Partiranno questo pomeriggio in sede le
prevendite per i prossimi impegni casalinghi della Grissin Bon: domenica
17 novembre alle 18.15 si terrà la terza gara casalinga del Campionato
Italiano di Serie A che vedrà i biancorossi sfidare Giorgio Tesi Group
Pistoia , mentre martedì 19 alle 20.30 la Grissin Bon affronterà gli
olandesi del Gas Terra Flames nel terzo impegno del primo turno della
competizione europea Eurochallenge.
A causa di problemi logistici, la prevendita online dei biglietti per la
partita di domenica contro Pistoia non verrà effettuata. Ai tifosi di
Pistoia è stata destinata la curva che ha una capienza massima di 160
posti; i biglietti per il settore ospiti saranno a disposizione della
società Pistoia Basket 2000.
La prevendita per entrambe le gare inizierà questo pomeriggio, mercoledì
13 e proseguirà fino a venerdì 15 novembre nella sede di via Martiri
della Bettola 47, dalle 17 alle 19. La vendita dei biglietti proseguirà
sabato mattina, sempre in sede dalle 10 alle 12.
Domenica la prevendita si sposterà presso la biglietteria del Palazzetto
dello sport G.Bigi domenica al mattino dalle 11.00 alle 13.00 ed al
pomeriggio i botteghini apriranno alle 17. Palla a due alle 18.15
Per la gara di Eurochallenge, la prevendita riprenderà lunedì 18
novembre dalle 17 alle 19 in sede; la vendita dei biglietti proseguirà
martedì ai botteghini del PalaBigi dalle 19.15 in poi. Palla a due alle
20.30.
Questi i prezzi dei biglietti :
Settore Prezzo
Parterre Prima Fila 80,00
Parterre 65,00
Tribuna Numerata Inferiore 40,00
Tribuna Numerata Superiore 35,00
Tribuna Numerata Laterale 30,00
Gradinata Numerata 25,00
Gradinata 20,00
fonte: http://www.pallacanestroreggiana.it/pagina.php?id=3922&n=Al+via+le+prevendite+per+Grissin+Bon+-+Giorgio+Tesi+Group+Pistoia+e+Grissin+Bon+-+Gas+Terra+Flames
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Gallo: «Dopo il "consiglio" degli ultras ho abbandonato la panchina del Brescia»
Non
solo razzismo verbale: gli ultrà erano già entrati a gamba tesa sul
calcio italiano in estate, impedendo all’ex “bandiera” dell’Atalanta,
Fabio Gallo, di accettare il ruolo di viceallenatore del Brescia. Prima
che anche Marco Giampaolo, tecnico scelto dalla società, si dimettesse
in disaccordo con la piazza, Gallo aveva addirittura cambiato mestiere,
in attesa magari di una nuova chance in panchina.
I fatti di domenica a Salerno le hanno fatto rivivere il suo sabato 6 luglio?
«In parte sì. La Digos dovette addirittura organizzare, in un centro sportivo, un incontro con 8-10 esponenti della curva bresciana, miei coetanei o anche più vecchi: erano già capi tifosi quando giocavo a Brescia. Della società non c’era nessuno, solo gli ultrà, io e due poliziotti...».
Perché le chiesero di non affiancare Giampaolo in panchina?
«Sono stato una bandiera dell’Atalanta e per due stagioni anche il capitano. Poteva crearsi un “problema ambientale”, dissero. Avrebbero contestato tutti i giorni la mia presenza al campo. E pensare che da giocatore il Brescia mi aveva valorizzato per tre stagioni, poi, ceduto ai nerazzurri per 2 miliardi e mezzo più la metà dell’attaccante Saurini. Nel ’95 erano cifre elevate...».
La minacciarono apertamente?
«Il loro era un “consiglio” concreto. Avevo già percepito in anticipo l’ostilità, Giampaolo non le dava molta importanza. Sui siti internet bresciani si scatenavano leggende: scrissero che avrei sputato sulla maglia delle “rondinelle”, che ne avrei parlato male, così in quella occasione mi presentai con la rassegna stampa dal ’95 in poi, curata da un giornalista dell’Eco di Bergamo: in nessun articolo diffamavo il Brescia né i tifosi. Neanche gli accusatori ricordavano bene, cercavano solo un pretesto».
Era mai capitato un paradosso del genere, nel calcio italiano?
«Magari in Lega Pro, comunque non si è saputo. Nelle prime due categorie mai la piazza aveva condizionato la scelta di un tecnico perché ex della società rivale».
Poteva essere una sfida. Perché non l’ha accettata?
«Non volevo soffiare sul fuoco e dare altri problemi a Giampaolo, già si era verificata una situazione poco carina alla sua presentazione. Ho grande stima per il mister. che ho avuto come allenatore per due stagioni a Treviso, vincemmo l’allora Serie C1 e ci salvammo in B. Quella decina di ultrà a suo dire rappresentavano tutta la Curva, nei fatti secondo me non sono più di 600 persone. Dieci giorni dopo sono stato a Vinovo per seguire gli allenamenti della Juventus, due bresciani veri mi dissero che si vergognavano per l’accaduto».
Il calcio è ancora ostaggio di queste Curve?
«Purtroppo sì, anche le intimidazioni ai giocatori della Nocerina confermano quello che nessuno vuole dire: una minoranza condiziona tanta gente che vuole andare allo stadio. La critica va fatta sempre in modo civile, senza prevaricazione. A me hanno impedito una possibilità di lavoro, di crescita professionale ed economica, volevo affiancare uno fra i tecnici più quotati d’Italia».
Il Brescia sta dalla parte dei facinorosi?«Mi attendeva un anno di contratto. Neanche sono andato a sottoscriverlo, nonostante gli inviti del presidente Gino Corioni e del direttore sportivo Iaconi. Non aveva senso speculare su questa situazione. Brescia è un ambiente difficile per fare calcio, lo era anche 20 anni fa, quando giocavo».
Lei ora ha lasciato il calcio per sempre?
«No, vorrei ancora fare l’allenatore, in maniera professionale. Ho rinunciato a 40mila euro netti di stipendio per un anno, era il mio debutto in Serie B, ancorché da vice. Ora mi occupo di consulenza assicurativa nel campo della sanità e della previdenza, in provincia di Verona. Ho ricominciato a studiare imparando un lavoro nuovo».
Chi ha solidarizzato con lei?
«Nessuna telefonata è arrivata dall’Associazione allenatori, neanche dal presidente Renzo Ulivieri, mio docente al master di Coverciano, perciò non pagherò la quota di iscrizione. Neppure il sindaco di Brescia, Emilio Del Bono, mi ha chiamato. È come se la città avesse avallato quell’atteggiamento di pochi, chiedevo a tutti la consapevolezza della situazione. Silenzio anche da parte di Damiano Tommasi, al vertice dell’Assocalciatori...».
È pentito di avere ceduto alla contestazione preventiva?
«No, la qualità della mia vita è più importante. Ma resta il fatto che a me è stato negato un diritto al lavoro».
Può accadere solo a Brescia per un ex atalantino o fra salernitani e nocerini?«Nessuna rivalità forse è sentita così tanto. Esistono bergamaschi fidanzati con bresciane ma la settimana della partita non si parlano».
Come si è lasciato, con quei sostenitori così accesi?
«Non li ho più rivisti né sentiti. Ho stretto loro la mano, da persona a posto. Mi auguro soltanto che nessuno di essi debba cercare lavoro a Bergamo. Sarebbe brutto se qualcuno glielo negasse per campanilismo, com’è successo a me».
I fatti di domenica a Salerno le hanno fatto rivivere il suo sabato 6 luglio?
«In parte sì. La Digos dovette addirittura organizzare, in un centro sportivo, un incontro con 8-10 esponenti della curva bresciana, miei coetanei o anche più vecchi: erano già capi tifosi quando giocavo a Brescia. Della società non c’era nessuno, solo gli ultrà, io e due poliziotti...».
Perché le chiesero di non affiancare Giampaolo in panchina?
«Sono stato una bandiera dell’Atalanta e per due stagioni anche il capitano. Poteva crearsi un “problema ambientale”, dissero. Avrebbero contestato tutti i giorni la mia presenza al campo. E pensare che da giocatore il Brescia mi aveva valorizzato per tre stagioni, poi, ceduto ai nerazzurri per 2 miliardi e mezzo più la metà dell’attaccante Saurini. Nel ’95 erano cifre elevate...».
La minacciarono apertamente?
«Il loro era un “consiglio” concreto. Avevo già percepito in anticipo l’ostilità, Giampaolo non le dava molta importanza. Sui siti internet bresciani si scatenavano leggende: scrissero che avrei sputato sulla maglia delle “rondinelle”, che ne avrei parlato male, così in quella occasione mi presentai con la rassegna stampa dal ’95 in poi, curata da un giornalista dell’Eco di Bergamo: in nessun articolo diffamavo il Brescia né i tifosi. Neanche gli accusatori ricordavano bene, cercavano solo un pretesto».
Era mai capitato un paradosso del genere, nel calcio italiano?
«Magari in Lega Pro, comunque non si è saputo. Nelle prime due categorie mai la piazza aveva condizionato la scelta di un tecnico perché ex della società rivale».
Poteva essere una sfida. Perché non l’ha accettata?
«Non volevo soffiare sul fuoco e dare altri problemi a Giampaolo, già si era verificata una situazione poco carina alla sua presentazione. Ho grande stima per il mister. che ho avuto come allenatore per due stagioni a Treviso, vincemmo l’allora Serie C1 e ci salvammo in B. Quella decina di ultrà a suo dire rappresentavano tutta la Curva, nei fatti secondo me non sono più di 600 persone. Dieci giorni dopo sono stato a Vinovo per seguire gli allenamenti della Juventus, due bresciani veri mi dissero che si vergognavano per l’accaduto».
Il calcio è ancora ostaggio di queste Curve?
«Purtroppo sì, anche le intimidazioni ai giocatori della Nocerina confermano quello che nessuno vuole dire: una minoranza condiziona tanta gente che vuole andare allo stadio. La critica va fatta sempre in modo civile, senza prevaricazione. A me hanno impedito una possibilità di lavoro, di crescita professionale ed economica, volevo affiancare uno fra i tecnici più quotati d’Italia».
Il Brescia sta dalla parte dei facinorosi?«Mi attendeva un anno di contratto. Neanche sono andato a sottoscriverlo, nonostante gli inviti del presidente Gino Corioni e del direttore sportivo Iaconi. Non aveva senso speculare su questa situazione. Brescia è un ambiente difficile per fare calcio, lo era anche 20 anni fa, quando giocavo».
Lei ora ha lasciato il calcio per sempre?
«No, vorrei ancora fare l’allenatore, in maniera professionale. Ho rinunciato a 40mila euro netti di stipendio per un anno, era il mio debutto in Serie B, ancorché da vice. Ora mi occupo di consulenza assicurativa nel campo della sanità e della previdenza, in provincia di Verona. Ho ricominciato a studiare imparando un lavoro nuovo».
Chi ha solidarizzato con lei?
«Nessuna telefonata è arrivata dall’Associazione allenatori, neanche dal presidente Renzo Ulivieri, mio docente al master di Coverciano, perciò non pagherò la quota di iscrizione. Neppure il sindaco di Brescia, Emilio Del Bono, mi ha chiamato. È come se la città avesse avallato quell’atteggiamento di pochi, chiedevo a tutti la consapevolezza della situazione. Silenzio anche da parte di Damiano Tommasi, al vertice dell’Assocalciatori...».
È pentito di avere ceduto alla contestazione preventiva?
«No, la qualità della mia vita è più importante. Ma resta il fatto che a me è stato negato un diritto al lavoro».
Può accadere solo a Brescia per un ex atalantino o fra salernitani e nocerini?«Nessuna rivalità forse è sentita così tanto. Esistono bergamaschi fidanzati con bresciane ma la settimana della partita non si parlano».
Come si è lasciato, con quei sostenitori così accesi?
«Non li ho più rivisti né sentiti. Ho stretto loro la mano, da persona a posto. Mi auguro soltanto che nessuno di essi debba cercare lavoro a Bergamo. Sarebbe brutto se qualcuno glielo negasse per campanilismo, com’è successo a me».
Vanni Zagnoli - avvenire.it
Salernitana-Nocerina, se non vince il migliore...
“Gli
esami non finiscono mai”. E’ vero. Siamo degli eterni scolaretti alla
scuola della vita. Troppo grande è il mistero in cui siamo avvolti. Noi
possiamo solo tentare di indagarlo. Come i bambini abbiamo bisogno di
conservare la capacità stupirci, di ridere e giocare. Di perdere tempo
per meglio valorizzare il tempo. Giocare. Agli adulti non viene facile.
Il gioco richiede gratuità. Si gioca per stare assieme. Per conoscersi
meglio. Per regalarsi gioia. Per stringere amicizia. Si gioca per
ridere. Per fare comunione. Per gettare via il peso di una giornata di
lavoro. Si gioca per sdrammatizzare. Per ritornare bambini. Gli adulti,
in genere, non sanno giocare. O, almeno, non sanno farlo bene. Debbono
imparare. Con umiltà. Debbono andare a scuola dai loro bambini. Senza
ipocrisie.
Chiamando le cose con il loro giusto nome. Senza barare. Gli adulti non sanno giocare perciò rubano ai bambini termini e giocattoli. Con questi fanno finta di imitarli e si bruciano il cervello. Pensate alle slot machine. Una trappola per gente che si lascia ammaliare. Un pessimo esempio per i nostri ragazzi. Restano là, come imbambolati, a gettare via il denaro per pagare l’affitto della casa. Soli. Soli davanti a una macchina assassina. Dal gioco vero si esce sudati e stanchi, gioiosi e ristorati. Da questo falso gioco si esce a pezzi. Nervosi e annoiati. Frustrati e depressi. Con sensi di colpa nei confronti della famiglia maltrattata. Soli. Li vedi al bar quando entri per un caffè. Sono nostri fratelli. Dovremmo aiutarli e invece approfittiamo della loro debolezza.
Nel mondo, tra i tanti giochi antichi, uno in particolare, ha preso il sopravvento: il calcio. Chi lo ha inventato è stato un genio. Basta un pallone, un piccolo spazio, un gruppo di amici e… il gioco è fatto. Si corre, si suda, si scalcita, si grida, si tira. La partita di calcio riproduce una battaglia. Ci sono amici e avversari. Si attacca, si difende. Si combatte. Un solo desiderio: vincere. In fondo l’uomo ha bisogno di un nemico da combattere. Forse dipende da questo il successo del gioco del calcio. Ben venga dunque, se ci fa più forti e più capaci. Se riuscissimo, allora, a essere nemici dell’ingiustizia e della povertà, della menzogna e della falsità sarebbe una cosa stupenda. Prenderemmo a combatterli con tutta la nostra forza. Se il mio nemico non è più l’uomo diverso da me ma il male che lo affligge avrò fatto un bel pezzo di strada. Nocera dista pochi chilometri da Salerno.
Domenica scorsa le squadre di calcio di queste due città si affrontano. Giocano. O, almeno, così è previsto. Vince il migliore? Macché. Ogni squadra ha i suoi tifosi. Alcuni a tutti i costi vogliono essere più tifosi degli altri. Ne hanno estremo bisogno. Il motivo mi sfugge. E’ come se soffrissero di un complesso di inferiorità. Forse, inconsciamente, vogliono richiamare l’attenzione su di sé. Costoro dagli spalti incitano i giocatori. Li invogliano. A volte addirittura li minacciano. Il fatto è grave. Che c’entra il gioco con la prepotenza, la violenza, la sopraffazione? Domenica scorsa, costoro intimano ai giocatori della Nocerina di non giocare e loro, i giocatori, si sottomettono a tanta protervia. Fingendo malesseri e malori inesistenti, diversi di loro escono dal campo impedendo il normale svolgimento della partita. Brutta storia. Davvero. Pessima figura per tutti. Chi ci rimette è il gioco. Al di là del singolo episodio, credo che occorra fermarsi e seriamente e interrogarsi sul senso del gioco e dei giochi. Del tempo libero e dei milioni spesi per l’acquisto di un singolo giocatore. Occorre riflettere sugli idoli creati a tavolino e sulle conseguenze che ne derivano. Viva il gioco del calcio. Viva una bella partita di pallone quando porta a migliorare i rapporti tra gli esseri umani e a donare un po’ di gioia e di speranza per riprendere il faticoso cammino della vita.
Chiamando le cose con il loro giusto nome. Senza barare. Gli adulti non sanno giocare perciò rubano ai bambini termini e giocattoli. Con questi fanno finta di imitarli e si bruciano il cervello. Pensate alle slot machine. Una trappola per gente che si lascia ammaliare. Un pessimo esempio per i nostri ragazzi. Restano là, come imbambolati, a gettare via il denaro per pagare l’affitto della casa. Soli. Soli davanti a una macchina assassina. Dal gioco vero si esce sudati e stanchi, gioiosi e ristorati. Da questo falso gioco si esce a pezzi. Nervosi e annoiati. Frustrati e depressi. Con sensi di colpa nei confronti della famiglia maltrattata. Soli. Li vedi al bar quando entri per un caffè. Sono nostri fratelli. Dovremmo aiutarli e invece approfittiamo della loro debolezza.
Nel mondo, tra i tanti giochi antichi, uno in particolare, ha preso il sopravvento: il calcio. Chi lo ha inventato è stato un genio. Basta un pallone, un piccolo spazio, un gruppo di amici e… il gioco è fatto. Si corre, si suda, si scalcita, si grida, si tira. La partita di calcio riproduce una battaglia. Ci sono amici e avversari. Si attacca, si difende. Si combatte. Un solo desiderio: vincere. In fondo l’uomo ha bisogno di un nemico da combattere. Forse dipende da questo il successo del gioco del calcio. Ben venga dunque, se ci fa più forti e più capaci. Se riuscissimo, allora, a essere nemici dell’ingiustizia e della povertà, della menzogna e della falsità sarebbe una cosa stupenda. Prenderemmo a combatterli con tutta la nostra forza. Se il mio nemico non è più l’uomo diverso da me ma il male che lo affligge avrò fatto un bel pezzo di strada. Nocera dista pochi chilometri da Salerno.
Domenica scorsa le squadre di calcio di queste due città si affrontano. Giocano. O, almeno, così è previsto. Vince il migliore? Macché. Ogni squadra ha i suoi tifosi. Alcuni a tutti i costi vogliono essere più tifosi degli altri. Ne hanno estremo bisogno. Il motivo mi sfugge. E’ come se soffrissero di un complesso di inferiorità. Forse, inconsciamente, vogliono richiamare l’attenzione su di sé. Costoro dagli spalti incitano i giocatori. Li invogliano. A volte addirittura li minacciano. Il fatto è grave. Che c’entra il gioco con la prepotenza, la violenza, la sopraffazione? Domenica scorsa, costoro intimano ai giocatori della Nocerina di non giocare e loro, i giocatori, si sottomettono a tanta protervia. Fingendo malesseri e malori inesistenti, diversi di loro escono dal campo impedendo il normale svolgimento della partita. Brutta storia. Davvero. Pessima figura per tutti. Chi ci rimette è il gioco. Al di là del singolo episodio, credo che occorra fermarsi e seriamente e interrogarsi sul senso del gioco e dei giochi. Del tempo libero e dei milioni spesi per l’acquisto di un singolo giocatore. Occorre riflettere sugli idoli creati a tavolino e sulle conseguenze che ne derivano. Viva il gioco del calcio. Viva una bella partita di pallone quando porta a migliorare i rapporti tra gli esseri umani e a donare un po’ di gioia e di speranza per riprendere il faticoso cammino della vita.
Maurizio Patriciello - avvenire.it
Letteratura sportiva e partite alla radio
Comunicato Stampa
È il pallone che vola
all’altezza della fantasia oppure è l’immaginazione che, grazie alla radio,
prende il sopravvento? Prova a spiegarcelo con garbo, profondità e competenza
una delle voci professioniste più note dello sport raccontato a chi in quel
momento non può vederlo.
Scaramuzzino Giovanni - Come quando ascoltiamo le partite alla radio. Storie di... solo online da qui sconto 15%
Nel libro “Come quando ascoltiamo le partite alla
radio. Storie di sport minuto per minuto” (SEI, Torino, pp. 210, Euro 12, scontato
su Internet) Giovanni Scaramuzzino -
da tempo nella squadra di “Tutto il
calcio minuto per minuto” di Radio
Rai - si mette alla prova come scrittore e va addirittura oltre,
sorprendendoci nei panni di romanziere.
Dopo l’esordio con il
particolare e avvincente “Fino all’ultimo
chilometro. Il Giro d’Italia da una motocicletta” (Geo Edizioni), dedicato
al grande ciclismo, qui Scaramuzzino spiazza l’ascoltatore, prima ancora del
lettore, dando vita a una sorta di opera radiofonico-cartacea in più atti. È
come se i protagonisti vivessero contemporaneamente le loro vicende e
irrompessero sulla scena incontrandosi, sovrapponendosi, interrompendosi,
completandosi e realizzandosi compiutamente proprio come il racconto in diretta
di più partite alla radio.
Particolarmente indovinata
la scelta di alcune figure portanti dell’opera: ecco un segretario scolastico (a
suo tempo ammiratore di un giovane Nevio Scala, allenatore in rampa di lancio)
che, grazie a una sciarpa a lungo tenuta riposta in un cassetto, riscopre,
rivive e rielabora ricordi che si sublimano in un incontro che forse ha poco di
casuale.
E poi il rapporto
controverso, ma sempre speciale, tra genitore e figlio adolescente: entrambi
sportivi, entrambi tifosi di calcio. Uno del Livorno; l’altro, il più giovane,
nientemeno che del Bastìa. Una storia delicata, suggestiva che si snoda tra le
impalpabili onde radio e quelle ben più visibili del Mar Tirreno sul traghetto
tra Toscana e Corsica per assistere dal vivo alle partite di campionato dei
“turchini”.
Ma probabilmente il
personaggio più intenso, controverso e drammaticamente più vero è Fabio,
portiere di successo, che in una serata nebbiosa perde la strada di casa alla
guida del suo SUV “rischiando” - invano, purtroppo - di ritrovare quei valori di
uomo che un tempo, grazie anche a una fondamentale presenza femminile, l’avevano
accompagnato, saldi e sicuri, prima di essere sacrificati sul volatile altare
dell’effimero.
Ecco,
resta invece qualcosa di palpabile, di solido e concreto, dopo essere arrivati
all’ultima pagina di quest’opera che pretende di non avere pretese, ma che sa
raccontare con sensibilità e umiltà storie che in fondo sono un po’ anche le
nostre. “Verba volant”, si dice, e a maggior ragione ciò vale per un
radiocronista che con la voce deve saper correre dietro alla palla, alle volate,
alle stoccate, al passante di rovescio, al tiro libero, al salto in lungo, al
volteggio, sintetizzando l’azione al momento.
Ora però il merito maggiore
di Scaramuzzino è quello di essere riuscito, scrivendo, a fermare l’attimo e a
fermare anche noi. Una sosta che ci “costringe” a riflettere, ma non una frenata
brusca: un dolce rallentamento dopo che l’autore ha avuto l’accortezza di
bussare e chiedere permesso.
“Come quando
ascoltiamo le partite alla radio. Storie di sport minuto per
minuto” di Giovanni Scaramuzzino, SEI, pp. 210. Euro 12; scontato 15 % su Internet >>>> da qui .
India: treno in corsa uccide 6 elefanti
(ANSA) - NEW DELHI, 14 NOV - Un treno in corsa ha travolto un
branco di elefanti nello Stato indiano del West Bengala,
uccidendone almeno 6. L'incidente e' avvenuto nella foresta di
Dooars, in un punto che fa parte del cosiddetto "corridoio degli
elefanti" dove i convogli ferroviari debbono transitare a una
velocità massima di 40 km/h. Ma secondo i primi rilevamenti il
treno andava ad almeno 100 km/h. Negli ultimi tempi, 43 elefanti
sono stati uccisi da treni lanciati a velocità eccessiva nella
foresta di Dooars.
Rugby: Italia-Argentina dedicata al Papa
La sfida Italia-Argentina del 23
novembre a Roma è stata ufficialmente dedicata dalla Federugby a
papa Francesco. Lo annuncia la stessa federazione, che anticipa
anche che il giorno prima del test match le Nazionali saranno
ricevute in udienza privata dal Pontefice. Il capitano Sergio
Parisse gli consegnerà una maglia azzurra e il pallone ufficiale
della gara. ''Ora abbiamo un altro sogno speciale - dice il
presidente della Fir Alfredo Gavazzi - avere Sua Santità nostro
ospite per la partita''.
ansa Basket: Datome, record personale in Nba
''Non abbiamo giocato una buona gara e
il risultato ne è la prova lampante. Ora pensiamo alla prossima
con Sacramento''. Luigi Datome commenta il 113-95 con cui i suoi
Detroit Pistons sono stati sconfitti da Golden State, ieri in
Nba. L'azzurro, tuttavia, si consola con il record personale di
italiano più veloce a raggiungere la doppia cifra nel campionato
di basket nordamericano: Gigi ha scalzato per una gara Danilo
Gallinari, che aveva segnato 10 punti dopo 5 partite nel suo
primo anno nei Pro.
ansa
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