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Basket, semifinali gara-1: Milano va per la manita, ma Venezia ha un volto nuovo

Milano sfida Venezia nella semifinale della parte alta del tabellone playoff. Si inizia stasera (ore 20.45) con gara-1 a Desio per l’indisponibilità del Forum. Si gioca al meglio delle 7, con gara-2 ancora a Desio il 21, gara-3 e 4 al Taliercio il 23 e il 25. Per eventuali gare-5 e 7 la serie si sposta al Forum. L’Olimpia parte favorita ed ha vinto tutti e 4 i precedenti in stagione. Sarà anche Alessandro Gentile (18.3 punti contro la Reyer) contro Jeremy Pargo (15 di media), i due giocatori con maggior talento nei rispettivi roster.
ALE E KRUNO — Il bilancio degli scontri diretti parla chiaro. Milano è 4-0 in stagione, con 2 vittorie in campionato, 1 nei quarti di finale di Coppa Italia ed 1 nelle semifinali della SuperCoppa. In tutti i precedenti la chiave è stata la difesa Olimpia, che ha concesso 67.8 punti di media, compresa una gara da 59. Agli antipodi le statistiche dei due principali terminali offensivi di Jasmin Repesa. Ale Gentile ha segnato 18.3 punti di media, con il 71% da due ed il 40% da tre. È un giocatore che la Reyer soffre in un ruolo nel quale l’azzurro è sempre riuscito a far valere la propria fisicità. Krunoslav Simon è il miglior marcatore Olimpia della stagione regolare 15 punti di media, contro Venezia ne ha segnati 6.3 e la partita di andata è stata l’unica chiusa senza canestri segnati.
NUMERI — Nei playoff il fattore campo conta e la prima vittoria in trasferta potrebbe girare la serie dall’una o dall’altra parte. Storicamente l’Olimpia è un avversario duro per la Reyer: nelle 39 partite giocate in trasferta, gli orogranata ne hanno vinte solo 2. Il record casalingo di Milano in questo campionato è 16-1, contando anche le due partite vinte nel quarto di finale contro Trento. Mentre Venezia ha vinto 6 delle 17 partite giocate lontano dal Taliercio, dove invece ha messo insieme un record di 13-4. Due gli ex: Jeff Viggiano ha vestito la maglia dell’Olimpia nella stagione 2009-10 e per uno spezzone nel 2011-12. Daniele Magro invece ha giocato nella Reyer dal 2009 al 2014.
PORTE GIREVOLI — La squadra di Walter De Raffaele è stata una di quelle più colpite dagli infortuni. Ha cambiato tanto e lo ha fatto a ridosso dei playoff, inserendo tre giocatori (Jeremy Pargo, Melvin Ejim e Ousman Krubally) al posto di Hrvoje Peric, Phil Goss e Josh Owens, tre quinti del quintetto titolare. Eppure Venezia non ha abbassato la qualità della propria pallacanestro, vincendo 6 delle ultime 7, compresa la serie dei quarti contro Cremona. Milano si troverà contro una squadra diversa rispetto a quella affrontata 4 volte in stagione. E dovrà cercare una chiave difensiva contro Jeremy Pargo, 15 punti di media, con 2.8 rimbalzi e 3 assist nelle 5 gare giocate in maglia orogranata.
LA CHIAVE — La serie dipenderà anche da come la Reyer saprà contrastare la maggior fisicità dell’Olimpia, soprattutto quando Repesa butterà nella mischia Esteban Batista. Senza Owens, infortunato, Venezia perde un terminale difensivo importante. I lombardi sono terzi per numero di rimbalzi (37.1) e primi per percentuale nel tiro da due punti (54.5%). E possono andare spalle a canestro anche con esterni di peso come Alessandro Gentile, Krunoslav Simon e Rakim Sanders. È anche la difesa numero uno (74.7 punti subiti) nelle partite giocate in trasferta. Per la Reyer sarà importante coinvolgere da subito tutti i propri attaccanti nella metà campo offensiva: con 16.7 assist di media è la seconda squadra della Serie A dietro ad Avellino.
 Alessandro Rossi - Gazzetta.it

Basket Reggio Emilia batte Avellino. La Grissin Bon vince il primo round di semifinale scudetto


La Grissin Bon vince il primo round della semifinale scudetto con la Sidigas Avellino al termine di un match concreto e ben giocato sul parquet amico del PalaBigi. Mattatori biancorossi un eccezionale Silins in fase difensiva, e un Lavrinovic d'alta scuola, ben coadiuvato da Polonara, sull'altro lato del campo. In campo campano solo Ragland ha provato qualcosa, ma lasciato troppo solo dai compagni. Menetti parte schierando a sorpresa Silins in quintetto per fronteggiare il fromboliere irpino Nunnally; il giovane lettone lo ripaga con un inizio di sostanza ma l'equilibrio regna sovrano, e il basket mostrato dalle due squadre, benchè si sia in una semifinale scudetto, è pregevole pure dal punto di vista tecnico. Al 6' il tabellone recita: 12-12. Nel finale di frazione gli irpini, sospinti da Buva e da Green riescono ad operare il primo break del confronto, chiudendola a +5. Margine subito vanificato dal 7-0 con cui la Grissin Bon apre il secondo quarto, sull'asse Gentile-Polonara, andando a guidare 25-23. Il periodo non presenta particolari sussulti fino all'ultimo giro di lancette quando sono i biancorossi, stavolta, a piazzare l'allungo, portandosi fino al +7 (41-34) e andando all'intervallo lungo sul 41-36. Al ritorno dal quale una "bomba" di Achille Polonara spedisce i padroni di casa, al 4', al massimo vantaggio: 48-39. Margine che la truppa di Menetti, volitiva in retroguardia e col giusto timing in fase offensiva, incrementa fino al +14 grazie, soprattutto, a due minuti di basket regale offerto da Darjus Lavrinovic. Gli ultimi dieci minuti partono dal 63-49 pro Reggio; gli uomini di Sacripanti, trascinati da cinque punti di fila dell'ex Giovanni Pini, siglano un break di 7-2 cercando di ricucire, ma la Grissin Bon è attenta e anche meno in affanno fisico, così il distacco torna a margini rassicuranti per Aradori e compagni: 72-58 al 5'. Lo scorrere del cronometro è impietoso per i "Lupi" irpini e quando ancora Polonara dalla linea dei 6,75 spedisce Green e soci al -17, la partita è chiusa. 
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Juventus vuole anche Coppa Italia, non molliamo nulla

Finire la stagione come era iniziata, alzando un trofeo. La Juventus, a tre giorni dalla finale di Coppa Italia contro il Milan, vuole un altro record: nessuno è mai riuscita nell'impresa di centrare la doppietta Scudetto-Coppa Italia per due anni consecutivi e la squadra di Allegri, nella storia per il quinto scudetto consecutivo, vuole ora rendere la stagione davvero indimenticabile. "Abbiamo iniziato l'anno vincendo la Supercoppa a Shanghai: sarebbe bello finirla vincendo la Coppa Italia - sottolinea Paulo Dybala, capocannoniere bianconero - sarebbe il giusto coronamento per tutto quello che abbiamo fatto in questa stagione". Sulla carta i bianconeri, reduci da una stagione trionfale, non dovrebbero faticare per avere la meglio su un Milan in grave crisi, non solo di risultati; ma anche l'attaccante non si fida. "É una finale, una partita secca - dice - non dobbiamo sottovalutare la partita, non dobbiamo lasciare nulla all'avversaria: per 90 minuti non dobbiamo mollare, dimostrare di essere superiori a loro".
Ultima spiaggia Milan, trofeo per salvare anno  - Dopo oltre due mesi, domani Silvio Berlusconi è atteso a Milanello per dare la carica al suo Milan, a due giorni dalla finale di coppa Italia che può mettere una pezza a una stagione fin qui disastrosa. Sarebbe la prima visita per il presidente rossonero da quando ha affidato la squadra a Cristian Brocchi col mandato di restituirle un gioco all'altezza. Sabato all'Olimpico, però, contro la Juventus la priorità sarà il risultato, perché vincere è l'unico modo per andare in Europa League dopo due stagioni senza coppe, e una sconfitta rischierebbe di diventare il prologo dell'arrivo del quinto cambio in panchina in poco più di due anni. All'insegna del pragmatismo, Brocchi ha messo da parte il 4-3-1-2 provando in allenamento il 4-3-3, pur consapevole che "senza lo spirito combattivo possiamo parlare di tattica e sistemi di gioco e nulla conta". La sua sfuriata in spogliatoio ha alzato il livello di concentrazione, ma non ci si può illudere con gli allenamenti. "Anche settimana scorsa - ha ammesso il tecnico - ho visto una squadra col giusto atteggiamento e poi ha fatto una prestazione indecorosa con la Roma". Brocchi ha tirato le somme e per questo ultimo impegno stagionale hanno il posto sicuro solo tre dei nove rinforzi acquistati in estate con una campagna da 90 milioni di euro: Bacca, Kucka e Romagnoli. Il colombiano, 30 anni a settembre, in campionato ha segnato 18 reti ma nessuna nei due scontri diretti con la Juventus. Proverà a essere decisivo come l'anno scorso di questi tempi col Siviglia nella finale di Europa League, poi ragionerà col Milan sul futuro. Al suo fianco sarà titolare senza troppi dubbi Bonaventura, un altro dei rossoneri ambiti sul mercato, e il tridente dovrebbe essere completato da Honda. Ha pochissime chance Balotelli, che dopo una stagione in prestito non si è meritato la conferma al Milan ed è indesiderato a Liverpool.
ansa

Lo sport contro 13 tumori, abbatte il rischio oltre il 20%

L'attività fisica protegge da ben 13 tipi di tumori e si conferma potente alleato nella prevenzione. In particolare, correre, camminare o nuotare regolarmente diminuisce di oltre il 20% il rischio di ammalarsi di alcuni tumori come quello a fegato e rene e di oltre il 40% di tumore all'esofago. A confermare l'importanza dell'allenamento aerobico come scudo protettivo è un ampio studio pubblicato sulla rivista JAMA Internal Medicine.

Ogni anno in Italia si registrano circa 363.000 nuove diagnosi di tumore e 177.000 sono le morti. Così come l'importanza dell'alimentazione e di coretti stili di vita, anche l'associazioni tra esercizio fisico e cancro è già stata dimostrata da precedenti studi. Tuttavia la nuova ricerca, condotta da ricercatori del National Cancer Institute statunitense guidati da Steven Moore, si distingue per aver esaminato i dati di ben 1,44 milioni di persone, dai 19 ai 98 anni, residenti negli Stati Uniti e in Europa. I partecipanti sono stati seguiti per una media di 11 anni ed è stato chiesto di riportare il tipo e la quantità di attività effettuata nel tempo libero, come camminare, correre o nuotare. In media coloro che effettuavano attività fisica lo facevano per circa 150 minuti a settimana, ovvero un allenamento di 50 minuti per tre volte a settimana, che corrisponde a quanto previsto dalle linee guida dell'Organizzazione Mondiale della Sanità per l'Attività Fisica 2016-2020 di recente emanate.

Durante il periodo di studio, circa 187.000 di loro si sono ammalati di tumore, ma coloro che avevano riportato di fare attività fisica avevano avuto un rischio complessivamente più basso del 7% rispetto a coloro che ne avevano fatta meno.

Andando nel dettaglio, lo studio ha confermato un minor rischio di tumori della mammella (10%), al colon (16%) e all'endometrio (21%), già evidenziati da precedenti ricerche. Maggiori riduzioni di rischio erano evidenti per adenocarcinoma esofageo (42%), cancro al fegato (27%), cardias, ovvero la valvola che collega esofago e stomaco (22%), rene (23%) e leucemia mieloide (20%). Hanno mostrato riduzioni meno significative il mieloma (17%), il tumore della testa e del collo (15%), del retto (13%) e della vescica (13%), mentre per la prostata si è registrato un aumento del 5%. Quanto al cancro al polmone il rischio era ridotto solo qualora i pazienti fossero fumatori attuali ed ex.

La maggior parte delle associazioni, sottolineano i ricercatori, sono rimaste a prescindere dalla massa grassa, il che suggerisce che l'esercizio fisico agisce attraverso meccanismi diversi oltre al semplice abbassamento del peso corporeo, come produzione di ormoni e effetto antinfiammatorio. (ANSA).

La storia Pontoni, il bomber del Papa

da Avvenire
«Aver si alguno de ustedes se anima a hacer un gol como el de Pontoni» , tradotto: «Vediamo se qualcuno di voi riesce a fare un gol come quello di Pontoni». Questa frase pronunciata da papa Francesco, il 13 agosto del 2013, rimbombò nella Sala Clementina dove le nazionali di calcio di Italia e Argentina erano state “convocate” in udienza privata alla vigilia della partita dell’Olimpico in onore del Santo Padre. Quella citazione del bomber del San Lorenzo de Almagro, da parte del suo eterno tifoso Jorge Mario Bergoglio, in un lampo rimbalzò al di là dell’Oceano ed entrò nella casa di René Carlos Pontoni. «Il figlio del grande attaccante dei “Cuervos” degli anni ’40 aveva appena ricevuto la notizia da Pablo Calvo, giornalista del “Clarín” [sotto pubblichiamo la sua prefazione al libro di Lorenzo Galliani, collaboratore di “Avvenire”, ndr] ed era molto commosso. 

Quell’emozione ha contagiato anche me che ho deciso di scrivere la biografia di René Pontoni», spiega Galliani, che ha raccontato una storia intarsiandola con tante altre storie collegate al Papa che alla fine compongono un libro emozionante, degno della migliore tradizione sorianesca (vedi alla voce magistrale, Osvaldo Soriano). C’è tanto dell’anima argentina di papa Francesco nella storia del suo “idolo” d’infanzia, monumento assoluto dell’amateurNome e gesto calcistico che in quella giornata d’agosto di tre anni fa fece sgranare gli occhi a Messi e aprì le orecchie del distratto Balotelli. 

Quel gol leggendario, che da sempre alberga in un posto privilegiato nella memoria di Bergoglio, compie settant’anni: il 20 ottobre del 1946 Pontoni lo realizzò, con la maglia del San Lorenzo contro il Racing. «Mi ricordo di un gol di Pontoni che fece tac, tac, tac, gol!», confidò Francesco al presidente del San Lorenzo, Matías Lemmens, mentre questi gli consegnava la tessera di socio n. “88.235” che il Pontefice paga regolarmente versando gli annuali 120 pesos, anche in ricordo di quella mitica rete. «Andò così – scrive Galliani –. Cross di Francisco De La Mata, la palla arriva al limite dell’area. Stop di petto (tac), la palla scende al piede ma Pontoni, invece di fermarla per girarsi, alza un pallonetto all’indietro scavalcando i due difensori. Secondo tac. Il terzo tac, immaginiamo, è il tiro imparabile». Prodezze di un goleador che ricordava a un giornalista de “El Grafico” : «Ho segnato molti gol nel Newell’s Boys, nella Selección, nel San Lorenzo, in Colombia. Però ce n’è sempre uno «Ache rimane impresso nella memoria perché è quello che piace di più». Il suo gol preferito era quello segnato in un 6-1 all’Estudiantes, a dimostrazione che il «San Lorenzo non si fermava mai. Se si potevano segnare cento reti, si segnavano». 

E quella era la formazione campione d’Argentina, la più cara al piccolo Bergoglio (all’epoca aveva dieci anni) che sapeva recitarla a memoria. La squadra del ’46, quella del Terceto de oro «Farro-Pontoni-Martino, al quale si affiancava un quarto attaccante – De La Mata o Silva», precisa Galliani, anche lui rapito dall’atmosfera che il giovane Bergoglio aveva respirato al Viejo Gasómetro. Lo stadio dove il futuro Papa si recava alla domenica, «con tutta la famiglia», per seguire il club fondato a Buenos Aires, nel barrio del Boedo, il 1° aprile del 1908 dal salesiano padre Lorenzo Massa. La chiamarono San Lorenzo in onore di padre Massa, il quale attirò a sé i primi seguaci dei “Cuervos” dicendo loro: «Vi ospito nel cortile dell’oratorio di Sant’Antonio, qui dietro. In cambio però voi venite a Messa tutte le domeniche». Questo il patto da cui originarono gli azulgrana in cui nel 1945, proveniente dal Newell’s di Rosario, approdò il 25enne Pontoni. Era nato a Santa Fe da una famiglia povera, orfano a sette anni di padre aiutava la mamma nel negozio portandole le uova che raccattava all’alba nei pollai, diventando presto l’Huevitodel barrio. 

Quindicenne, sfidò ogni ostacolo per ascoltare dal vivo il concerto del suo unico vero mito, Carlos Gardel. Sulle note di Murmullos ha danzato su tutti i campi d’Argentina e nell’inverno del ’46 prese parte alla “campagna” di Spagna da dove non l’avrebbero mai fatto ripartire. Con 15 gol in otto amichevoli stregò i dirigenti del Barcellona pronti a fargli ponti d’oro pur di ingaggiarlo, ma lui fu irremovibile. Doveva tornare subito dalla sua bella Sara e dai loro figli, e poi il presidente del San Lorenzo era stato esplicito: «Se vendo Pontoni i nostri tifosi mi uccidono» . Più tardi al canto delle sirene spagnole, sponda Real Madrid, non avrebbe resistito il grande Alfredo Di Stéfano, compagno di partitelle di strada di Bergoglio, e agli inizi di carriera riserva di Pontoni nella nazionale argentina in cui Huevitovantaun record: 19 gol in 19 partite. Il calcio italiano nel frattempo aveva rapito suo cognato, l’ala Mario Boyé, detto “El Atomico”. 

«Altro bomber esplosivo, arrivò al Genoa, segnò 12 gol nel girone di andata e poi scappò in Argentina – spiega Galliani –. A Buenos Aires sua figlia Diana mi ha confermato che fu la madre Elsa (sorella di Sara) a spingere per il rientro immediato in patria». Mario e René uniti in campo, con la Selección, e nella vita ai tavoli della loro pizzeria, la Guitarrita. Tango, pizza e fútbolfino alla fine dei suoi giorni (Pontoni è morto nel 1983) per il bomber più amato da papa Bergoglio che era nato sotto un’altra santa stella: il 18 maggio del 1920: «stesso giorno mese e anno di un certo Karol Wojtyla».

Ciclismo solidale, un centesimo a Km, la proposta del prete ciclista

da Avvenire
Un centesimo per ogni chilometro percorso in bicicletta. E' l'invito alla solidarietà di don Donato Agostinelli, parroco per vocazione (a Cerreto Guidi, Firenze) e ciclista per passione. Non un professionista, ma certamente uno che la biciletta la prende sul serio se è vero, come ha raccontato lo stesso Agostinelli, che l'idea gli sarebbe venuta durante la preparazione della Pedalata della pace, una corsa di 70 chilometri da Cerreto a Montenero in programma il 21 maggio prossimo. Assieme a lui parteciperanno all'iniziativa anche il maresciallo dei carabinieri del paese, Salvatore Serra, il presidente dell'Arci, Renato Picchi, e quello della pro loco Marco Iuliucci.
I fondi così raccolti saranno devoluti a iniziative di solidarietà, come ad esempio quelle del movimento Shalom che cura progetti di cooperazione nei paesi del Terzo Mondo. L'invito di Don Donato è rivolto ai ciclisti di tutti i livelli, compresi i campioni attualmente impegnati nel Giro d'Italia. Ma quanti soldi è possibile recuperare in questo modo? Ebbene, il parroco ha già fatto i conti e secondo lui "un ciclista ben allenato che percorra una sessantina di chilometri al giorno, in un anno arriverebbe a donare duecento euro, quanto basta per permettere a una bambino di andare a scuola in Africa".
E che nessuno provi a barare sulle distanze visto che ormai "grazie a orologi, app e navigatori - continua don Agostinelli - anche l'ultimo ciclista della domenica sa con precisione quanti chilometri percorre. Chi pedala di più - è il motto del parroco-ciclista - vive di più e fa vivere. Pedalate, gente, pedalate".

Reja, mille giorni di calcio e di me


da Avvenire
Mille giorni di te e di me, sono quelli tra Edy Reja e il calcio. È il più longevo degli allenatori d’Italia (il 2° in Europa dopo Mircea Lucescu, luglio 1945), 71 primavere il prossimo 10 ottobre, ma, per fisico asciutto e mentalità, ne dimostra quindici di meno. Traguardo delle mille panchine tagliato domenica a Marassi con la sua Atalanta (contro il Genoa, congedo, forse, con vittoria) e ora, dopo la seconda salvezza di fila ottenuta a Bergamo lo aspetta un altro arrivo importante: «Quello di una tappa speciale in bicicletta: dal Santuario di Caravaggio a Lucinico, il mio paese in provincia di Gorizia». 


Trecentoquaranta-trecentocinquanta km, ci vorranno almeno due giorni... 
«Un’altra impresa lo so - sorride - ma è un voto che ho fatto alla Madonna di Caravaggio che mi è sempre stata vicina, specie negli ultimi mesi che sono stati i più duri della mia lunga carriera...». 


Un cammino, anche “spirituale”, iniziato nel 1979 nei dilettanti del Molinella e proseguito fin qui, allenando da Nord a Sud della penisola, isole comprese, i club di 16 regioni su venti. 
«Sono andato via di casa a sedici anni e non sono ancora tornato... I Reja, sono arrivati a Lucinico nel ’600 dalla Spagna. Da mamma Maria ho appreso l’educazione cattolica e il rispetto profondo per quelli che hanno meno di noi. Papà Antonio faceva il viticoltore: da mattina a sera sui campi a lavorare come un mulo quando ancora non c’era il trattore. E io gli davo una mano prima di andare a scuola». 


Edy il figlio unico destinato ai campi agricoli e che invece è diventato un lavoratore privilegiato della “zolla” pallonara. 
«Un sogno realizzato. Un desiderio espresso fin da piccolo. Nelle letterine che scrivevo a San Nicolò gli chiedevo ogni anno di portarmi un pallone di cuoio e invece mi arrivavano sempre arance e mutande. Che delusione… Quando mi regalarono il primo pallone alla sera me lo portavo anche dentro il letto per addormentarmi. Andai a provare con la Juventus e poi alla Spal firmai il cartellino di nascosto. Non ero maggiorenne e ci voleva il consenso del genitore. Mio padre quando lo seppe andò su tutte le furie. Gli dissi: papà non ti preoccupare, provo un anno e se non va torno subito a casa a lavorare con te… Eccomi a settant’anni ancora in giro per il mondo e ringrazio anche di questo mio padre che oltre allo spirito di sacrificio forse mi ha insegnato a riconoscere i giocatori giusti come si fa con le bottiglie di buon vino in cantina. Bisogna avere la pazienza di aspettare per vedere maturare il talento». 


Anche il Reja allenatore ha avuto dei tempi lunghi di maturazione.«Infatti. A volte penso di aver fatto “gavetta” fino 58 anni e da quel momento ho solo completato il ciclo di esperienze. Prima ero stato un buon allenatore di B, poi è arrivata la chiamata del Napoli in C1 e quello è stato un bagno di popolarità che non si asciugherà mai. A Napoli per simpatia vengo subito dopo Maradona e forse - sorride - me la gioco con Higuaìn per il secondo posto». 


Reja più amato anche di Maurizio Sarri? 
«Non lo dico io, ma i napoletani. Quando ho riportato la squadra dalla C1 all’Europa mi hanno detto: “Edy ci hai ridato dignità”. Sarri è stato bravo quest’anno, ma che Napoli ha? Io in attacco avevo a disposizione Zalayeta e Lavezzi che quando è sbarcato era più largo che alto. Ho allenato l’Hamšík 19enne, perciò permettetemi di chiedermi: ma con questo Napoli dove sarei potuto arrivare?». 


Noi invece ci chiediamo: ma con il presidente De Laurentiis come andò? 
«Aurelio De Laurentiis è un signore. Ora sa anche di calcio, ma appena prese la società no, per questo siamo quasi arrivati alle mani, ma da gentiluomini ci siamo subito spiegati e il giorno che sono andato via dal Napoli mi ha detto: “Per lei Reja qua la porta sarà sempre aperta”. Non sono frasi di circostanza ci sentiamo ancora spesso». 


Lei è come il piatto del buon ricordo, ovunque è stato ha lasciato il segno. 
«In campo io sono come nella vita, una persona leale, schietta, non parlo mai dietro le spalle. Per questo ci sono calciatori che mi telefonano a distanza di anni e mi dicono: “Mister, io con lei andavo sempre in panchina, ma è il miglior allenatore che ho avuto”». 


Non tutti gli ex allievi del suo amico Fabio Capello possono dire lo stesso. 
«Fabio ha un carattere particolare, ma io lo conosco bene, per me è come un fratello e rimane uno dei migliori allenatori al mondo. Siamo partiti assieme e abbiamo debuttato lo stesso giorno nella Spal. A Ferrara vivevamo nella casa delle “Zitelle”. Due sorelle anziane che parteggiavano una per me e l’altra per Fabio e litigavano ogni giorno per questo. Noi origliavamo dalla nostra stanza e ridevamo come dei pazzi». 


Il più “pazzo” del gruppo di quella Spal però era Ezio Vendrame, il Piero Ciampi prestato al calcio. 
«Un estroso Vendrame, un giocatore tecnicamente impressionante. Per le partite della De Martino della Spal c’erano sempre 5-6mila persone e non gli fregava niente di me di Capello o di Pasetti, venivano solo per lui... Ezio si è consumato in una vita intensa, come un poeta, del resto è di Casarsa». 


Già, come Pier Paolo Pasolini, con il quale lei ha anche giocato a calcio. 
«Pasolini era molto bravo, un’ala veloce, sgusciante. Ci incontravamo a Grado a fine campionato per le sabbiature. Stava sotto la sabbia bollente a più di 55 gradi per venti minuti: impassibile, leggeva... Entrava anche in acqua con un libro in mano, mai conosciuto un intellettuale più sportivo e più colto di Pasolini». 


Il giovane Edy invece ha letto poco e studiato tanto una sola materia, il calcio. 
«Non ho mai smesso di aggiornarmi andando in giro per l’Europa. E lo stesso vale per un altro “senior” come me, Giampiero Ventura: sarebbe un ottimo ct per la Nazionale. Nell’aggiornare le conoscenze credo stia il segreto della nostra durata rispetto a tanti “allenatori-ragazzini” che pensano di sapere già tutto e che il mondo sia ai loro piedi solo perché sono giovani. Molti di loro poi sono nati vecchi». 


Un altro “vecchio” signore delle panchine, Claudio Ranieri, ha appena sbancato in Inghilterra con il Leicester. 
«Grandissimo Claudio, ha scritto una pagina di storia che rimarrà nei secoli. Da noi quando un Leicester tricolore? Sarebbe bello, ma è assai improbabile. Certo per cancellare definitivamente quell’immagine che all’estero fa di noi un popolo di “truffaldini”, anche nel calcio, ci vorrebbe uno scudetto al Sassuolo, anzi all’Atalanta del presidente Percassi. Ma per il momento siamo ancora nel campo dei “miracoli”». 


E qualche piccolo “miracolo” in tutto questo tempo non l’ha fatto anche Reja? 
«Subentrando in corsa negli ultimi quindici anni credo diversi... Penso alla promozione in A sfumata con il Cosenza, e a quella ottenuta invece con il Brescia in cui lanciai un ragazzino di 17 anni, un certo Pirlo». 


La vittoria a sorpresa del club che fu di Gino Corioni, scomparso da poco, uno dei tanti presidenti sanguigni con cui ha avuto a che fare.
«Corioni rappresentava la tradizione, il vecchio “padre patron”. A Cagliari ho avuto Cellino, un imprenditore con una competenza calcistica fuori dal comune. Alla Lazio con Lotito non ho avuto grandi problemi, a livello amministrativo è un genialoide, ma sbaglia ad essere così egoreferenziale... La seconda volta che sono tornato alla Lazio voleva che restassi, ma ho preferito andare via e gli ho consigliato di prendere Pioli. Mi ha ascoltato». 


Consigli per gli acquisti azzeccati dal più saggio degli allenatori che a Vicenza vide giusto prima degli altri su Luca Toni. «Quando dicevo che Toni era il miglior attaccante italiano schiena alla porta tanti ridevano... È salito sul tetto del mondo e ha segnato gol a grappoli ovunque ha giocato». 


Toni è il migliore che ha allenato? 
«No, il migliore l’ho avuto alla Lazio, Miro Klose. Un fuoriclasse, al di là del record dei gol segnati nei Mondiali con la Germania. Un atleta da studiare nelle scuole calcio per comportamento, educazione e senso tattico. Una mezza lacrima (prima di quella del gol d’addio al calcio dell’atalantino Gianpaolo Bellini) l’ho versata quando Klose a 20 secondi dalla fine segnò la rete vincente alla Roma. Non vincevamo un derby da due anni...». 


Klose, gioia, ma anche rimpianto: nel 2012 con il tedesco infortunato per la seconda volta di fila le sfuggì la qualificazione in Champions. 
«Se avessi avuto Miro in quel finale di campionato... Invece si fermò per infortunio e recuperò lentamente perché voleva andare a tutti i costi agli Europei. Ma va bene così, vorrà dire che prima di smettere allenerò una squadra che mi farà ascoltare la “musichetta” della Champions». 


Reja dunque non lascia, anzi raddoppia, anche sugli incontri di una vita. 
«Il più importante rimane quello con Ayrton Senna. Era un amico, veniva ad allenarsi con me quando ero al Pescara. Il giorno prima dell’incidente avevamo pranzato insieme a Imola e tra un pezzo di formaggio e un’insalata si lamentava dellaWilliams che non andava. Ho saputo della sua morte dalla radio mentre viaggiavo, ho dovuto fermare la macchina... Ora vorrei tanto conoscere papa Francesco, un “fuoriclasse” del genere alla grande squadra dell’umanità mancava da tanto».