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Olimpiadi: per Londra bilancio positivo

A un anno dalle Olimpiadi di Londra, il governo britannico fa un bilancio: i dati economici ufficiali e i sondaggi descrivono uno straordinario successo. La manifestazione, costata 8,77 miliardi di sterline, ha generato un giro d'affari di quasi 10 miliardi. Mentre in un sondaggio i due terzi dei sudditi hanno detto che e' valsa la pena investire cosi' tanti soldi, non mancano le critiche: il Financial Times sostiene che i contratti firmati per l'evento sarebbero stati siglati comunque.

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Atletica: Bolt vince 100m in 9''85

Usain Bolt ha vinto sulla distanza di 100 metri al meeting di Londra in 9''85, suo miglior tempo in questa stagione (vento:+0,2 m/s), in occasione dell'11/a tappa della Diamond League d'atletica legera. Se si mettono da parte i tempi realizzati da Tyson Gay (9''75), che e' risultato positivo ad un controllo antidoping e non partecipera' ai Mondiali di Mosca, il tempo firmato questa sera da Bolt puo' considerarsi la migliore performance sui 100 meri dell'anno.
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L'Albania ai Mondiali

Aprile spezzato, è il titolo del romanzo del più grande poeta albanese vivente, Ismail Kadare. Sta vivendo un aprile radioso invece l’Albania del calcio, specie da quando a guidarla è il 56enne veneto Gianni De Biasi che davanti al porto di Durazzo ha stabilito la base tecnica e da lì fissa l’orizzonte più vicino: «La costa pugliese, è a soli 80 chilometri», sorride.

Nella sua mappa mentale, invece, sa bene che il prossimo approdo è il Brasile, Mondiali del 2014. E non è affatto un miraggio, perché dopo l’ultima vittoria nel girone di qualificazione (il 22 marzo scorso ad Oslo: Norvegia-Albania 0-1) i suoi ragazzi sono saliti al secondo posto in classifica - assieme all’Islanda -, a soli 2 punti dalla capolista Svizzera. «Dzemaili, Berhami e Shaqiri, sono di origine albanese, potevano giocare con noi, ma se li è portati via la federazione svizzera, altrimenti...», dice ironico il ct che quando un anno e mezzo fa, «ancora scottato dall’esonero lampo dell’Udinese», gli arrivò l’offerta dalla federazione di Tirana, per un attimo ci ha pensato su. «Sapevo che non sarebbe stata una gita al di là dell’Adriatico e, tanto per cominciare, la famiglia l’ho lasciata a Conegliano. Ma appena arrivato ho trovato un Paese e strutture sportive migliori di quanto immaginassi. E, poi, la gente è ospitale, c’è un bel clima, ottimi alberghi, uno splendido mare e nei ristoranti faccio grandi mangiate di pesce a prezzi stracciati. La crisi? Un pensionato italiano qui camperebbe bene, basti pensare che un operaio vive dignitosamente con uno stipendio di 250 euro al mese».

Già ma il mestiere di ct è un’altra storia, specie in un Paese che non ha mai conosciuto una fase finale di un Europeo e ancor meno di un Mondiale di calcio. «Mi sono rimboccato le maniche, ho capito subito che prima dell’allenatore qua serviva lo spirito dell’artigiano. Un esempio? Avevo chiesto un archivio dei calciatori albanesi sparsi nel mondo, beh... lo sto ancora aspettando. Così con il mio staff abbiamo scandagliato Internet in lungo e in largo ed è venuto fuori che a Kalmar (Svezia), in un villaggio sperduto di pescatori, gioca Etrit Berisha, un portiere classe 1989 di cui sentirete parlare presto anche in Italia. E non solo perché è omonimo del Premier. Qui quel cognome è come da noi il signor Rossi. Ne avrei anche un altro di Berisha – sorride divertito –: Besart, un buon attaccante di 27 anni che gioca in Australia, ma poveraccio per ora non me la sento di convocarlo per poi, magari, tenerlo in panchina dopo il viaggio che si dovrebbe sorbire».

Non è agevole rispondere alla convocazione neppure per Hamdi Salihi, l’autore del gol alla Norvegia, gioca in Cina nel Jiangsu Sainty: «Infatti, come premio dopo la gara di Oslo gli ho risparmiato l’amichevole con la Lituania». Altra vittoria, 4-1: reti di Migjen Basha, centrocampista del Torino e di Edgar Çani del Catania. Due dei 6 “albanesi d’Italia”: gli altri sono il giovane Elseid Hisaj 19enne dell’Empoli, il laziale Lorik Cana (il capitano), il portiere del Chievo, Samir Ujkani, e il bomber girovago Erjon Bogdani del Siena. «Sono i più bravi che ho, ma molti di loro nei rispettivi club giocano poco. I rari rimasti qui, si confrontano nel campionato che è di basso livello, ma la passione e la voglia di migliorare che hanno, mi fa ben sperare per il futuro e non pentire di aver lasciato il nostro calcio». E pensare che appena un decennio fa (quando il ct dell’Albania era Beppe Dossena), De Biasi era stato premiato come il secondo miglior allenatore della Serie A, dietro a Fabio Capello. Erano gli anni del suo Modena champagne in cui si spolmonava il piccolo-grande Paolo Ponzo che è appena volato via.

«Quanto mi manca Paolo... Un esempio di umiltà e di uomo vero che non ho più ritrovato in nessuna altra società». Dopo Modena è stato il tempo del Brescia: «Avevo Roberto Baggio, il più grande giocatore che ho allenato». Poi in tre anni - dal 2005 al 2008 - tre andate e tre ritorni («in mezzo una bella esperienza in Spagna, al Levante con il mio amico Damiano Tommasi») per, poi, salvare sempre il Torino di Urbano Cairo che non fu del tutto riconoscente. «La sfortuna è stata incontrare Cairo quando ancora era digiuno di gestione calcistica, ora sarebbe diverso. Il Toro mi è rimasto nel cuore e un derby con la Juve di Conte me lo giocherei volentieri». Un velo di nostalgia per l’Italia e per il nostro calcio? «Neanche un po’. Finché da noi si penserà che se la squadra non fa risultati è tutta colpa dell’allenatore e solo lui deve pagare per tutti, allora vuol dire che il sistema va rifondato». La sua “rifondazione albanese”, intanto, procede e a gonfie vele. «Devo lavorare ancora sulla mentalità. Il loro limite è l’indolenza, è raro che prendano un’iniziativa personale. Al tempo stesso ho un patrimonio a disposizione, un entusiasmo contagioso che ricorda quello degli italiani degli anni ’60. Il popolo, i tifosi, hanno una fede cieca in quello che stiamo facendo e si rendono conto, al di là dei risultati, della notevole e rapida crescita tattica che c’è stata». L’Albania che piace e che finalmente vince, ha trascinato nella lontanissima Oslo 4mila sostenitori. «Ma erano quasi tutti emigrati – precisa il ct –. In Germania e in Svizzera abbiamo giocato come fossimo in casa, lo stadio era per metà albanese. Il pubblico ci aiuta tanto e adesso ci crede quanto noi, una qualificazione ai Mondiali non è più un’utopia». Il massimo, per De Biasi sarebbe arrivare a Rio e sfidare gli azzurri di Prandelli: «Il miglior tecnico possibile per un Paese di 60 milioni di ct… Chi ruberei a Cesare? Balotelli, De Rossi e Pirlo. Già solo con questi tre, l’Albania davvero potrebbe pensare in grande».

Massimiliano Castellani - avvenire.it

Vela: Mondiale Optimist, Italia d'argento

(ANSA) - TRENTO, 26 LUG - L'Italia ha vinto la medaglia d'argento al Campionato del Mondo di vela classe Optimist, che si è concluso a Riva del Garda, in Trentino. I giovani azzurri hanno ceduto solo allo strapotere della squadra di Singapore, campione uscente, che ha dominato la finale a due. Bronzo alla Gran Bretagna. Erano dieci anni che i velisti azzurri (11-15 anni) non vincevano una medaglia ai Mondiali Optimist, la classe d'esordio nel mondo della vela.

Lo scudetto di Nela: «Ho battuto il cancro»

«E correndo correndo di notte da solo, prendi la tua tuta blu, stella stella crudele e sincera, fammi correre di più...», canta Antonello Venditti in Correndo correndo. È il brano dedicato a uno dei suoi eroi della “magica Roma” (quella dello scudetto, stagione 1982-’83) il fluidificante della corsia di sinistra Sebastiano Nela, per la torcida giallorossa, semplicemente Sebino il grande. Venditti quella canzone la incise nel 1987, quando Nela era alle prese con il recupero da un brutto infortunio al ginocchio. «Picchia Sebino», chiedevano a gran voce i Ragazzi della Sud, e lui, a 52 anni, ha appena finito di “picchiare” l’avversario più ostico che abbia mai incontrato, il cancro. «Lo scorso autunno mi diagnosticarono un tumore al colon con presenza di metastasi. I medici mi dissero che non c’era tempo da perdere, così il 14 novembre sono stato operato». Poi la dura lotta contro il male e le sedute di chemioterapia.

«La prima sensazione naturalmente è stata di paura. Paura di non farcela, il terrore della morte che condividi con tante persone... Finchè certe esperienze non ti toccano direttamente, molto spesso non si ha idea di quanta gente ci sia negli ospedali che soffre – dice emozionato Nela – . Sono stati 8 mesi difficili e il pensiero a volte andava a mio padre che due anni fa è morto di cancro. Ho pregato Dio che mi desse la forza di reagire. Ho preso la situazione di petto, cercando di mantenere sempre uno spirito positivo, anche perché non mi andava di farmi vedere giù di morale da mia moglie e dalle nostre due figlie. L’amore della mia famiglia è stato fondamentale per uscire dal tunnel». Poi c’è stato il grande affetto della sua seconda famiglia, la Roma dello scudetto di trent’anni fa. «I ragazzi (Conti, Pruzzo, Chierico e gran parte di quella rosa giallorossa che risiede ancora a Roma, ndr) sono stati meravigliosi e non smetterò mai di ringraziarli per il loro affetto e il sostegno che mi hanno dato. Ogni lunedì sera organizzavano una cena per stare assieme e per non farmi pensare alle terapie alle quali dovevo sottopormi durante la settimana. E poi è stato importante continuare a lavorare come commentatore. A quelli di Mediaset ho solo chiesto nei mesi invernali di non spedirmi troppo lontano, non potevo rischiare di beccarmi un’influenza...».

Ora l’inverno è finito da un pezzo e con la primavera Sebino, ha picchiato ancora duro contro il male. L’ultimo ciclo di chemio l’ha sostenuto tre settimane fa e l’11 luglio il risultato finale dice che ha vinto ancora lui. «La tac ha dato esito positivo, tutti i valori sono tornati alla normalità... Provi a non pensarci più, ma poi pensi che vorresti fare qualcosa per chi sta ancora male, specie per i bambini. E poi quando senti che Tito Vilanova ha dovuto lasciare il Barcellona per una recidiva provi tanta amarezza, perché sai che cosa significa dovere combattere tutti i giorni contro certo malattie. Ma un attimo dopo mi dico anche che è tempo di andare avanti e di ricominciare..». Ha ricominciato da Riscone di Brunico, dove è in ritiro la Roma di Garcia e domenica Sebino è pure tornato in campo con le vecchie glorie romaniste nella partita di beneficenza contro la Nazionale dei magistrati. «Abbiamo vinto noi e per me in questo periodo è come essere tornato ai giorni dei festeggiamenti per il nostro scudetto». Il secondo storico tricolore della “Maggica” guidata dal barone Nils Liedholm; la società di quel nobil signore del senatore Dino Viola. «Credo che tranne per le ultime generazioni, la nostra Roma sia rimasta nel cuore dei tifosi molto più di quella di Capello che vinse lo scudetto nel 2001... Forse perché era una squadra tutta italiana, forse perché era ancora un calcio più umano. Oggi c’è una proprietà americana con dirigenti che spuntano da tutte le parti, comprano 40 giocatori e mettono sotto contratto venti fisioterapisti. Insomma non si capisce più niente». Parola della “bandiera Nela” che è rimasto profondamente legato alla Roma e ha sempre sognato di poterci tornare a lavorare un giorno. Ma a parte Bruno Conti, della vecchia guardia non c’è mai stato spazio per nessuno di quei ragazzi dell’83. «C’è solo Bruno è vero, e anche lui durante l’era Sensi ha avuto dei momenti in cui stava per mollare... Io sono stato a un passo dal rientro, quando ho fatto da mediatore per portare Rudi Voeller sulla panchina della Roma. L’operazione andò in porto, ma qualcuno ha pensato che non meritassi neppure un “grazie” e mi hanno sbattuto la porta in faccia. Ma va bene così: ho un patentino da direttore sportivo e quello da allenatore di prima categoria. Faccio il commentatore in tv e ho spalle belle larghe, continuo per la mia strada». Le spalle grosse, come i polpacci del gladiatorio Sebino, 281 battaglie (con 16 gol segnati) combattute con la maglia giallorossa e allenato fin dagli inizi a non arrendersi mai. «La mia carriera poteva chiudersi già a vent’anni. In un Napoli-Roma per la gomitata fortuita del mio compagno Dario Bonetti ebbi un arresto cardiaco. Per undici anni a ogni inizio stagione dovevo andare a Trento a farmi confermare l’idoneità agonistica dal prof. Furlanello. Quando sento di giovani calciatori che muoiono o di quei colleghi come Borgonovo che sono stati stroncati dalla Sla qualche domanda me la faccio... La mia generazione, che io sappia, può avere abusato di micoren e di voltaren e di qualche “bibitone”, ma personalmente non solo non ho mai preso nessuna sostanza, ma ho perfino repulsione per l’ago. Il doping aiuterà a correre di più, ma nel calcio la differenza la fa ancora la tecnica. E con quello che circola da noi, gente come Totti e Pirlo possono campare di rendita ancora per parecchio».

Mancano i fantasisti, ma anche i fluidificanti alla Nela («se è per questo anche i portieri, togli Buffon il resto sono solo stranieri», sottolinea Sebino) che ha un solo rimpianto: la Nazionale. «Feci i Mondiali di Messico ’86 con Bearzot, dopo Vicini mi aveva promosso titolare, ed erano anni in cui in per quel ruolo c’erano De Agostini, Carobbi, Di Chiara e stava sbocciando Paolo Maldini. Poi l’infortunio e sono rimasto con sole 6 presenze in azzurro, ma ne avrei potute fare almeno una ventina. Però, ora più che mai, so che sono altre le cose che contano, anche nella vita di un uomo di calcio...». Ciò che conta per Nela è «sentirsi più forte di prima». E Venditti anche stasera può dedicare al suo Sebino: «Ed il bosco e lo stadio si illumina a giorno un applauso ti farà, corri forte dietro al cespuglio, acqua pura ci sarà...».

Massimiliano Castellani - avvenire.it

Feretro Antonelli a Castiglione del Lago. Camera ardente in chiesa frazione Macchie, oggi i funerali

(ANSA) - CASTIGLIONE DEL LAGO (PERUGIA), 25 LUG - Arrivato a Castiglione del Lago il feretro del giovane pilota Andrea Antonelli morto domenica in un incidente sul circuito di Mosca.

La salma è stata portata nella chiesa della frazione di Macchie dove è stata allestita la camera ardente. Sulla bara una maglietta con il nome Antonelli e il numero della sua moto. La stessa indossata da molti giovani in attesa. Un lungo applauso ha salutato l'ingresso in chiesa del feretro seguito dalla famiglia. Oggi i funerali.

F1: c'è data del primo Gp di Russia

ANSA) - MOSCA, 25 LUG - Fissata in via preliminare al 19 ottobre 2014 la data del primo Gran premio di Russia di Formula 1, voluto dal presidente Vladimir Putin ed allestito sul sito che ospiterà i prossimi Giochi olimpici invernali di Soci. ''Ho il piacere di annunciare che i promotori della F1 hanno iscritto la data del Gp di Russia sul calendario della stagione 2014', ha dichiarato il vicepresidente del comitato organizzatore, Oleg Zabara.