Reggio Emilia batte Umana
Venezia 93-73 nel posticipo della 13ma giornata del campionato
di basket e distacca i veneti in classifica in chiave
final-eight. I padroni di casa sfruttano alla perfezione
l'attacco e le rotazioni ridotte degli avversari. Dopo un
equilibrio nella prima parte del match (40-40), quando mancano
10' alla fine c'è il cambio di marcia col il lituano Kaukenas,
ex Montepaschi, che porta Reggio al +10 (68-58). E' lo strappo
decisivo per Venezia che non ne ha più.
ansa
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Neve sci-abile. Lo slalom è riuscito
Uno
slalom che ha superato gli ostacoli, così è stato il percorso che nel
corso di questi anni ha reso possibile la pratica dello sci alle
persone con disabilità. Apripista la tecnologia con ausili meccanici
ed elettronici, spazzadubbi le scuole di sci e i loro maestri,
scalatrici le associazioni sportive - incalzate dagli aspiranti
sciatori che hanno fatto salire le loro richieste sul moto perenne
dello skilift - che oggi presidiano e continuano a promuovere
l’accessibilità, da Courmayeur a Predazzo sino all’Etna, passando per
l’appennino emiliano e i monti abruzzesi.
La stagione sciistica che si è appena aperta, che conta sull’onda mediatica degli imminenti Giochi olimpici (dal 7 febbraio) e paralimpici (dal 7 marzo), offre numerose opportunità anche a chi, a causa del suo handicap, fino a pochi anni fa doveva considerare gli sport invernali fuori dalla sua portata. Oggi sci alpino e sci di fondo sono praticati anche da chi ha una grave disabilità motoria, utilizzando monosci (un seggiolino, detto “guscio”, sotto al quale sta uno sci), bisci (un monosci spinto da un maestro di sci, una sorta di tandem), dualski (un guscio con sotto due sci), stabilizzatori (per gli amputati). Per i non vedenti c’è un collegamento radio o audio con l’accompagnatore-guida, per i sordi, invece, si parla la lingua dei segni. Ausili che associazioni e società sportive acquistano grazie all’intervento di donazioni, sponsor e finanziamenti da parte di istituzioni nazionali e europee che da qualche anno sostengono lo sviluppo dello sport per persone di- e del bi-sci sabili.
Nello slalom di partenza è un’altra porta superata. Queste attività non esiterebbero se scuole di sci e maestri non fossero della partita. «Sono sciatori, sono clienti», dicono i maestri che sono tornati a studiare per imparare tutti i segreti di mono e bisci e per diventare atleta guida per non vedenti. La stagione 2013-2014 segna il boom dello snowboard, la tavola che cavalca la neve in velocità e acrobazie. Accessibile pure questo. Protesi agli arti inferiori aiutano gli amputati, l’imbragatura B.a.s.s. (100% made in Italy realizzata dal maestro di sci Andrea Borney) è l’ausilio per chi ha una grave disabilità motoria. Se lo snowboard è la novità del momento, il guscio è una realtà consolidata. Vuoi perché Alex Zanardi lo usa e un suo gesto ha la forza mediatica trainante di un gatto delle nevi, vuoi perché è lo strumento in pista da ormai 15 anni. Una tecnologia che mescola ammortizzatori da moto, sci sciancrati e una leva che alza la seduta per salire in seggiovia. In piena autonomia, parola chiave quest’ultima. E prossima porta dello slalom. Qualcuno l’ha già oltrepassata.
All’Alpe di Folgaria, una cordata di realtà profit e non profit ha fatto sì che chi arriva ai rifugi - attualmente sono otto - trovi una carrozzina, così da poter scendere dal monosci e muoversi. In autonomia. In libertà. Nessuna prenotazione, la carrozzina è lì, dotazione del rifugio. Un approccio che si sta diffondendo. Complice anche il fatto che lo sciatore disabile è un turista come gli altri. Una nicchia di mercato oggi presa in grande considerazione dagli operatori alberghieri. Lo sci per persone con disabilità è accessibile anche nei costi grazie a convenzioni e agevolazioni. Una lezione, comprensiva dell’ausilio, costa attorno ai 30 euro. Spesa che a volte non c’è se ci sono sponsor che offrono gratuitamente i corsi di sci e il noleggio dell’attrezzatura speciale. BMW da molti anni sponsorizza il “Progetto Sciabile” a Sauze d’Oulx, Fiat quello di “Freewhite” al Sestriere, Colorcom quest’anno offre 25 posti a Folgaria. Lo sci per essere accessibile non ha bisogno di strutture dedicate, si pratica insieme ai normodotati, sulle stesse piste, con gli stessi impianti.
Con la conoscenza reciproca dei diversi modi di sciare. Una pettorina rende visibili gli sciatori non vedenti, che sciano insieme a una guida che precede e che comunica via radio la descrizione del tratto e indica - in un linguaggio che ai 140 caratteri di twitter gli fa un baffo - le manovre da seguire. I non vedenti sono i pionieri dello sci accessibile, insieme agli amputati. Sono stati loro, infatti, a disputare i primi Giochi Paralimpici invernali, nel 1976 in Svezia, dove si sono svolte solo gare standing (con sciatori in piedi). Gli sciatori sitting (seduti nel guscio) disputeranno la loro prima Paralimpiade solo nel 1998. Al di là dell’agonismo, sciando si vivono emozioni uniche. Lo racconta Silvia: «Quel suono che fa il ghiaccio premuto dalla lama dello sci. Irripetibile. E io che non posso vedere e che voglio ascoltare tutti i suoni del mondo, quel rumore lo volevo percepire. In prima persona. Per questo a tutti i costi ho voluto imparare a sciare».
La stagione sciistica che si è appena aperta, che conta sull’onda mediatica degli imminenti Giochi olimpici (dal 7 febbraio) e paralimpici (dal 7 marzo), offre numerose opportunità anche a chi, a causa del suo handicap, fino a pochi anni fa doveva considerare gli sport invernali fuori dalla sua portata. Oggi sci alpino e sci di fondo sono praticati anche da chi ha una grave disabilità motoria, utilizzando monosci (un seggiolino, detto “guscio”, sotto al quale sta uno sci), bisci (un monosci spinto da un maestro di sci, una sorta di tandem), dualski (un guscio con sotto due sci), stabilizzatori (per gli amputati). Per i non vedenti c’è un collegamento radio o audio con l’accompagnatore-guida, per i sordi, invece, si parla la lingua dei segni. Ausili che associazioni e società sportive acquistano grazie all’intervento di donazioni, sponsor e finanziamenti da parte di istituzioni nazionali e europee che da qualche anno sostengono lo sviluppo dello sport per persone di- e del bi-sci sabili.
Nello slalom di partenza è un’altra porta superata. Queste attività non esiterebbero se scuole di sci e maestri non fossero della partita. «Sono sciatori, sono clienti», dicono i maestri che sono tornati a studiare per imparare tutti i segreti di mono e bisci e per diventare atleta guida per non vedenti. La stagione 2013-2014 segna il boom dello snowboard, la tavola che cavalca la neve in velocità e acrobazie. Accessibile pure questo. Protesi agli arti inferiori aiutano gli amputati, l’imbragatura B.a.s.s. (100% made in Italy realizzata dal maestro di sci Andrea Borney) è l’ausilio per chi ha una grave disabilità motoria. Se lo snowboard è la novità del momento, il guscio è una realtà consolidata. Vuoi perché Alex Zanardi lo usa e un suo gesto ha la forza mediatica trainante di un gatto delle nevi, vuoi perché è lo strumento in pista da ormai 15 anni. Una tecnologia che mescola ammortizzatori da moto, sci sciancrati e una leva che alza la seduta per salire in seggiovia. In piena autonomia, parola chiave quest’ultima. E prossima porta dello slalom. Qualcuno l’ha già oltrepassata.
All’Alpe di Folgaria, una cordata di realtà profit e non profit ha fatto sì che chi arriva ai rifugi - attualmente sono otto - trovi una carrozzina, così da poter scendere dal monosci e muoversi. In autonomia. In libertà. Nessuna prenotazione, la carrozzina è lì, dotazione del rifugio. Un approccio che si sta diffondendo. Complice anche il fatto che lo sciatore disabile è un turista come gli altri. Una nicchia di mercato oggi presa in grande considerazione dagli operatori alberghieri. Lo sci per persone con disabilità è accessibile anche nei costi grazie a convenzioni e agevolazioni. Una lezione, comprensiva dell’ausilio, costa attorno ai 30 euro. Spesa che a volte non c’è se ci sono sponsor che offrono gratuitamente i corsi di sci e il noleggio dell’attrezzatura speciale. BMW da molti anni sponsorizza il “Progetto Sciabile” a Sauze d’Oulx, Fiat quello di “Freewhite” al Sestriere, Colorcom quest’anno offre 25 posti a Folgaria. Lo sci per essere accessibile non ha bisogno di strutture dedicate, si pratica insieme ai normodotati, sulle stesse piste, con gli stessi impianti.
Con la conoscenza reciproca dei diversi modi di sciare. Una pettorina rende visibili gli sciatori non vedenti, che sciano insieme a una guida che precede e che comunica via radio la descrizione del tratto e indica - in un linguaggio che ai 140 caratteri di twitter gli fa un baffo - le manovre da seguire. I non vedenti sono i pionieri dello sci accessibile, insieme agli amputati. Sono stati loro, infatti, a disputare i primi Giochi Paralimpici invernali, nel 1976 in Svezia, dove si sono svolte solo gare standing (con sciatori in piedi). Gli sciatori sitting (seduti nel guscio) disputeranno la loro prima Paralimpiade solo nel 1998. Al di là dell’agonismo, sciando si vivono emozioni uniche. Lo racconta Silvia: «Quel suono che fa il ghiaccio premuto dalla lama dello sci. Irripetibile. E io che non posso vedere e che voglio ascoltare tutti i suoni del mondo, quel rumore lo volevo percepire. In prima persona. Per questo a tutti i costi ho voluto imparare a sciare».
Carmen Morrone - avvenire.it
Lo sport vietato ai minori
Il
reverendo George Foreman fabbrica griglie e padelle. In tivù le prende a
pugni. Se resistono, ride con il faccione tondo da tegame, vuol dire
che sono buone. Pare sia l’ex sportivo più ricco: 250 milioni di dollari
l’anno.
È anche sponsor degli Us Open di tennis. Il reverendo ha felicemente compiuto 64 anni. Se si volta appena indietro, ancora faceva a pugni. Ha dieci figli, cinque maschi: li ha chiamati tutti George. E ama saltare in corsa sui suoi cavalli. Sostiene che riuscirvi ancora, alla sua età, lo faccia sentire benissimo. L’esatto contrario di ciò che pensano i cavalli.
Foreman si è ritirato dalla boxe nel 1997, tre anni prima a 45 suonati riconquistò il titolo mondiale. Nel libro dei record c’è ancora posto per lui: il più vecchio campione dei pesi massimi. Ma i record son fatti per essere battuti, e il reverendo, irriso dalla farfalla Alì nella notte di The Rumble on the Jungle Kinshasa, 20 ottobre 1974), ne ha già visti sparire alcuni dalle pagine a lui dedicate. Era, in assoluto, il campione del mondo più anziano, ora non più. Bernard Hopkins, l’eterno Bernard, lo scorso 27 ottobre ha difeso con successo il suo titolo mondiale dei massimi leggeri. Una grande impresa per un quarantottenne. Bernard ha festeggiato sul ring indossando una maschera verde. Lo chiamano l’Alieno.
Lo sport si spinge sempre più in là. Fin dove non si sa, ma non ha mai smesso di andare oltre. Nessuno ne sentirebbe il bisogno, se i primati da battere fossero solo quelli anagrafici. Bambini rampanti, e vecchietti sempre in tiro creano meraviglia, è vero, ma riempiono di ansia i nostri cuori, ed è difficile non avvertirli come anomalie della natura, se non proprio come fenomeni da baraccone.
Se è da record, certo non risulta per questo meno sconcertante l’immagine di Yuri Pudyshev, allenatore-giocatore della Dinamo Brest, Serie A bielorussa, 56 anni portati neanche benissimo. Ma i mutandoni da calciatore non premiano chi non ha più l’età per portarli con disinvoltura, soprattutto quando scoprono, fra un tackle e l’altro, le generose Gibaud a sorreggere l’adipe da birraio.
Stanley Mathews, l’ex primatista battuto, giocò la sua partita d’addio il 6 febbraio 1965, Stoke City contro Fulham. Aveva 50 anni e 5 giorni, e agli occhi di chi lo aveva visto cominciare, trent’anni prima, appariva solo un po’ più rigido. Aveva la maglia ben calzata nei pantaloncini, una corsa elegante, e dopo ogni colpo di testa si passava le mani sui capelli per rifare la riga. Altra classe.
Ma c’è dell’altro. C’è che all’idea di uno sport sempre più vecchio, o privo di carta d’identità se preferite, dovremo forse abituarci. Non potremo più sorprenderci di nonno Christopher Horner, che vince la Vuelta a quasi 42 anni, né di uno Javier Zanetti che torna protagonista nel derby milanese a 40 anni e 4 mesi, e dopo un infortunio che sarebbe stato difficile da superare anche per un ventenne.
A suggerirlo sono i fisioterapisti, gli uomini addetti alla manutenzione delle macchine umane che vogliamo in pista. Attenzione, il doping non c’entra. Non qui. Il doping non fa invecchiare meglio, fa esattamente il contrario. Siate sospettosi di un atleta che salta ai vertici dopo aver frequentato troppo a lungo i piani medio-bassi del suo sport, non quando resiste così a lungo da raggiungere l’età nella quale potrebbe fare da padre a oltre la metà degli atleti che affronta.
Prendete il tennis. È la disciplina che meglio evidenzia, al momento, il punto di vista dei preparatori fisici. Una dozzina di anni fa, un’allegra e scalpitante nidiata di aitanti giovanotti stava per irrompere nel circuito. Si parlava di ricambio, di nuove speranze. I padroni del vapore, sempre un po’ eccessivi nei loro propositi pubblicitari, li chiamarono "the young gunners" e li disposero in bella fila in una pubblicità che li mostrava con l’espressione più crudele che potessero fare. Imberbi ma già killer.
E certo nessuno poneva il problema dell’invecchiamento del circuito. Il pronostico più naturale, semmai, era che i giovani “pistoleri” avrebbero percorso fino in fondo la strada del successo, quei sei-sette anni utili a realizzare i loro progetti agonistici, ognuno per le sue capacità.
Non è andata esattamente così. Gli anni sono diventati, otto, dieci. Sono ancora il presente. Altri giovani “pistoleri” non sono venuti a reclamare il posto. Nei primi cento tennisti della classifica mondiale, oggi, figurano appena tre Under 23. Non era mai successo. Il tennis è diventato uno sport vietato ai minori.
L’elisir di lunga giovinezza, spiegano gli addetti ai lavori, sgorga dai nuovi sistemi di allenamento, sempre più personalizzati, tagliati a misura degli atleti. E dalla tecnologia, che aiuta ad avere un quadro clinico dell’atleta come prima non sarebbe stato possibile. «È una questione economica, innanzi tutto», spiega Riccardo Piatti, fino a ieri coach del francese Richard Gasquet, oggi vicino al canadese Milos Raonic, il giovane più forte dell’ultima nidiata. «I giocatori guadagnano bene, si allenano meglio, investono sui team e in questo modo prolungano le loro carriere.
I più forti possono permettersi un vero staff, che va dal coach al manager, dal preparatore atletico all’accordatore, dalla segretaria all’ufficio stampa». Un percorso comune, questo, negli sport dove il confronto è fra singoli atleti. Nasce l’atleta-azienda. E il business impone di prolungare le carriere e restare sul mercato. Senza scadenza.
È anche sponsor degli Us Open di tennis. Il reverendo ha felicemente compiuto 64 anni. Se si volta appena indietro, ancora faceva a pugni. Ha dieci figli, cinque maschi: li ha chiamati tutti George. E ama saltare in corsa sui suoi cavalli. Sostiene che riuscirvi ancora, alla sua età, lo faccia sentire benissimo. L’esatto contrario di ciò che pensano i cavalli.
Foreman si è ritirato dalla boxe nel 1997, tre anni prima a 45 suonati riconquistò il titolo mondiale. Nel libro dei record c’è ancora posto per lui: il più vecchio campione dei pesi massimi. Ma i record son fatti per essere battuti, e il reverendo, irriso dalla farfalla Alì nella notte di The Rumble on the Jungle Kinshasa, 20 ottobre 1974), ne ha già visti sparire alcuni dalle pagine a lui dedicate. Era, in assoluto, il campione del mondo più anziano, ora non più. Bernard Hopkins, l’eterno Bernard, lo scorso 27 ottobre ha difeso con successo il suo titolo mondiale dei massimi leggeri. Una grande impresa per un quarantottenne. Bernard ha festeggiato sul ring indossando una maschera verde. Lo chiamano l’Alieno.
Lo sport si spinge sempre più in là. Fin dove non si sa, ma non ha mai smesso di andare oltre. Nessuno ne sentirebbe il bisogno, se i primati da battere fossero solo quelli anagrafici. Bambini rampanti, e vecchietti sempre in tiro creano meraviglia, è vero, ma riempiono di ansia i nostri cuori, ed è difficile non avvertirli come anomalie della natura, se non proprio come fenomeni da baraccone.
Se è da record, certo non risulta per questo meno sconcertante l’immagine di Yuri Pudyshev, allenatore-giocatore della Dinamo Brest, Serie A bielorussa, 56 anni portati neanche benissimo. Ma i mutandoni da calciatore non premiano chi non ha più l’età per portarli con disinvoltura, soprattutto quando scoprono, fra un tackle e l’altro, le generose Gibaud a sorreggere l’adipe da birraio.
Stanley Mathews, l’ex primatista battuto, giocò la sua partita d’addio il 6 febbraio 1965, Stoke City contro Fulham. Aveva 50 anni e 5 giorni, e agli occhi di chi lo aveva visto cominciare, trent’anni prima, appariva solo un po’ più rigido. Aveva la maglia ben calzata nei pantaloncini, una corsa elegante, e dopo ogni colpo di testa si passava le mani sui capelli per rifare la riga. Altra classe.
Ma c’è dell’altro. C’è che all’idea di uno sport sempre più vecchio, o privo di carta d’identità se preferite, dovremo forse abituarci. Non potremo più sorprenderci di nonno Christopher Horner, che vince la Vuelta a quasi 42 anni, né di uno Javier Zanetti che torna protagonista nel derby milanese a 40 anni e 4 mesi, e dopo un infortunio che sarebbe stato difficile da superare anche per un ventenne.
A suggerirlo sono i fisioterapisti, gli uomini addetti alla manutenzione delle macchine umane che vogliamo in pista. Attenzione, il doping non c’entra. Non qui. Il doping non fa invecchiare meglio, fa esattamente il contrario. Siate sospettosi di un atleta che salta ai vertici dopo aver frequentato troppo a lungo i piani medio-bassi del suo sport, non quando resiste così a lungo da raggiungere l’età nella quale potrebbe fare da padre a oltre la metà degli atleti che affronta.
Prendete il tennis. È la disciplina che meglio evidenzia, al momento, il punto di vista dei preparatori fisici. Una dozzina di anni fa, un’allegra e scalpitante nidiata di aitanti giovanotti stava per irrompere nel circuito. Si parlava di ricambio, di nuove speranze. I padroni del vapore, sempre un po’ eccessivi nei loro propositi pubblicitari, li chiamarono "the young gunners" e li disposero in bella fila in una pubblicità che li mostrava con l’espressione più crudele che potessero fare. Imberbi ma già killer.
E certo nessuno poneva il problema dell’invecchiamento del circuito. Il pronostico più naturale, semmai, era che i giovani “pistoleri” avrebbero percorso fino in fondo la strada del successo, quei sei-sette anni utili a realizzare i loro progetti agonistici, ognuno per le sue capacità.
Non è andata esattamente così. Gli anni sono diventati, otto, dieci. Sono ancora il presente. Altri giovani “pistoleri” non sono venuti a reclamare il posto. Nei primi cento tennisti della classifica mondiale, oggi, figurano appena tre Under 23. Non era mai successo. Il tennis è diventato uno sport vietato ai minori.
L’elisir di lunga giovinezza, spiegano gli addetti ai lavori, sgorga dai nuovi sistemi di allenamento, sempre più personalizzati, tagliati a misura degli atleti. E dalla tecnologia, che aiuta ad avere un quadro clinico dell’atleta come prima non sarebbe stato possibile. «È una questione economica, innanzi tutto», spiega Riccardo Piatti, fino a ieri coach del francese Richard Gasquet, oggi vicino al canadese Milos Raonic, il giovane più forte dell’ultima nidiata. «I giocatori guadagnano bene, si allenano meglio, investono sui team e in questo modo prolungano le loro carriere.
I più forti possono permettersi un vero staff, che va dal coach al manager, dal preparatore atletico all’accordatore, dalla segretaria all’ufficio stampa». Un percorso comune, questo, negli sport dove il confronto è fra singoli atleti. Nasce l’atleta-azienda. E il business impone di prolungare le carriere e restare sul mercato. Senza scadenza.
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