Il
Brasile «è un grande Paese. Non esiste un luogo migliore nè persone
migliori...». È il messaggio in Rete di una giovane blogger di Curitiba,
intercettato da Luciano Sartirana, autore di una “bibbia” del calcio
brasiliano, Nel settimo creò il Maracanà (Edizioni del
Gattaccio). Da sempre questo è anche il Paese in cui si gioca il calcio
più estetico, il “fútbol bailado”. Il calcio di poesia, secondo
Pasolini, il più vincente (5 titoli iridati per la Seleçao) e di massimo
impegno civile.
Nella stagione 1982-’83, a San Paolo una
formazione capeggiata dal suo leader maximo, Brasileiro Sampaio de Souza
Vieira de Oliveira, in arte Socrates, metteva in campo la sua utopia:
la “Democracia Corinthiana”. Il manifesto politico dei professionisti
del Corinthians che per voce del filosofico Socrates, noto anche come
“O’ Magrao” (il magro, 192 centimetri per 80 kg ) o il “tacco di Dio”,
proclamava: «Lavorare con libertà, discussione allargata dai dirigenti
fino ai calciatori su ogni argomento - dalle ore di allenamento, ai
premi partita -, con decisioni prese a maggioranza».
Un fenomeno
sindacale, unico nella storia del football, che prese piede nello
spogliatoio di quello stadio del Corinthians appena crollato e in cui
hanno perso la vita due operai. Una tragedia che va ad alimentare il
fronte della protesta popolare, sedata a fatica dalla polizia lo scorso
giugno durante la Confederations Cup. Una marea umana che ha gridato
allo «scandalo» per i 9 miliardi (a fronte di 1 miliardo di spesa
preventivata) investiti nell’organizzazione dei Mondiali. Tre volte di
più, rispetto a Corea Giappone 2002, Germania 2006 e Sudafrica 2010. In
nome di Socrates, il “Che Guevara” del pallone, i brasiliani sono scesi
in piazza e minacciano di farlo fino al fischio d’inizio del Mondiale.
Non
accettano, giustamente, che il 97% dei costi dei 12 stadi (quasi tutti
nuovi e 8 rimarranno di proprietà dello stato) sarà esclusivamente a
carico dei contribuenti. Un seguace di Socrates, l’ex stella della
Seleçao anni ’90, l’onorevole Romario, ha puntato il dito sullo stadio
Nazionale Manè Garrincha di Brasilia, per la cui realizzazione si è
passati dalla cifra già folle di 745,3 milioni di reais, ai definitivi
1.200 milioni. «Con quel denaro si potevano costruire 150mila case
popolari», ha tuonato Romario. La situazione per il popolo delle
favelas, anche se si sono ristrette rispetto agli anni ’80 (nelle grandi
città brasiliane ci viveva il 49% degli abitanti, oggi il 27%), è
sempre di estrema povertà, mentre della grande ricchezza attuale del
Paese è beneficiaria anche l’industria calcistica.
La stella più
luminosa, Neymar, ha scelto di emigrare al Barcellona, ma rispetto anche
al recente passato è in netto calo l’esportazione dei talenti.
Nell’ultimo anno 1.100 giocatori (tra questi Pato e Ronaldinho) hanno
deciso di fare ritorno a casa. I “clubes” del Brasileirão, la loro Serie
A, possono garantire ingaggi pari, e in alcuni casi più vantaggiosi, di
quelli europei. Nell’ultimo decennio le migliori cento squadre
brasiliane sono passate da un introito globale di di 303 milioni di euro
ad oltre 1 miliardo della passata stagione. Cifre che fanno la gioia
del capo della Fifa Blatter, il quale ha intimato: «Il prossimo 31
dicembre tutti gli stadi di Brasile 2014 dovranno essere pronti».
Fantacalcio. San Paolo, Cuiabà e Curitiba non consegneranno mai in tempo
le loro arene. Il nuovo Maracanà - sfregiato del suo fascino antico -
di Rio de Janerio e il Manè Garrincha di Brasilia, si candidano per la
sostituzione in corsa dello stadio del Corinthians, sede della partita
inaugurale. Sarebbe un affronto alla memoria di Socrates, volato via due
anni fa (a 57 anni), ma che “lotta ancora” per un calcio di poesia.
Massimiliano Castellani - avvenire.it