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Finale Champions League: Real Madrid campione d'Europa, Atletico sconfitto ai calci di rigore

Il derby di Madrid giocato a San Siro regala la Champions League 2016 al Real, che batte 6-4 l'Atletico ai rigori sotto gli occhi di re Felipe, del premier Rajoy e di decine di migliaia di tifosi spagnoli. E' l'11/o successo dei madridisti nel trofeo e Zidane diventa il settimo campione ad averlo vinto sia in campo sia dalla panchina. 
Lo segna Cristiano Ronaldo il rigore della vita, quello che consegna la Champions al Real Madrid al termine di una partita infinita, fissa sul risultato di 1-1 anche dopo i tempi supplementari. Ha vinto la ragione, non il sentimento, perde il cuore contro i reali solisti. La vendetta di Lisbona e' stata mancata ma giusto di un soffio. Simeone, il grande trascinatore, l'uomo dei sogni fallisce. Protagonista la 'suerte', la fortuna che gira le spalle al Cholo e sorride a Zidane che la sfida piu' volte in questa partita. Per i colchoneros madrileni resta il sapore amaro della beffa e la Champions un tabù. Juanfran sbaglia il rigore decisivo e finisce nella polvere. Tante le lacrime, immensa l'amarezza nella curva biancorossa che iniziava a crederci, quasi immaginando di poter alzare al cielo quella coppa cosi' lungamente inseguita. Simeone fatica ad accettare il crudele verdetto consegnato dalla cabala dei rigori, ha gli occhi lucidi e lo sguardo vitreo.
ansa

La Sidigas mantiene l'imbattibilità casalinga e liquida Reggio Emilia anche in gara 6 della semifinale play off. Lunedì 30 maggio, al Pala Bigi, la sfida decisiva che vale l'accesso alla finale

 Sarà gara 7, la "bella", a dire chi fra Grissin Bon Reggio Emilia e Sidigas Avellino andrà a giocarsi la finale scudetto. La squadra di Max Menetti non è riuscita a fare l'impresa al Pala Del Mauro e il primo match ball è stato annullato dal quintetto di Pino Sacripanti, che ha vinto 83-74 confermando la sua imbattibilità casalinga in questi play off.
Tutto da rifare, dunque, per Kaukenas e compagni che si giocheranno tutto in 40 minuti, con il vantaggio del fattore campo, contro una squadra che ha dimostrato grande forza e qualità, grazie agli americani Nunnally e Ragland ma anche al reggiano Riccardo Cervi, che sta giocando dei play off esaltanti.
Avellino, trascinata da un pubblico indemoniato, è partita bene ma non è riuscita, a differenza di quanto era accaduto in gara 4, a scrollarsi subito di dosso la formazione reggiana.

IL TABELLINO
SIDIGAS AVELLINO                 83
GRISSIN BON REGGIO EMILIA 74
SIDIGAS AVELLINO: Ragland 23, Green 7, Veikalas 5, Acker 6, Leunen 5, Cervi 16, Severini, Nunnally 17, Pini 2, Buva 2, Parlato ne, Norcino ne. Allenatore Sacripanti.

GRISSIN BON REGGIO EMILIA: Aradori 11, Needham 7, Polonara 4, Lavrinovic 9, Della Valle 7, De Nicolao 2, Parrillo, Kaukenas 22, Silins, Gentile, Golubovic 12. Allenatore Menetti.
Arbitro: Paternicò, Seghetti, Biggi.
Parziali: 21-17, 35-35, 60-54.
Note: tiri da due (Sidigas 24/39, Grissin Bon 28/45), tiri da tre (Sidigas 8/18, Grissin Bon 5/21), tiri liberi (Sidigas 11/15, Grissin Bon 3/4). Rimbalzi: Sidigas 34 (10 offensivi), Grissin Bon 28 (10 offensivi).
fonte: Gazzetta di Reggio

Cinema Cineppalone PELÉ, il Re della Ginga


Usciamo dall’Odeon, la sala milanese dove abbiamo appena assistito alla proiezione in anteprima del film dei fratelli Jeff e Michael ZimbalistPelè, ma senza la risposta all’enigma dell’ultimo secolo di storia di cuoio: meglio Pelé o Maradona? Quel raffinato intellettuale di Vladimir Dimitrijevic (1934-2011, editore – Éditions L’Âge d’Homme – e scrittore serbo, naturalizzato svizzero), nel suo splendido saggioLa vita è un pallone rotondo (Adelphi) questo annoso nodo agli scarpini l’aveva sciolto. «Pelé ha cercato di piacere ai giorna-listi, è diventato un idolo e “yes-man” dei politici. Io preferisco coloro che hanno conservato l’impertinenza dei fanciulli. È un gran bene per la società che vi siano degli adulti ma io preferisco Maradona. Uno dei miei amici mi ha detto: “è un giovinastro”. Sì, e io lo amo per questo. Egli ha provato tutto, egli è stato punito...», disse Dimitrijevic. 

Punti di vista. La realtà è che tra Edson Arantes Do Nascimento, in arte Pelé e Diego Armando Maradona passano vent’anni e mille gol di differenza, tutti a favore del brasiliano (1.283 reti segnate in carriera). Identiche sono le origini, la povertà da favela (la Bauru di Pelé, 300 km a nordovest di Santos, stato di San Paolo) o da barrio ( Villa Fiorito di Maradona, villa de emergencia a sud di Buenos Aires) e quel passo diverso dal resto dei comuni mortali del pallone. Perché uno, Pelé è “O Rei”, il re del popolo del fútbol bailado, l’altro El Diego è la Mano de Diosin eterno ricordo della manita che insaccò in rete contro gli inglesi. Una rete da titolo Mundial per l’Argentina a Messico 1986. L’unico vinto da Maradona, mentre Pelé vanta il record insuperato dell’unico calciatore che ha conquistato tre Coppe del Mondo, nelle edizioni di Svezia ’58, Cile ’62 e quella della finale con l’Italia di Ferruccio Valcareggi a Messico ’70. Altro primato che resiste è quello di Pelé «più giovane debuttante-marcatore a un Mondiale»: il primo gol lo realizzò al Galles a 17 anni e 239 giorni e cinque giorni dopo rifilò la prima tripletta iridata alla Francia del bomber Fontaine. L’ultimo sigillo se lo tenne per la finale contro la Svezia padrona di casa e favorita del torneo. E qui, nel trionfo dei suoi compagni della Seleçao e le lacrime di gioia dell’ex piccolo “Dico”, nominato sul campo Pelé, termina il film dei fratelli Zimbalist. 

Un film buono, ma per i bambini di oggi, un po’ meno per quelli cresciuti con i cartoon calcistici degli anni ’80 di Holly e Benji o per la generazione successiva degli affezionati agli Shaolin Soccer. Il resto del mondo non rimarrà molto colpito dalla pellicola, se non dalla Ginga. Il movimento danzante, da Capoeira, che pare abbia ispirato l’apprendistato tecnico del piccolo “Dico”. Le scene più belle di Pelé (proiettato in 250 sale italiane) sono infatti quelle della Ginga esibita dai “Senza scarpe”, i bambini e compagni di squadra di “Dico”, capaci di palleggiare per ore con dei palloni fatti di stracci senza farli cadere in terra. To- da Ginga è sinonimo di “Toda joia”, l’allegria del calciosamba brasilero che negli ultimi anni è scemata. Colpa della radicale europeizzazione dei “craque”, i talenti di strada che eppure continuano a nascere e a crescere sotto la bandiera verdeoro con la scritta «Ordem e Progresso». Il film degli Zimbalist strappa qualche risata e la lacrima a tratti accarezza la palpebra. «Quando ho iniziato a leggere lo script mi sono commosso. 

Si parlava della mia infanzia e della mia famiglia povera», ha raccontato Pelé. Papà Dondinho, ex calciatore dalla carriera interrotta per infortunio alla gamba (vanta un solo record non superato dal figlio: in una partita fece 5 gol di testa) insegnò al suo pupillo l’arte della Ginga calciando e palleggiando i frutti di un albero di mango. Allenamenti che avvenivano nelle pause pranzo dal lavoro di inserviente d’ospedale. Prima di vomitare per la tensione accumulata alla vigilia delle partite importanti, il Pelé bambino è preda della nausea dei cessi e dei pavimenti da lavare assieme ai genitori. Dona Celeste, la mamma di Pelé, nel film è la donna delle pulizie di casa Altafini. Ma si tratta di un falso storico, pardon, fiction. «La mia famiglia era povera quanto quella di Pelé: mio padre lavorava in uno zuccherificio e mamma faceva le pulizie nella casa di una famiglia benestante ». Fa sapere José Altafini, il secondo più giovane convocato dal ct Vicente Feola in quel Mondiale del ’58, il bambino d’oro del Palmeiras, “Mazola” (con una sola zeta), omaggio all capitano del grande Torino Valentino Mazzola, scomparso nel ’49 a Superga. Ecco, «diventare il più grande giocatore del mondo», era il sogno e l’obiettivo dichiarato di Pel° che a 9 anni ascolta alla radio la telecronaca del Maracanazola Rimet persa in casa dal Brasile – vinta dall’Uruguay – , e per consolare il padre gli promise: «Un giorno la vincerò io la Coppa del Mondo ». 

Quel giorno non era affatto lontano, otto anni dopo allo stadio Råsunda di Stoccolma il sogno si era realizzato grazie anche alla più grande promessa del calcio brasiliano destinato a diventare “O Rei” dell’intero pianeta football. Oggi, a 75 anni, Pelé continua ad essere il re del calcio, ma quello nato con il colletto bianco, perché il re nudo resta sempre Maradona. Il piccolo “Dico” da sempre attraversa il mondo, e adesso lo farà ancora di più con questo film imperfetto, come del resto è il percorso di ogni uomo, Pelé compreso. Ciò che rimane dopo la parola “Fine” è la magia di un pallone e l’atmosfera indelebile dell’appartenenza a una squadra che su un prato, d’incanto, spesso diventa popolo ed è capace di fermare il tempo. Pelé non è mai riuscito a descrivere una simile meraviglia, e allora c’ha pensato un altro genio del calcio brasiliano, il rivoluzionario Socrates: «Certe volte seduto nello spogliatoio, la vita pare che si rifiuti di scorrere».
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