita che insaccò in rete contro gli inglesi. Una rete da titolo Mundial per l’Argentina a Messico 1986. L’unico vinto da Maradona, mentre Pelé vanta il record insuperato dell’unico calciatore che ha conquistato tre Coppe del Mondo, nelle edizioni di Svezia ’58, Cile ’62 e quella della finale con l’Italia di Ferruccio Valcareggi a Messico ’70. Altro primato che resiste è quello di Pelé «più giovane debuttante-marcatore a un Mondiale»: il primo gol lo realizzò al Galles a 17 anni e 239 giorni e cinque giorni dopo rifilò la prima tripletta iridata alla Francia del bomber Fontaine. L’ultimo sigillo se lo tenne per la finale contro la Svezia padrona di casa e favorita del torneo. E qui, nel trionfo dei suoi compagni della Seleçao e le lacrime di gioia dell’ex piccolo “Dico”, nominato sul campo Pelé, termina il film dei fratelli Zimbalist. 

Un film buono, ma per i bambini di oggi, un po’ meno per quelli cresciuti con i cartoon calcistici degli anni ’80 di Holly e Benji o per la generazione successiva degli affezionati agli Shaolin Soccer. Il resto del mondo non rimarrà molto colpito dalla pellicola, se non dalla Ginga. Il movimento danzante, da Capoeira, che pare abbia ispirato l’apprendistato tecnico del piccolo “Dico”. Le scene più belle di Pelé (proiettato in 250 sale italiane) sono infatti quelle della Ginga esibita dai “Senza scarpe”, i bambini e compagni di squadra di “Dico”, capaci di palleggiare per ore con dei palloni fatti di stracci senza farli cadere in terra. To- da Ginga è sinonimo di “Toda joia”, l’allegria del calciosamba brasilero che negli ultimi anni è scemata. Colpa della radicale europeizzazione dei “craque”, i talenti di strada che eppure continuano a nascere e a crescere sotto la bandiera verdeoro con la scritta «Ordem e Progresso». Il film degli Zimbalist strappa qualche risata e la lacrima a tratti accarezza la palpebra. «Quando ho iniziato a leggere lo script mi sono commosso. 

Si parlava della mia infanzia e della mia famiglia povera», ha raccontato Pelé. Papà Dondinho, ex calciatore dalla carriera interrotta per infortunio alla gamba (vanta un solo record non superato dal figlio: in una partita fece 5 gol di testa) insegnò al suo pupillo l’arte della Ginga calciando e palleggiando i frutti di un albero di mango. Allenamenti che avvenivano nelle pause pranzo dal lavoro di inserviente d’ospedale. Prima di vomitare per la tensione accumulata alla vigilia delle partite importanti, il Pelé bambino è preda della nausea dei cessi e dei pavimenti da lavare assieme ai genitori. Dona Celeste, la mamma di Pelé, nel film è la donna delle pulizie di casa Altafini. Ma si tratta di un falso storico, pardon, fiction. «La mia famiglia era povera quanto quella di Pelé: mio padre lavorava in uno zuccherificio e mamma faceva le pulizie nella casa di una famiglia benestante ». Fa sapere José Altafini, il secondo più giovane convocato dal ct Vicente Feola in quel Mondiale del ’58, il bambino d’oro del Palmeiras, “Mazola” (con una sola zeta), omaggio all capitano del grande Torino Valentino Mazzola, scomparso nel ’49 a Superga. Ecco, «diventare il più grande giocatore del mondo», era il sogno e l’obiettivo dichiarato di Pel° che a 9 anni ascolta alla radio la telecronaca del Maracanazola Rimet persa in casa dal Brasile – vinta dall’Uruguay – , e per consolare il padre gli promise: «Un giorno la vincerò io la Coppa del Mondo ». 

Quel giorno non era affatto lontano, otto anni dopo allo stadio Råsunda di Stoccolma il sogno si era realizzato grazie anche alla più grande promessa del calcio brasiliano destinato a diventare “O Rei” dell’intero pianeta football. Oggi, a 75 anni, Pelé continua ad essere il re del calcio, ma quello nato con il colletto bianco, perché il re nudo resta sempre Maradona. Il piccolo “Dico” da sempre attraversa il mondo, e adesso lo farà ancora di più con questo film imperfetto, come del resto è il percorso di ogni uomo, Pelé compreso. Ciò che rimane dopo la parola “Fine” è la magia di un pallone e l’atmosfera indelebile dell’appartenenza a una squadra che su un prato, d’incanto, spesso diventa popolo ed è capace di fermare il tempo. Pelé non è mai riuscito a descrivere una simile meraviglia, e allora c’ha pensato un altro genio del calcio brasiliano, il rivoluzionario Socrates: «Certe volte seduto nello spogliatoio, la vita pare che si rifiuti di scorrere».
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