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Europei volley: Italia in finale


FOTO SPORTMEDIASET
20:43 - L'Italia sconfigge 3-1 (19-25; 25-22; 25-15; 25-22) la Bulgaria e conquista la finale degli Europei di volley. Al Parken Stadion di Copenaghen la Nazionale di Berruto batte per la terza volta in pochi mesi quella di Placì e conquista la finalissima di domenica (ore 18) contro laRussia. Dopo le vittorie nella finale per il bronzo di Londra e in quella della World League 2013, l'Italia è ancora una volta fatale per la Bulgaria.
Inizia malissimo la partita degli azzurri: la Bulgaria scappa subito e, trascinata dalla vena di Sokolov, chiude sull'8-2 al primo time out tecnico della gara. L'Italia perde nettamente il primo set (25-19), ma in questo Europeo è sempre successo (a parte all'esordio contro la 'cenerentola' Danimarca) che gli azzurri andassero sotto nel primo parziale e poi rispondessero con grandi prestazioni negli altri. Succede anche stavolta: il secondo set viene giocato punto a punto fino al 22-22, poi gli uomini di Berruto salgono di tono a muro, piazzano tre break consecutivi e vincono 25-22, pareggiando i conti.
Nel terzo set la Bulgaria, scossa per aver visto sfuggire di mano una partita sin lì dominata, viene demolita dagli azzurri: Placì decide addirittura di far sedere Sokolov in panchina per prendere fiato e finisce 25-15. Nel quarto set la Bulgaria tiene bene, ma l'Italia è ormai in fiducia e sul 14-14 arriva il break azzurro, con Zaytsev, l'errore di Sokolov e Vettori che ci portano sul 17-14. Da lì gli uomini di Berruto non perdono più il comando, il muro del 19-15 di Beretta fa capire agli avversari che, ancora una volta, contro l'Italia non ce n'è: finisce 25-22 per gli azzurri. Ora, contro i campioni olimpici in carica della Russia, serve l'impresa.
tgcom24

SPORT: Adesso il servizio civile chiama anche gli sportivi


Ci sono due termini che ricorrono costantemente parlando con il presidente Massimo Achini, e questi sono «sfida» e «utopia». La sfida è quella che porta avanti da sei anni alla guida del Csi (Centro sportivo italiano) assieme ai comitati nazionali sparsi da nord a sud in 144 città. Oltre 13mila società sportive e da poco è stato superato il muro-record del milione di tessere associative. «Siamo la prima associazione cattolica per numero di tesserati e grazie a quel milione di persone che si sono legate al Csi ci sentiamo sempre di più degli artigiani dell’educazione che operano attraverso lo sport». L’utopia sta proprio nel portare con lo «spirito artigianale» le tute arancioblù del Csi in tutti i campetti più remoti d’Italia, per poi sconfinare fino a quello che Achini considera il «quarto mondo», Haiti. «Il Csi per la quinta volta è volato a Port-au-Prince, la capitale di Haiti, e quando si arriva lì la prima domanda che ci si pone è: come sia possibile che nel terzo millennio migliaia di persone possano ancora abitare e sopravvivere in luoghi del genere?». Risposta non c’è. Così come cala il silenzio spaventoso dinanzi alla violenza cieca e dilagante che si consuma in una città come quella haitiana che conta una popolazione inferiore a quella del Csi, 800mila abitanti. Ad Haiti, oltre alla miseria secolare si è aggiunta anche quella del post-terremoto del gennaio 2010 che ha coinvolto 3milioni di persone e causato 225mila morti accertate. Al volontariato che in questi tre anni è giunto da un po’ tutto il mondo, si è aggiunto quello «utopico, ma concreto» del Csi che da Port-au-Prince ha lanciato l’ennesima sfida: il «volontariato sportivo internazionale».

Presidente Achini, spieghiamo di cosa si tratta.
L’idea di base è quella di portare ciclicamente dei nostri giovani a svolgere un periodo di “servizio civile” volontario all’interno dello sport. Da dieci anni il Csi è presente con progetti di cooperazione e solidarietà nelle periferie italiane (l’ultimo: il campo di gioco dell’oratorio napoletano di don Guanella a Scampia) nella Repubblica Centroafricana, in Albania e Camerun, ma l’obiettivo o l’utopia, è riuscire ad arrivare in tutte le periferie del mondo con i nostri volontari.

Cominciamo dalla sfida appena lanciata ad Haiti.
Questa estate, per tre settimane, in collaborazione con la Caritas, Fondazione Francesca Rava, gli Scalabriniani e con il patrocinio del ministero dello Sport, ci siamo presentati a Port-au-Prince con 13 giovani tecnici di calcio e pallavolo del Csi e quattro docenti. Abbiamo donato oltre 60 scatoloni contenenti materiale sportivo (palloni, scarpe, tute, maglie) e organizzato un corso di una settimana - 8 ore al giorno -, per “allenatori oratoriali”.

Risultato finale della “missione sportiva”?
Sono stati formati 100 tecnici di base di calcio e pallavolo e abbiamo coinvolto 140 animatori locali. Ma il risultato più straordinario è stata la “Prima giornata nazionale dello sport di Haiti” che siamo riusciti a promuovere.

Una piccola Olimpiade haitiana?
Molto di più. Oltre 2mila bambini di strada si sono ritrovati allo stadio Silvio Cator per giocare liberamente e sottolineo, senza nessun pericolo, per quasi tutto il giorno. Una festa dalle emozioni intense, commovente. Un’esperienza che ha smosso le coscienze del governo: nell’occasione il ministro dello sport ha annunciato che nel loro disastrato sistema di pubblica istruzione da quest’anno lo sport diventa obbligatorio in tutte le scuole del Paese.

Un’altra sfida vincente a firma Csi.Sì, ma anche la conferma che lo sport moltiplica le potenzialità educative e aggregative. E la riprova l’abbiamo avuta con il torneo disputato nello “stadio che non c’era”.

Siamo passati dall’utopia alla favola?
In effetti solo di favola si può parlare se da una spianata di rifiuti i nostri volontari e i ragazzi dell’inaccessibile bidonville di Cité Soleil – dove le bande armate ci hanno permesso di entrare – si è riusciti ad organizzare un regolare torneo di calcio che per qualche giorno ha spazzato via quella cappa di cupo terrorismo che aleggia sopra le baracche di questi “ultimi” della terra.

Un momento di normalizzazione importante, ma adesso come proseguirà la vostra sfida?
Continuerà ad ottobre con il viaggio in Italia di due dei migliori allenatori haitiani che abbiamo formato e che verranno a fare uno stage nelle nostre società oratoriali. Li accompagnerà la delegazione del premier Michel Martelli che tra l’altro è un appassionato di calcio e ha una sua squadra che a marzo 2014 vorrebbe sfidare una rappresentativa di vecchie glorie della nazionale italiana.

Il presidente del Coni Malagò ha premiato i vostri 13 ragazzi come giovani Ambasciatori dello sport. Ma il “servizio civile sportivo” non potrebbe essere steso ad altri giovani ricchi e famosi come i Balotelli e ai campioni dello sport nazionale?
Intanto dobbiamo solo dire grazie a quei 36 giovani che negli ultimi due anni sono venuti - a spese loro - ad Haiti. Il sogno e l’obiettivo è quello di aprire una vera sezione di servizio civile internazionale attraverso lo sport. Questo farebbe il bene di migliaia di bambini dei Paesi in via di sviluppo e il bene di centinaia di giovani italiani che hanno bisogno di vivere esperienze vere e forti della vita. Da soli non ce la possiamo fare. Perciò, oltre a quello economico, è necessario il supporto ideale e morale di tutto lo sport italiano, dal Coni di Malagò alla Lega Calcio, dall’Assocalciatori all’Assoallenatori. Piccoli e grandi del calcio e della galassia olimpica, tutta, devono credere in questa grande possibilità educativa che viene dal volontariato e dal servizio civile nello sport.

Massimiliano Castellani - avvenire.it

Quando il calcio fa miracoli: a Rosarno la gente tifa per la squadra dei neri


Dalla rivolta di Rosarno al campionato di calcio Dilettanti di Terza Categoria. Dallo sfruttamento sui campi di agrumi, alle corse e i gol sui campi di pallone. È la bella storia della squadra Koa Bosco, la prima composta completamente da immigrati che partecipa a un campionato italiano regolare. Prima partita in programma il 25 ottobre. Trentadue africani, tra calciatori e dirigenti, tutti tesserati, provenienti da Senegal, Mali, Ghana, Burkina Faso.

Vivono nella tendopoli di San Fredinando, alcuni rifugiati, altri ancora in attesa del riconoscimento. Reduci dei drammatici fatti del gennaio 2010 quando, dopo atti di violenza e sfruttamento commessi da alcuni cittadini italiani, fomentati dalla ’ndrangheta, gli immigrati di Rosarno scesero in piazza. Protesta dura, anche con eccessi violenti, ma la prima contro i clan della zona. Tutto iniziò nella contrada "Bosco", quartiere periferico della cittadina, terra di nessuno, senza illuminazione, sui cartelli delle strade solo la scritta "stradone" e un numero progressivo, dall’1 al 15. Nel 2012 nella parrocchia di S. Antonio arriva il giovane sacerdote don Roberto Meduri, ex viceparroco a Polistena dove col parroco don Pino Demasi, responsabile di “Libera” per la Piana di Gioia Tauro e simbolo della lotta alle cosche, aveva già partecipato a molte iniziative per gli immigrati. Così anche a Rosarno. La squadra di calcio è, infatti, inserita in un progetto più ampio, “Uniti oltre le frontiere”, che prevederà alfabetizzazione e formazione. «La squadra - spiega - vuole essere un segno di integrazione. Gli immigrati non sono solo quelli delle arance o della rivolta. E cosa c’è di meglio del calcio per integrarli nel nostro territorio?».

All’inizio giocavano in ciabatte e pigiama, ora sono arrivate le divise offerte dalla "Viola basket" di Reggio Calabria. «Cerchiamo sponsor - spiega don Roberto - ma non solo per finanziare la squadra. Ci piacerebbe trovare qualcuno che sia disposto a farli lavorare e noi faremo pubblicità...». Ma la cosa più importante è il rapporto coi rosarnesi. «La ferita per i fatti del 2010 è ancora aperta - ammette il parroco - ma vederli giocare a calcio piace a tutti e cominciano a fare il tifo per loro. Molti si sono iscritti alla pagina facebook della squadra». Gli allenamenti si terranno sul campo comunale di Palmi, le partite a Rosarno. Si fa di tutto per unire italiani e migranti. Così sulla divisa gialla e verde, colori “africani”, ci sarà un distintivo molto particolare: i profili dell’Africa e della Calabria, un albero di agrumi, la croce e la mezzaluna, due mani, bianca e nera, in preghiera, e le scritte “Pronti a servire” e “Fratelli” (questa in arabo). I giovani africani sono entusiasti. «Nel mio paese non potevo giocare a calcio - ricorda Khadim Seye, 26 anni del Senegal -. Non c’era il campo per motivi religiosi. Così noi bambini dovevamo giocare per strada e quando arrivava la polizia scappavamo». Gioco e non solo. Hanno scritto l’inno della squadra e lo suonano coi bonghi. In campo pregano e alla fine dell’allenamento si mangia tutti insieme (non solo loro: più di 100 i pasti offerti). «Siamo forti in tutti i settori tranne il portiere ma anche senza vinciamo, giochiamo per noi e i fratelli africani», dicono orgogliosi. E poi scherzando aggiungono: «Abbiamo un’arma in più: se fanno cori razzisti, vinciamo a tavolino». Ma la partita vera l’hanno già vinta.

Antonio Maria Mira - inviato a Rosarno - avvenire.it

“Transazioni bancarie sospette”, inchiesta interna alla Rcs Sport

L’indagine, ha comunicato il gruppo di via Rizzoli, è scattata in seguito ad alcune “verifiche amministrative poste in essere recentemente dalla direzione amministrazione, finanza, controllo di gestione e legale della capogruppo”.

“Transazioni bancarie sospette”, inchiesta interna alla Rcs Sport
Movimenti di denaro poco limpidi tra Rcs Sport – la società del gruppo che pubblica Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport, famosa per l’organizzazione del Giro d’Italia, oltre ad altri importanti eventi sportivi – e alcune società ad essa collegate. Tanto che Rcs vuole vederci chiaro al punto da aprire ufficialmente un’indagine sulla questione.
A comunicarlo è stato lo stesso gruppo di via Rizzoli, che in una nota ha fatto sapere di aver affidato “tempestivamente ad una società esterna l’avvio di un ‘audit’ (verifica ispettiva, ndr) per svolgere ulteriori approfondimenti in merito alla natura di alcune transazioni bancarie”. L’indagine è scattata in seguito ad alcune “verifiche amministrative poste in essere recentemente dalla direzione amministrazione, finanza, controllo di gestione e legale della capogruppo”.
Le operazioni finite nel mirino del cda sono state effettuate tra l’azienda ed altre società che intrattengono rapporti con la stessa, ma non fanno parte del gruppo. Secondo quanto appreso dal fattoquotidiano.it, sulle transazioni peserebbero delle irregolarità a livello “procedurale” e di “autorizzazioni”. Per il momento c’è il massimo riserbo sui nomi delle società coinvolte e la tipologia di irregolarità compiute (ancora comunque da verificare).
La società, però, fa sapere che nel caso i dubbi dovessero rivelarsi fondati, il gruppo sarebbe parte lesa della vicenda. “Vogliamo controllare se qualcosa è stato fatto in maniera scorretta, e a quel punto individuarne la responsabilità: capire se è attribuibile in toto alle società esterne, o se degli errori sono stati commessi da membri del gruppo che hanno danneggiato i nostri interessi”, spiegano da via Rizzoli.
Rcs Sport – sports and media company che opera nel ramo dell’organizzazione di eventi sportivi – nasce nel 1989 dalla Gazzetta dello Sport per gestire in maniera più accurata e indipendente gli eventi organizzati dal quotidiano sportivo. Fra essi ci sono alcune delle corse ciclistiche più prestigiose al mondo, come la Milano-Sanremo e il Giro di Lombardia (oltre al già citato Giro d’Italia). Nel ‘portfolio’ della compagnia rientrano anche le partnership con la nazionale italiana di calcio e con l’Inter, nonché la Federazione italiana di pallacanestro e la Lega basket Serie A.
Per garantire la maggior trasparenza possibile sui conti della società adesso il cda ha deciso di avviare un’indagine. I tempi – assicura l’azienda – saranno “assolutamente rapidi, come dimostra il fatto che dopo una prima verifica interna è stato subito dato mandato ad un soggetto terzo e competente per far luce sull’accaduto”. “Già nei prossimi giorni – concludono i vertici – dovrebbero esserci novità, che comunicheremo prontamente alla stampa”.
di Lorenzo Vendemiale - ilfattoquotidiano.it

 

Sport & miliardi Qatar, caldo e nuovi schiavi: 44 operai morti per costruire gli stadi dei mondiali

Un’inchiesta pubblicata in prima pagina sul Guardian di mercoledì racconta l’infernale odissea di migliaia di lavoratori nepalesi che partecipano alla costruzione degli immaginifici stadi dove si dovrebbero giocare le partite. Storie di straordinario sfruttamento della manovalanza migrante

Ennesima tempesta di sabbia sui Mondiali di calcio del 2022 in Qatar. Un’inchiesta pubblicata in prima pagina sul Guardian di mercoledì racconta l’infernale odissea di migliaia di lavoratori nepalesi che partecipano alla costruzione degli immaginifici stadi dove si dovrebbero giocare le partite. Storie di straordinario sfruttamento della manovalanza migrante: tra lavori forzati, indegne condizioni sanitarie, passaporti requisiti e stipendi congelati dalle società appaltatrici dei lavori. Oltre alle tragiche testimonianze di prima mano su almeno 44 lavoratori morti tra il 4 e l’8 agosto per avere lavorato come schiavi in pieno deserto, senza bere un goccio d’acqua. Il tutto mentre la Fifa, la Uefa e i club europei non riescono nemmeno a mettersi d’accordo su quando disputare la competizione, che per la prima volta nella storia andrà necessariamente spostata in inverno, contribuendo ancor di più a rendere insostenibile l’idea che si possano fare i Mondiali in Qatar.
E palesando ancora una volta come siano state lobbying e corruzione le uniche ragioni che hanno fatto sì, nel dicembre del 2010, che l’organizzazione della competizione più importante del calcio fosse affidata all’emirato. Il drammatico reportage di Pete Pattisson sul Guardian segue infatti di qualche mese il rapporto di Human Right Watch sulla condizione di schiavitù in cui vivono i migranti in Qatar, una denuncia – “Saranno più i migranti morti sul lavoro nella costruzione degli stadi che non i giocatori che parteciperanno al Mondiale” – cui aveva già dato risalto lo scorso gennaio ilfattoquotidiano.it. E segue di qualche giorno il congresso della Uefa a Drubovnik (19-20 settembre) in cui ancora una volta non si è riusciti a trovare unità di intenti per le date del Mondiale.
Stabilito che d’estate con 50 gradi all’ombra non è possibile giocare – al di là degli stadi con l’aria condizionata che in un primo tempo pare avessero convinto Platini e Blatter, dimenticando tifosi e lavoratori che si muovono dentro e fuori gli stadi – Platini vorrebbe una pausa invernale dei campionati e della Champions intorno a Natale, per dare spazio al Mondiale invernale. Mentre Rumenigge a nome dei grandi club chiede che il Mondiale si faccia ad aprile. Alla fine deciderà Blatter, con la Fifa che ha già spiegato che bisogna giocare a novembre per non cozzare contro le Olimpiadi Invernali del 2022. E le squadre europee dovranno organizzarsi di conseguenza. Nessuno che pensa ai lavoratori migranti morti in Qatar nei palazzi del calcio, e sarebbe strano il contrario. La lotta è tutta politica, in vista delle elezioni Fifa del 2015 dove ci sarà la sfida tra Blatter, o un suo nuovo delfino, e il suo ex delfino Platini, il grande sponsor del Mondiale in Qatar che ora si trova con la patata bollente in mano.
Per l’ennesima volta, durante l’esecutivo Uefa a Drubovnik, Platini ha dovuto ammettere di avere partecipato a una cena all’Eliseo in compagnia dell’allora presidente francese Sarkozy e dell’allora emiro Al Thani pochi giorni prima che fossero assegnati i Mondiali al Qatar. E in contemporanea Blatter, per la prima volta, dopo aver sempre sostenuto che il Qatar era una scelta “sportiva”, ha invece ammesso che si è trattato di una scelta “politica”. Chissà se il riferimento era alle accuse di corruzione che hanno portato alla sospensione di Jack Warner e di Mohammed bin Hamman, mammasantissima della Fifa e ed ex alleati di Blatter diventati poi suoi avversari, o alle cene eleganti tra Platini e gli emiri. O ancora al conflitto d’interessi in seno alla famiglia Platini: dove Laurent, figlio del boss Uefa, lavora da qualche anno proprio per la Qatar Sports Investmentes degli emiri. La guerra per la presidenza Fifa del 2015 è in pieno svolgimento, e che si svolga sulla pelle di 44 migranti nepalesi morti in Qatar e di molte altre possibili vittime non ancora accertate, non sembra disturbare nessuno.
twitter: @ellepuntopi - di Luca Pisapia - ilfattoquotidiano.it

 

Moto: Rossi, felice per mio nuovo team

(ANSA) - ROMA, 26 SET - Nuova avventura per Valentino Rossi e il team creato in collaborazione con Sky che debutterà l'anno prossimo in Moto3. ''Sono molto contento, questa è una cosa inaspettata per me - spiega il pilota della Yamaha - Quest'anno avevamo iniziato al Ranch con l'Academy, dove aiutavamo i giovani piloti nell'allenamento; ma il team era una cosa che si poteva fare tra qualche anno, quando avrò smesso di correre. Poi però è arrivata Sky, abbiamo visto che si poteva fare e ci siamo detti: perché no?''.
ansa

"Sport contro la violenza": una settimana di eventi per ricordare Yara


Una settimana di eventi sportivi, tornei, convegni e incontri nelle scuole dedicata alla memoria di Yara Gambirasio, la tredicenne scomparsa il 26 novembre 2010 a Brembate di Sopra (Bergamo)e il cui cadavere venne ritrovato nel febbraio 2011 in un campo a Chignolo d'Isola. L'iniziativa "Lo sport contro la violenza", presentata oggi a Milano, è organizzata dal Coni lombardo nell'ambito della Settimana contro la violenza di genere promossa a livello nazionale in collaborazione con il ministero dello Sport. Dal primo ottobre fino al 6 si terranno eventi a Milano e in provincia di Bergamo per "lanciare un messaggio contro la violenza sulle donne e nel mondo dello sport". Tra questi una partita di calcio amichevole tra l'Atalanta e la squadra di Brembate di Sopra, un'esibizione della squadra nazionale di ginnastica ritmica, uno stage sulle tecniche di autodifesa e un torneo di calcio tra i detenuti delle carceri di Opera, Bollate, Bergamo e Como. 



Aprirà l'iniziativa, il primo ottobre, una marcia notturna contro la violenza nel centro di Milano. "Abbiamo deciso di organizzare eventi che coinvolgano cittadini di tutte le età - ha spiegato il presidente regionale del Coni Pier Luigi Marzorati -, e utilizzare lo sport per veicolare un messaggio importante". Nel corso della manifestazione verranno anche raccolti fondi per la ricostruzione degli impianti sportivi danneggiati dal sisma nel Mantovano. "Yara è rimasta nel cuore di tutti noi - ha sottolineato l'assessore regionale alle Pari opportunità Paola Bulbarelli - e a partire da questa tragica vicenda bisogna cercare di fare qualcosa per le donne che quotidianamente sono vittime di maltrattamenti". Alla presentazione del programma hanno partecipato anche il vicesindaco di Brembate Marco Mazzanti e il direttore della Gazzetta dello Sport Andrea Monti, che ha sottolineato "il valore dello sport come grande veicolo per rendere consapevoli le persone che la violenza di genere va combattuta".
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