Se il
mondo del calcio italiano somigliasse di più a Clarence Seedorf, non
sarebbe mai in pericolo. Il 37enne centrocampista olandese, è da sempre
un numero "10" in campo, ma soprattutto fuori, dove spera «di essere
ricordato come esempio di positività e di umanità» . Un raro
ambasciatore internazionale (parla sei lingue) prestato all’universo del
football. Lo sa bene il patron del Milan Silvio Berlusconi che l’ha
avuto a Milanello per un decennio e che per la prossima stagione lo
considera già la prima scelta per la guida dei rossoneri, al posto di
Max Allegri.
Ma alla vigilia di Natale, non è questo il tema
nodale da affrontare con il saggio Clarence, bensì il suo impegno e la
sua “mission” in giro per il mondo, per portare soccorso ai più deboli e
quindi ai più piccoli della terra. Per questo motivo continua a fondare
cittadelle per i ragazzi, con annessi campi di calcio e istituti
scolastici, costruite partendo dalla sua terra d’origine, il Suriname
(l’ex Guyana Olandese dove visse il nonno Frederick, figlio di uno
schiavo africano che prese il cognome dal padrone tedesco, Seedorf)
passando per il Kenya e la Cambogia, fino ad Almere, la città
dell’Olanda dove ha trascorso l’infanzia.
Anche nel suo ultimo
approdo professionale, il Brasile - la terra natìa della moglie Luviana -
non si è fatto conoscere solo per le belle giocate e il titolo
nazionale vinto con il Botafogo, ma soprattutto per le innumerevoli
attività sociali che gli sono valse il tributo popolare da parte di
tutte le tifoserie. Progetti iniziati ancor prima di sbarcare nel
Brasilerao (la serie A brasiliana) con l’apertura di un centro sportivo
in una favela di Salvador de Bahia. Il "pallone solidale" di Seedorf è
arrivato fino a Malmberg, in quel Sudafrica che ancora piange la sua
grande anima, Nelson Mandela.
Lei, è uno dei "Legacy
Champions" scelti da Mandela per continuare a promuove i suoi valori e
il suo lavoro a livello internazionale. Che ricordo ha del grande
"Madiba" e quanto ha influito nella formazione della sua coscienza
civile?
«Mandela è stato fondamentale, soprattutto
nell’infondermi la consapevolezza di poter fare la differenza, non solo
per me stesso, ma anche per gli altri. È anche grazie a lui se mi
avvalgo del mio ruolo per dare quel contributo che mira a rendere il
mondo migliore».
Quanto è stato importante il messaggio di Mandela al mondo dello sport ?
«È
stato vitale, ma in parte sottovalutato dallo stesso universo sportivo.
Con il potenziale che lo sport ha, potrebbe ambire a risultati
certamente più importanti. Per questo uno dei miei obiettivi è quello di
rendere il calcio uno sport più cosciente della sua responsabilità
sociale».
Lei è uno dei pochi campioni che da anni è
concretamente impegnato nella lotta al razzismo. Come pensa che si possa
trasmettere alle nuove generazioni la cultura dell’antirazzismo?
«Dando
il buon esempio, comportandosi correttamente e lasciando da parte i
pregiudizi. Continuare a dire che si vuole combattere il razzismo
equivale a fare una lotta contro un fantasma che porta via tante energie
preziose alle azioni concrete. È necessario conoscersi, confrontarsi,
aprirsi a nuove esperienze e a nuove idee. Quando sai, rispetti e
apprezzi. Quando non sai, colmi il vuoto con il pregiudizio».
Alla
luce della sua ultima esperienza brasiliana, quali sono i punti di
forza del Paese che ospiterà il prossimo Mondiale di calcio?
«Sono i giovani brasiliani, la loro allegria e una condivisione di valori come quello della famiglia».
"Meno
stadi e più studio", può diventare lo slogan da lanciare ai giovani
brasiliani e forse anche a quelli di altri Paesi dove gli investimenti
per la cultura e l’istruzione (Italia compresa) sono relegati dai
governi all’ultimo posto.
«Molti non comprendono ancora che
lo sport fa parte della cultura e dell’istruzione dei giovani.
Attraverso la pratica sportiva si impara a crescere equilibrati, aiuta a
saper perdere, a rispettare la disciplina, a sperimentare lo spirito di
collaborazione. Lo sport educa a gestire la pressione e poi è
fondamentale per il corretto sviluppo psicofisico dei bambini per farne
dei buoni adulti di domani. Per questo motivo l’educazione fisica deve
essere incentivata anche all’interno del sistema scolastico e non solo
come attività ludica, ma per creare un’autentica cultura sportiva».
In Brasile ha visitato ospedali, parlato di educazione e istruzione nelle scuole.
«Ho
messo la mia esperienza di vita al servizio specialmente dei giovani.
Ho avuto modo di visitare cinque scuole e di parlare a migliaia di
bambini, spiegando loro che è importante proseguire il percorso di studi
perché non tutti potranno coronare il sogno di diventare dei
calciatori».
Ha conosciuto anche i detenuti di quel
carcere minorile che l’hanno voluto premiare con l’Oscar per il "Miglior
calciatore socio-educativo"?
«Sì, ho visitato i ragazzi del
carcere Degase e ho cercato di ispirarli, facendogli capire che se
anche hanno commesso degli errori, sono ancora in tempo per rimediare e
per continuare ad inseguire il loro futuro. Nei giorni scorsi poi, sono
entrato a far parte del board di "Laureus", una fondazione di cui
Mandela appunto è stato il padrino e che utilizza la filosofia e il
potere dello sport per promuovere il cambiamento sociale».
Oltre a Mandela, qual è stato un altro modello che ha seguito nel suo percorso umano e sportivo?
«Un
punto di riferimento costante è mio padre. Nel mondo dello sport
sicuramente il coach Phil Jackson, per l’efficacia con la quale è
riuscito ad introdurre all’interno di una disciplina come il basket la
sua spiritualità e la forza dei suoi valori. E poi l’attrice e
conduttrice tv Oprah Winfrey, una delle donne più potenti del mondo che
ha messo il suo talento al servizio della società per contribuire a fare
la differenza».
Che rapporto ha con la spiritualità e con la religione?
«La
spiritualità è una caratteristica molto forte della mia persona. Sono
molto interessato a conoscere le diverse sfaccettature delle religioni e
quelle che considero più affini ed importanti fanno riferimento ai
valori universali che inducono al rispetto di se stessi e degli altri».
In campo lei è un trascinatore. Più grande è la sfida, più Seedorf si impegna per vincerla?
«Penso
che le sfide, gli ostacoli e le difficoltà siano una grande opportunità
per crescere. Negli anni ho acquisito consapevolezza nei miei mezzi,
consapevolezza che ho nutrito costantemente in maniera cosciente».
Che cosa si augura per lei e cosa si aspetta dall’anno che verrà?
«Il
mio augurio va agli abitanti della terra, perché trascorrano delle
serene festività e che il 2014 sia un anno di salute e di pace interiore
per tutto il mondo».