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VISTI DALLA TRIBUNA Roma capoccia, napoli va "Benitez", la Juve regge, Marquez dominatore folle

È ufficiale, i bicampioni d’Italia della Juventus devono guardarsi da un nuovo spettro concorrente che si aggira per gli stadi: la Roma del sergente di ferro Rudi Garcia.

I giallorossi sono gli unici a punteggio pieno dopo 6 giornate. Record assoluto per capitan Totti e compagni che giocano a memoria, danno spettacolo segnano tanto (17 gol) e possono sfoggiare la miglior difesa del torneo, un solo gol subito da De Sanctis. Non male per un gruppo uscito con le ossa rotte dalla seconda era zemaniana a Trigoria.

La Roma dei Gervinho e degli Strootman e dei redivivi De Rossi, Florenzi e Pjanic sta facendo sognare la torcida romanista, ma attenzione: sabato arriva il primo vero test con una grande, la sfida del Meazza contro l’Inter. I nerazzurri di Mazzarri a Trieste contro i “nomadi” senza stadio del Cagliari hanno perso una grande occasione per installarsi al secondo posto. Il pareggio è il sintomo di una squadra in una buona fase di ricostruzione ma che ha ancora delle zone d’ombra (peccati di inesperienza vedi gol sbagliato del giovane Belfodil) e il punto del Nereo Rocco non basta per agganciare il Napoli e la Juventus che a quota 16 mirano dritte alla conquista del primato.

Il Napoli a Marassi contro il Genoa ha vinto limpido e in scioltezza, facendo saltare la panchina di Liverani: al suo posto il “tornante” Gasperini chiamato dal giocattolaio e mangiallenatori n.3 (dopo Zamparini e Cellino) Preziosi. La Juventus nel derby di fuoco contro il Torino infila il terzo successo di fila, ma ancora una volta pesano le distrazioni arbitrali (gol di Pogba con Tevez in fuorigioco) a favore dei bianconeri, sempre al centro di roventi polemiche. Fa discutere anche il rigore negato all’Udinese, con Di Natale già pronto alla battuta dal dischetto e l’arbitro Giacomelli che dopo consultazione con il suo assistente decide di revocare la decisione. Il tutto si consuma nel tempo irragionevole di 3 minuti e 20 secondi (record italiano), troppi considerando che con una semplice moviola piazzata a bordo campo - a disposizione dell’inutile quarto uomo-  garantirebbe una decisione certa e trasparente nel giro di qualche secondo. La Figc non ascolta e così gli errori arbitrali piovono come pietre sui nostri campi.

Il Milan in crisi di risultati e anche di gioco contro la Samp ringrazia Birsa e si rimette in corsa, ma i rossoneri di Allegri non sembrano destinati a recitare da protagonisti nella lotta per lo scudetto. La Fiorentina solo se questa sera supera il Parma di Cassano può entrare nel trenino delle grandi che corrono per il tricolore. Intanto si rimette in corsa il Catania che con il Chievo trova il primo successo stagionale. Nel “derby” delle neopromosse-rivelazione tra Verona e Livorno, la spuntano gli scaligeri, ma anche qui grazie a un rigorino generoso e sospetto assegnato per fallo su Toni che per la seconda volta (vedi episodio con il Torino) in quattro giorni si lascia svenire in area di rigore. Fa tutto con le proprie forze invece il Sassuolo che dopo lo spettacolare pareggio con il Napoli al San Paolo deve aver preso le misure alla Serie A e imbriglia anche la Lazio di Petkovic che vanifica un parziale 2-0 al Mapei Stadium.

Nella domenica in cui gli azzurri del volley si devono accontentare dell’ottimo argento europeo contro i colossi della Russia e al traguardo di Firenze, manco a farlo apposta, la maglia di campione del mondo la conquista il portoghese Rui Costa (omonimo del fuoriclasse lusitano che giocò nella Fiorentina) spicca il prepotente successo al Gp di Spagna di Marquez, sempre più re del Motomondiale. Il giovane Marquez ha vinto battendo il campione in carica Lorenzo, ma con un sorpasso al limite della legalità sull’altro connazionale ed eterno secondo (ora diventato terzo incomodo) Dani Pedrosa che cadendo ha rischiato grosso e ora lancia le stesse accuse che ai tempi proferì nei confronti del povero Marco Simoncelli. A Marquez consigliamo di stare un po’ più nelle regole della sicurezza, ma al tempo stesso non possiamo che applaudire il vero erede di Valentino Rossi che a 20 anni è già ad un passo dal suo primo titolo mondiale nella classe regina del motociclismo.

Massimilano Castellani - avvenire.it

Il Mondiale a Rui Costa A Saronni l’iride​


Forse Giuseppe Saronni è ancora più felice dello stesso Rui Costa della vittoria del Mondiale di Firenze. L’ex campione italiano ha azzeccato il classico Superenalotto con una schedina da un euro. Saronni, infatti, è il “padre-padrone” della Lampre Merida, la squadra che appena un mese fa aveva ingaggiato il corridore portoghese per la prossima stagione.

Così la Lampre, che nel 2014 sarà l’unico team italiano nell’élite ciclistica del World Tour, potrà sfoggiare la maglia iridata acquistata a costo di realizzo. Certo, parliamo sempre di una cifra che si aggira intorno al milione di euro – almeno a quanto si vocifera - ma è ben poca cosa se si considera la dote – inattesa, anche se sperata - che porta e, soprattutto, per il fatto che oggi per portarsela a casa ci vorrebbe almeno il doppio.

E proprio per il suo imminente trasloco è difficile immaginare che negli ultimi chilometri del Mondiale il portoghese abbia avuto l’aiuto del compagno di club, anche se non di nazionale, Alejandro Valverde, rimasto incollato alla ruota i Nibali mentre il portoghese andava a rincorrere Joaquin Rodriguez. L’interesse della squadra di appartenenza non è prevalso su quello della nazionale: la Spagna ha perso il Mondiale per l’ingenuità di Valverde, al quale la dinamica della gara aveva messo la maglia iridata su un piatto d’oro. Si rammarica Valverde, che colleziona l’ennesima medaglia fusa con il metallo meno prezioso, e ancora di più si rammarica Rodriguez che ha fatto la corsa perfetta e si è visto sfuggire la vittoria nell’ultimo metro, senza nemmeno la consolazione di vedere tutto il suo lavoro capitalizzato dal connazionale.

Il “drammatico” finale sul lungo viale d’arrivo di Firenze ha ricordato quello sull’interminabile rettilineo di Gap, nel 1972, quando il fuggitivo Franco Bitossi, con le gambe ormai diventate “legnose”, fu riagguantato e sorpassato da Marino Basso un attimo prima della linea bianca.

Rui Costa, il cui nome completo è lungo come un treno merci (Faria da Costa Rui Alberto), ha vinto la maglia iridata facendo tutto da solo. Il Portogallo schierava solo tre corridori, così l’unica possibilità era quella di sfruttare il lavoro altrui. E Rui Costa è bravissimo a cogliere le occasioni che gli si presentano, lo ha sempre dimostrato nelle poche vittorie conquistate, fra le quali 2 Giri di Svizzera e 3 tappe al Tour de France.

La squadra è importante, ma bisogna anche saperla gestire. E non tutti lo sanno fare.

Gli italiani hanno corso bene, almeno negli ultimi giri, perché è davvero incomprensibile l’animosità con la quale si sono assunti l’onere dell’inseguimento di una fuga decollata subito dopo la partenza e destinata a spegnersi da sola, per consunzione. Un inutile lavoro nel quale è stato “bruciato” il giovane Ulissi, uno scattista che sarebbe stato utile nel convulso finale. Giovanni Visconti ha fatto il suo dovere andando in fuga a una cinquantina di chilometri dal traguardo – costringendo le grandi squadre a scoprirsi per inseguire –. E altrettanto ha fatto Michele Scarponi lanciando l’allungo decisivo, con Vincenzo Nibali coperto alle sue spalle. La scelta di tempo è stata perfetta ma il siciliano ha pagato la caduta a una trentina di chilometri dal traguardo e il successivo inseguimento.

Nibali ha preso la medaglia di legno ma è stato grande, ha dimostrato di essere un vero campione. Il ct Paolo Bettini non è riuscito nemmeno nel Mondiale disputato sull’uscio di casa a conquistare il podio, ma stavolta, almeno, può davvero addebitarlo alla sfortuna.

A Firenze ha vinto il suo personale campionato del mondo anche il britannico Brian Cookson (il nuovo presidente dell’Unione Ciclistica Internazionale) e il titolo durerà ben quattro anni. Così, il ciclismo ha quasi completato la sua metamorfosi e l’inglese è diventata la lingua ufficiale soppiantando il francese. E con la lingua sta cambiando anche la mentalità e la prospettiva di questo sport che continua ad essere fortemente radicato alle sue tradizioni, almeno per quanto riguarda gli appassionati, perché i “politici” guardano ad altre esperienze, ad altri sport di successo, ma non sempre per ottenere la stessa fortuna basta imitarne la forma. Lo sport è anche sostanza. Ognuno ha la sua peculiarità, le sue radici, che non possono essere rimosse senza pensare al rischio di far appassire la pianta. E circoscrivere il ciclismo solo a chi può contare su un budget plurimilionario, per esempio, rischia di selezionare le squadre fino al punto che ne resteranno pochissime. Soprattutto in periodi di vacche magre come quelli che stiamo vivendo. L’esperienza della Formula Uno e della MotoGp dovrebbero fare riflettere.

Il mondo del ciclismo dovrebbe rifletterci nel lungo inverno che lo attende. La stagione si chiude fra un paio di settimane, almeno in Europa. E ci sono ancora gare prestigiose per arricchire la propria bacheca a cominciare dal campione del mondo. Rui Costa sabato compirà 27 anni e il giorno dopo potrà festeggiare il compleanno regalandosi il Giro di Lombardia. Ma di sicuro saranno in molti a volergli rovinare la festa.​​​​​​​

Giuliano Traini - avvenire.it

Mancini nuovo tecnico del Galatasaray: Juve? Bella coincidenza

(LaPresse) - Ora è ufficiale: Roberto Mancini è il nuovo tecnico del Galatasaray. Come riporta il sito ufficiale del club turco, il tecnico di Jesi ha firmato un contratto triennale a partire dalla stagione 2013/14. "La partita con la Juventus sarà una bella coincidenza per me". Così Mancini si è espresso in merito alla sfida con cui esordirà sulla panchina del club turco, che mercoledì giocherà in Champions League in casa della Juventus. "Sono molto felice di arrivare in una grande società come il Galatasaray - ha aggiunto il tecnico italiano, le cui parole sono state pubblicate dal profilo Twitter del club - Ho preso la decisione giusta, sono arrivato in una grande comunità".

Serie A: Roma-Bologna 5-0

Doppietta Gervinho, Florenzi, Benatia, Liajic, capolista a 18 punti

  Non si ferma piu', la Roma di Rudi Garcia. Con un sonante 5-0 al Bologna nel posticipo domenicale della sesta giornata, infila il sesto successo di fila e domina la classifica a punteggio pieno con 18 punti, due avanti a Napoli e Juve e 4 sull'Inter. Per la prima volta i giallorossi hanno segnato nel primo tempo, ben tre gol, con Florenzi (8'), Gervinho (17') e Benatia (26'). Gervinho ha messo a segno la sua prima doppietta italiana, segnando anche al 17' st e Liajic nel finale ha fatto cinquina.

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Europei volley: Italia in finale


FOTO SPORTMEDIASET
20:43 - L'Italia sconfigge 3-1 (19-25; 25-22; 25-15; 25-22) la Bulgaria e conquista la finale degli Europei di volley. Al Parken Stadion di Copenaghen la Nazionale di Berruto batte per la terza volta in pochi mesi quella di Placì e conquista la finalissima di domenica (ore 18) contro laRussia. Dopo le vittorie nella finale per il bronzo di Londra e in quella della World League 2013, l'Italia è ancora una volta fatale per la Bulgaria.
Inizia malissimo la partita degli azzurri: la Bulgaria scappa subito e, trascinata dalla vena di Sokolov, chiude sull'8-2 al primo time out tecnico della gara. L'Italia perde nettamente il primo set (25-19), ma in questo Europeo è sempre successo (a parte all'esordio contro la 'cenerentola' Danimarca) che gli azzurri andassero sotto nel primo parziale e poi rispondessero con grandi prestazioni negli altri. Succede anche stavolta: il secondo set viene giocato punto a punto fino al 22-22, poi gli uomini di Berruto salgono di tono a muro, piazzano tre break consecutivi e vincono 25-22, pareggiando i conti.
Nel terzo set la Bulgaria, scossa per aver visto sfuggire di mano una partita sin lì dominata, viene demolita dagli azzurri: Placì decide addirittura di far sedere Sokolov in panchina per prendere fiato e finisce 25-15. Nel quarto set la Bulgaria tiene bene, ma l'Italia è ormai in fiducia e sul 14-14 arriva il break azzurro, con Zaytsev, l'errore di Sokolov e Vettori che ci portano sul 17-14. Da lì gli uomini di Berruto non perdono più il comando, il muro del 19-15 di Beretta fa capire agli avversari che, ancora una volta, contro l'Italia non ce n'è: finisce 25-22 per gli azzurri. Ora, contro i campioni olimpici in carica della Russia, serve l'impresa.
tgcom24

SPORT: Adesso il servizio civile chiama anche gli sportivi


Ci sono due termini che ricorrono costantemente parlando con il presidente Massimo Achini, e questi sono «sfida» e «utopia». La sfida è quella che porta avanti da sei anni alla guida del Csi (Centro sportivo italiano) assieme ai comitati nazionali sparsi da nord a sud in 144 città. Oltre 13mila società sportive e da poco è stato superato il muro-record del milione di tessere associative. «Siamo la prima associazione cattolica per numero di tesserati e grazie a quel milione di persone che si sono legate al Csi ci sentiamo sempre di più degli artigiani dell’educazione che operano attraverso lo sport». L’utopia sta proprio nel portare con lo «spirito artigianale» le tute arancioblù del Csi in tutti i campetti più remoti d’Italia, per poi sconfinare fino a quello che Achini considera il «quarto mondo», Haiti. «Il Csi per la quinta volta è volato a Port-au-Prince, la capitale di Haiti, e quando si arriva lì la prima domanda che ci si pone è: come sia possibile che nel terzo millennio migliaia di persone possano ancora abitare e sopravvivere in luoghi del genere?». Risposta non c’è. Così come cala il silenzio spaventoso dinanzi alla violenza cieca e dilagante che si consuma in una città come quella haitiana che conta una popolazione inferiore a quella del Csi, 800mila abitanti. Ad Haiti, oltre alla miseria secolare si è aggiunta anche quella del post-terremoto del gennaio 2010 che ha coinvolto 3milioni di persone e causato 225mila morti accertate. Al volontariato che in questi tre anni è giunto da un po’ tutto il mondo, si è aggiunto quello «utopico, ma concreto» del Csi che da Port-au-Prince ha lanciato l’ennesima sfida: il «volontariato sportivo internazionale».

Presidente Achini, spieghiamo di cosa si tratta.
L’idea di base è quella di portare ciclicamente dei nostri giovani a svolgere un periodo di “servizio civile” volontario all’interno dello sport. Da dieci anni il Csi è presente con progetti di cooperazione e solidarietà nelle periferie italiane (l’ultimo: il campo di gioco dell’oratorio napoletano di don Guanella a Scampia) nella Repubblica Centroafricana, in Albania e Camerun, ma l’obiettivo o l’utopia, è riuscire ad arrivare in tutte le periferie del mondo con i nostri volontari.

Cominciamo dalla sfida appena lanciata ad Haiti.
Questa estate, per tre settimane, in collaborazione con la Caritas, Fondazione Francesca Rava, gli Scalabriniani e con il patrocinio del ministero dello Sport, ci siamo presentati a Port-au-Prince con 13 giovani tecnici di calcio e pallavolo del Csi e quattro docenti. Abbiamo donato oltre 60 scatoloni contenenti materiale sportivo (palloni, scarpe, tute, maglie) e organizzato un corso di una settimana - 8 ore al giorno -, per “allenatori oratoriali”.

Risultato finale della “missione sportiva”?
Sono stati formati 100 tecnici di base di calcio e pallavolo e abbiamo coinvolto 140 animatori locali. Ma il risultato più straordinario è stata la “Prima giornata nazionale dello sport di Haiti” che siamo riusciti a promuovere.

Una piccola Olimpiade haitiana?
Molto di più. Oltre 2mila bambini di strada si sono ritrovati allo stadio Silvio Cator per giocare liberamente e sottolineo, senza nessun pericolo, per quasi tutto il giorno. Una festa dalle emozioni intense, commovente. Un’esperienza che ha smosso le coscienze del governo: nell’occasione il ministro dello sport ha annunciato che nel loro disastrato sistema di pubblica istruzione da quest’anno lo sport diventa obbligatorio in tutte le scuole del Paese.

Un’altra sfida vincente a firma Csi.Sì, ma anche la conferma che lo sport moltiplica le potenzialità educative e aggregative. E la riprova l’abbiamo avuta con il torneo disputato nello “stadio che non c’era”.

Siamo passati dall’utopia alla favola?
In effetti solo di favola si può parlare se da una spianata di rifiuti i nostri volontari e i ragazzi dell’inaccessibile bidonville di Cité Soleil – dove le bande armate ci hanno permesso di entrare – si è riusciti ad organizzare un regolare torneo di calcio che per qualche giorno ha spazzato via quella cappa di cupo terrorismo che aleggia sopra le baracche di questi “ultimi” della terra.

Un momento di normalizzazione importante, ma adesso come proseguirà la vostra sfida?
Continuerà ad ottobre con il viaggio in Italia di due dei migliori allenatori haitiani che abbiamo formato e che verranno a fare uno stage nelle nostre società oratoriali. Li accompagnerà la delegazione del premier Michel Martelli che tra l’altro è un appassionato di calcio e ha una sua squadra che a marzo 2014 vorrebbe sfidare una rappresentativa di vecchie glorie della nazionale italiana.

Il presidente del Coni Malagò ha premiato i vostri 13 ragazzi come giovani Ambasciatori dello sport. Ma il “servizio civile sportivo” non potrebbe essere steso ad altri giovani ricchi e famosi come i Balotelli e ai campioni dello sport nazionale?
Intanto dobbiamo solo dire grazie a quei 36 giovani che negli ultimi due anni sono venuti - a spese loro - ad Haiti. Il sogno e l’obiettivo è quello di aprire una vera sezione di servizio civile internazionale attraverso lo sport. Questo farebbe il bene di migliaia di bambini dei Paesi in via di sviluppo e il bene di centinaia di giovani italiani che hanno bisogno di vivere esperienze vere e forti della vita. Da soli non ce la possiamo fare. Perciò, oltre a quello economico, è necessario il supporto ideale e morale di tutto lo sport italiano, dal Coni di Malagò alla Lega Calcio, dall’Assocalciatori all’Assoallenatori. Piccoli e grandi del calcio e della galassia olimpica, tutta, devono credere in questa grande possibilità educativa che viene dal volontariato e dal servizio civile nello sport.

Massimiliano Castellani - avvenire.it

Quando il calcio fa miracoli: a Rosarno la gente tifa per la squadra dei neri


Dalla rivolta di Rosarno al campionato di calcio Dilettanti di Terza Categoria. Dallo sfruttamento sui campi di agrumi, alle corse e i gol sui campi di pallone. È la bella storia della squadra Koa Bosco, la prima composta completamente da immigrati che partecipa a un campionato italiano regolare. Prima partita in programma il 25 ottobre. Trentadue africani, tra calciatori e dirigenti, tutti tesserati, provenienti da Senegal, Mali, Ghana, Burkina Faso.

Vivono nella tendopoli di San Fredinando, alcuni rifugiati, altri ancora in attesa del riconoscimento. Reduci dei drammatici fatti del gennaio 2010 quando, dopo atti di violenza e sfruttamento commessi da alcuni cittadini italiani, fomentati dalla ’ndrangheta, gli immigrati di Rosarno scesero in piazza. Protesta dura, anche con eccessi violenti, ma la prima contro i clan della zona. Tutto iniziò nella contrada "Bosco", quartiere periferico della cittadina, terra di nessuno, senza illuminazione, sui cartelli delle strade solo la scritta "stradone" e un numero progressivo, dall’1 al 15. Nel 2012 nella parrocchia di S. Antonio arriva il giovane sacerdote don Roberto Meduri, ex viceparroco a Polistena dove col parroco don Pino Demasi, responsabile di “Libera” per la Piana di Gioia Tauro e simbolo della lotta alle cosche, aveva già partecipato a molte iniziative per gli immigrati. Così anche a Rosarno. La squadra di calcio è, infatti, inserita in un progetto più ampio, “Uniti oltre le frontiere”, che prevederà alfabetizzazione e formazione. «La squadra - spiega - vuole essere un segno di integrazione. Gli immigrati non sono solo quelli delle arance o della rivolta. E cosa c’è di meglio del calcio per integrarli nel nostro territorio?».

All’inizio giocavano in ciabatte e pigiama, ora sono arrivate le divise offerte dalla "Viola basket" di Reggio Calabria. «Cerchiamo sponsor - spiega don Roberto - ma non solo per finanziare la squadra. Ci piacerebbe trovare qualcuno che sia disposto a farli lavorare e noi faremo pubblicità...». Ma la cosa più importante è il rapporto coi rosarnesi. «La ferita per i fatti del 2010 è ancora aperta - ammette il parroco - ma vederli giocare a calcio piace a tutti e cominciano a fare il tifo per loro. Molti si sono iscritti alla pagina facebook della squadra». Gli allenamenti si terranno sul campo comunale di Palmi, le partite a Rosarno. Si fa di tutto per unire italiani e migranti. Così sulla divisa gialla e verde, colori “africani”, ci sarà un distintivo molto particolare: i profili dell’Africa e della Calabria, un albero di agrumi, la croce e la mezzaluna, due mani, bianca e nera, in preghiera, e le scritte “Pronti a servire” e “Fratelli” (questa in arabo). I giovani africani sono entusiasti. «Nel mio paese non potevo giocare a calcio - ricorda Khadim Seye, 26 anni del Senegal -. Non c’era il campo per motivi religiosi. Così noi bambini dovevamo giocare per strada e quando arrivava la polizia scappavamo». Gioco e non solo. Hanno scritto l’inno della squadra e lo suonano coi bonghi. In campo pregano e alla fine dell’allenamento si mangia tutti insieme (non solo loro: più di 100 i pasti offerti). «Siamo forti in tutti i settori tranne il portiere ma anche senza vinciamo, giochiamo per noi e i fratelli africani», dicono orgogliosi. E poi scherzando aggiungono: «Abbiamo un’arma in più: se fanno cori razzisti, vinciamo a tavolino». Ma la partita vera l’hanno già vinta.

Antonio Maria Mira - inviato a Rosarno - avvenire.it