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Rugby, contro gli All Blacks l'Italia regge un'ora poi finisce la benzina


È festa per i 72mila che hanno riempito lo stadio Olimpico, si sono gustati la 'haka' (quella tradizionale, la 'Ka Mate') e poi sono 'tracimati' nei dintorni per il tradizionale terzo tempo. Però il rugby della Nuova Zelanda rimane di un altro pianeta. È stato comunque bello esserci, ma coloro i quali, per motivi di promozione dell'evento, hanno provato a far credere che l'Italia potesse giocare al livello dei campioni del mondo, che in tour non perdono da dieci anni, sono stati smentiti, anche se il team azzurro ha giocato una delle sue migliori partite di sempre. Gli All Blacks, complice il solito crollo italico negli ultimi 20' della ripresa, hanno vinto per 42-10, segnando tre mete in 8', dal 68' al 76' (due con quel Savea che in patria indicano come possibile erede dell'immenso Lomu) e hanno chiuso ogni discorso. Peccato, perché il primo tempo dell'Italia di Brunel e Troiani (rispettivamente ct e manager), due che predicano di imporre sempre il proprio gioco, aveva illuso la tanta gente che continua ad amare questa Nazionale: il XV di casa aveva chiuso sotto solo di 6 punti (7-13), dopo aver segnato una meta, con Sgarbi su passaggio di Orquera, e aver giocato a viso aperto, anche manovrando 'alla mano', e quindi senza farsi intimidire dalla grinta dei rivali, il cui 'brand' genera un giro d'affari pari a circa 200 milioni di euro.

Cifre da capogiro, che l'Italrugby dei tanti sponsor (oggi hanno 'invaso' tutta l'area del Foto Italico) ancora non può vantare. Ma il primo tempo azzurro era sembrato un momento di svolta per il rugby italiano, complice una bella prova con la situazione sotto controllo, grazie ad un perenne furore agonistico in fase difensiva nonostante la presenza in campo di simili rivali (privi però dei due uomini migliori, il capitano McCaw e il 'calciatorè Carter, tenuti a riposo). Era stata un'Italia che, trascinata da Parisse e Zanni, aveva placcato senza troppi riguardi, si era fatta avanti e aveva dimostrato di volersela giocare, come da 'slogan' sui cartelloni pubblicitari del match: lo testimonia ad esempio la scelta di Orquera quando, sullo 0-13, aveva scelto di calciare in touche anziché tra i pali da posizione facile. Ma era troppa la voglia di cercare la meta, di farsi valere anche contro i 'mostri' tutti in nero, con spinte della mischia a cinque metri dalla linea, con Castrogiovanni, Ghiraldini, Gori e gli altri autentici 'gladiatori'. E poi, al 26' pt, la meta era arrivata sul serio, con Sgarbi. E non era finita lì, perché Minto aveva poi recuperato altri palloni, e in chiusura di tempo c'era stato un ultimo attacco azzurro, prima con Venditti e poi con Favaro e finta di Gori che aveva costretto gli All Blacks a una difesa d'urgenza per evitare la seconda meta dei padroni di casa.

Momenti di rugby d'alto livello che costituiscono segnali incoraggianti per il prossimo Sei Nazioni, peccato solo che ad un certo punto della ripresa l'Italia abbia finito la benzina, fiaccata da una sfida epica, e che la Nuova Zelanda abbia quindi preso decisamente il sopravvento. Ora l'importante sarebbe conservare lo spirito battagliero dei primi 40', per tentare di farlo davvero un miracolo, contro i 'Wallabies' sabato prossimo a Firenze, visto che gli australiani sono arrivati in Europa per il loro tour novembrino non certo al top della forma. Se proprio si deve sognare, è meglio farlo al 'Franchi'.

Cesare Monetti - avvenire.it

Vela: incidente a equipaggio Luna Rossa

Incidente ad un membro dell'equipaggio di Luna Rossa, impegnato nella marcia di avvicinamento alla Louis Vuitton Cup di vela. Oggi ad Auckland (Nuova Zelanda), durante le operazioni di alberatura dell'ala rigida dell'Ac72, alta 40 metri, un improvviso salto di vento ha fatto impennare l'ala stessa verso la gru e Fred Gastinet, che fa parte dello shore team, e' stato colpito da un carrello mobile, rimediando la frattura di una tibia. Gia' operato, le sue condizioni sono ritenute soddisfacenti.
ansa

Juve, esame Lazio senza Pirlo Torna Vucinic. Petkovic: 'Colpo possibile'


Due azzurri diversi in tre giorni, altrettanto temibili per la Juventus: i biancocelesti della Lazio domani e i blues del Chelsea martedì, per il match spareggio di Champions.
Le due partite sono inevitabilmente collegate per vari motivi: primo tra tutti, il turn over, che Conte dovrà dosare al meglio senza rischiare troppo, perché è già privo di Pirlo squalificato; poi l'impatto psicologico, poiché un calo di tensione inconscio contro i romani pensando al Chelsea potrebbe risultare fatale; e poi, naturalmente, la forza della Lazio, che sale a Torino con la mente sgombra, mentre la squadra di Conte subisce la pressione dell'Inter che è lì in agguato e ha un turno abbordabile in casa con il Cagliari, ma giocherà domani, a risultato Juve acquisito.
Quanto al turn over, Antonio Conte non ama concepirlo come preventivo e poi l'avversario, la Lazio, lo induce a scartare ancor più l'ipotesi di farne ampio ricorso. Tantopiù che un uomo, Pirlo, deve stare fuori forzatamente. Il discorso si collega subito a Paul Pogba, che in una settimana è passato dal trionfo per il gol (più la prestazione da marziano) che ha salvato la squadra con il Bologna, all'esclusione per punizione con il Pescara. La sua reazione a quest'ultimo episodio è stata encomiabile: ha ammesso le proprie responsabilità (nonostante il procuratore Raiola si fosse già scagliato contro Conte), ha definito giusto il provvedimento e, soprattutto, ha risposto con i fatti, tenendo un comportamento irreprensibile. Il tutto conforta Conte e la squadra, che senza la chioccia Pirlo potrebbe sentirsi se non orfana, almeno disorientata. Adesso Pogba deve confermare sul campo non soltanto di avere colpi straordinari estemporanei, ma di saper interpretare il ruolo con intelligenza e applicazione tattica, sapendo che la Lazio non perdona errori avversari.
PETKOVIC,CON JUVE POSSIAMO FARE COLPACCIO - Espugnare lo Juventus Stadium non è impossibile: lo aveva detto Hernanes, lo ribadisce il tecnico Vladimir Petkovic a dimostrazione che in casa Lazio è forte la convinzione di poter domare i campioni d'Italia. "La Lazio è in grado di fare il colpaccio, ma se vogliamo portare via punti da Torino dobbiamo essere al 150%": l'allenatore bosniaco non si nasconde e, dopo la vittoria nel derby con la Roma, studia per continuare a dare soddisfazioni ai suoi tifosi. "E' come un esame di laurea - riconosce alla vigilia della trasferta -. La Juventus è la favorita per lo scudetto, ma potremo vedere cosa possiamo fare anche ad altissimi livelli". L'euforia per la stracittadina è già accantonata: "Dopo due giorni era già smaltita. Mi sono staccato dall'ambiente, ho goduto da solo e sono tornato. Tanti giocatori sono stati in Nazionale, non hanno avuto tempo di godere della vittoria. Gli altri sono soddisfatti e spero che lo dimostreranno domani". Vinto il derby, i supporter biancocelesti gli hanno affibbiato il pesante soprannome di "Vlado il Messia", come recita anche una targa nel centro sportivo di Formello. Il mondo del calcio si è accorto di lui. Ma il tecnico di Sarajevo non vuole fermarsi. "Conte? Non lo conosco personalmente, ma lui ha già dimostrato il suo valore sul campo. Io ancora non l'ho fatto. Dopo il derby ho ancora più fame - assicura -, voglio dimostrare di più le mie qualità che dipendono anche dalla squadra. I ragazzi mi hanno dato soddisfazione in allenamento e con i risultati. La società mi ha dato fiducia, anche nei pochi momenti difficili
ansa

Rugby: Italia sfida All Blacks

"Sappiamo di non essere favoriti, ma le partite vanno giocate. E le chance di vincere quando si inizia a giocare ci sono per tutte e due le squadre. Gli All Blacks sono i primi al mondo, noi siamo all'11/o posto, ma sicuramente non regaleremo la partita, faremo del nostro meglio per metterli in difficoltà". Alla vigilia del test match tra Italia e Nuova Zelanda, il capitano azzurro Sergio Parisse promette al pubblico che riempirà l'Olimpico una prova di carattere. "Sappiamo che giocheremo davanti a uno stadio tutto esaurito - ha spiegato - è una grande opportunità ma anche una grande responsabilità. Arriviamo carichi a questo appuntamento, siamo ansiosi di scendere in campo, vogliamo fare una grande partita". "La Nuova Zelanda è il mito del rugby mondiale, è la squadra più forte al mondo - ha aggiunto Parisse - E' un modello da seguire, e noi abbiamo la chance di confrontarci con loro per capire a che livello siamo. Come fronteggeremo l'haka? Rispettandola come si deve, senza fare delle scelte ridicole come sono state fatte in passato da altri allenatori". Il riferimento è alla partita dei Mondiali 2007 a Marsiglia, quando gli azzurri dell'allora ct Berbizier durante la haka si unirono in cerchio voltando le spalle agli All Blacks provocandone la reazione infuriata che si concretizzò con un eloquente 76-14 finale.
ansa

Nettuno d'oro ad Alex Zanardi "Campione di sport e nella vita"

"Sono estremamente onorato e mi sento molto vicino ad una città bellissima come Bologna sempre in prima linea nell’impegno sociale e nella solidarietà”: Alex Zanardi, campione bolognese di Formula 1 e recente vincitore di tre medaglie alle Paralimpiadi di Londra, ha ricevuto questo pomeriggio il ‘Nettuno d’Oro’ conferito dal Comune di Bologna nella sala consiliare di Palazzo d’Accursio. “Alex Zanardi - recita la motivazione del premio - ha dimostrato di essere un grande campione della vita e nello sport e grazie al suo impegno nel sociale ha ridato speranza a molte persone disabili diventandone punto di riferimento”.

Il campione cresciuto a Castel Maggiore ha poi offerto la propria disponibilità all’amministrazione comunale per futuri progetti finalizzati ad avvicinare i ragazzi diversamente abili alla disciplina dell’handbike, “uno sport - ha detto - molto costoso”. “Mi sento estremamente fortunato - ha spiegato Zanardi parlando al microfono del ‘parlamentino’ bolognese - perché la mia è stata una vita avventurosa. Mi auguro di avere davanti altri nuovi affascinanti orizzonti da inseguire con impegno”. Anche il sindaco di Bologna, Virginio Merola, ha tenuto a dimostrare la propria ammirazione per l’atleta vincitore di due medaglie d’oro e una d’argento ai giochi londinesi.

Riportiamo le parole del sindaco: “Alex Zanardi è un campione nello sport e nella vita”. Sono state queste le parole che ho pronunciato a caldo, appena ho visto Zanardi in televisione con la prima medaglia d'oro al collo, stanco dopo la gara di handbike, ma soddisfatto per il risultato raggiunto. Poi la seconda medaglia d'oro e
quella d'argento. In quel momento mi sono tornate in mente le immagini di quando Alex ha tagliato per primo il traguardo della maratona di New York... e pensare che mi sembrava avesse già compiuto un'impresa con il quarto posto di quattro anni prima. L'esempio che ci dà Alex Zanardi è un esempio positivo per tutti noi, che va al di là dello sport, fatto di tenacia e forza d'animo che dimostra che si può andare oltre i limiti fisici per dimostrare e dimostrarci che nella vita è possibile rialzarsi, sempre. Ci si danno dei limiti, ci vengono imposti, ma questi limiti servono per essere superati.

Alex Zanardi era già un punto di riferimento per migliaia di persone quando correva in Formula 1 e nelle altre categorie, già allora ci teneva incollati al televisore. Ed è stata un'emozione unica quando abbiamo sentito il motore della sua auto rombare ancora, dopo l'incidente. E' tornato al volante ed ha persino sfidato quel maledetto circuito in Germania. Poi la sua nuova vita, da atleta, l'handbike. E' stato in grado di sorprenderci tutti di nuovo. E' diventato un punto di riferimento importante per tutti i giovani e le persone che non si arrendono di fronte ad un handicap, dimostrando come sport e disabilità possano convivere e aiutarsi a vicenda. Qui, a Bologna, sono diverse le discipline sportive praticate da atleti diversamente abili: si va da sport ampiamente diffusi, come nuoto, calcio, basket, equitazione, fino all'hockey, al tennis, tennistavolo, arti marziali, lotta, danza e al tiro con l'arco. Molte di queste discipline sono oggi qui presenti attraverso i loro atleti.

Abbiamo previsto come Comune una serie di interventi per favorire la diffusione dello sport: corsie delle piscine dedicate ai nuotatori diversamente abili, assegnazione diretta alla Federazione italiana nuoto paralimpico di spazi nelle piscine comunali, entrata gratuita nelle piscine comunali di persone diversamente abili che necessitano di riabilitazione in acqua e si trovino in particolari condizioni di reddito. Stiamo inoltre studiando progetti sportivi coordinati dai Quartieri e criteri di priorità nell'assegnazione degli spazi sportivi in occasione di bandi di assegnazione. Progetti da realizzare assieme al comitato provinciale bolognese del CIP (Comitato italiano paralimpico). Uno sforzo che il Cip stesso sta portando avanti con le società federate e i loro staff tecnico medico scientifici, che coprono l'intera gamma della disabilità, in modo da assicurare ai propri associati la totale assistenza in base alle proprie funzioni fisiche.
Le Paralimpiadi di Londra, quella presenza pubblica costante a tutti gli eventi sportivi, ci hanno ulteriormente insegnato molto sul piano della civilità e delle pari opportunità. E' stato un insieme di stimoli che dobbiamo tradurre in scelte per una città accessibile a tutti, una città che aiuta a trasformare le difficoltà in sfide, e le sfide in successi personali e collettivi. Alex, le tue imprese e quelle dei tanti atleti che partecipano alle Paralimpiadi sono mosse da coraggio e passione, gli stessi sentimenti che animano i ragazzi e le persone diversamente abili che ogni giorno attraverso lo sport, e non solo lo sport, affrontano sfide che a prima vista possono apparire difficili, se non impossibili. Solo con spirito e forza di volontà si possono trasformare le avversità in opportunità. Nel corso della tua vita ci hai entusiasmato tante volte, ti chiediamo solo una cosa: continua a farlo per tutti noi".
ilrestodelcarlino

Pellegrini: “Lucas la mia ultima chance Sono pronta a emigrare”

Tra Fede e il nuovo tecnico accordo di 4 anni: «Dopo Londra mi ha ferito che alcuni nell’ambiente abbiano parlato coi giornalisti e non con me»
giorgio viberti
MILANO
ètornata. Dopo la delusione olimpica Federica Pellegrini non lascia, raddoppia. Ieri a Milano, in un meeting organizzato dallo sponsor Nilox (tecnologia al servizio di sport e divertimento), è parsa rinfrancata, vogliosa, ottimista. E sorridente.
Federica, ci sembra rinata. La cura Lucas funziona, allora?
«Forse. Ho di nuovo grandi progetti e tanta fiducia».

Ci spiega la metamorfosi?
«Philippe Lucas per me era l’ultima chance di tornare nell’élite. Per questo, insieme a Filippo (Magnini, il suo fidanzato, ndr), ho deciso di affidarmi di nuovo a lui come prima dei Mondiali di Shanghai (2011, ndr), che per me andarono molto bene».

Ma Lucas allena a Narbonne, a 900 km dalla sua Verona.
«Troveremo un accordo. Spero che Philippe voglia venire con regolarità al Centro federale di Verona, altrimenti andremo noi da lui in Francia».

La Federnuoto italiana tempo fa non sembrava approvare l’arrivo di Lucas in Italia.
«È vero e le dichiarazioni del presidente Barelli non mi erano piaciute, però la sua conferma alla guida della Fin pare aver risolto tante cose. Magia delle elezioni. Butini e Coconi (responsabili tecnici azzurri, ndr) sono venuti a Verona per cercare una soluzione. E adesso la Federazione è disposta a fare un contratto a Lucas».

Allora è tutto risolto?
«No, perché Philippe è legato, credo ancora per un anno, alla società di Narbonne. Aspetto al più presto una sua decisione, ma in ogni caso mi allenerà lui».

Con quali obiettivi?
«Con un progetto di 4 anni, verso i Giochi 2016. In questo Lucas è anche più estremo di me, dice che posso concedermi un anno meno stressante per poi tornare più forte di prima. Ho fiducia».

In che cosa consiste quest’anno “meno stressante”?
«Più lavoro in palestra, allenamenti anche a piedi, di corsa, come non avevo mai fatto. Per questo sono anche dimagrita».

E niente più gare individuali di stile libero, la sua specialità?
«Preparerò solo le staffette e nel frattempo mi dedicherò di più a delfino e dorso, magari tentando anche di qualificarmi in quelle specialità per i Mondiali 2013».

Qualcuno aveva detto che lei cullava l’idea di un figlio...
«Per un bimbo ci sarà tempo. Ora ho in testa Rio e sono disposta a fare qualsiasi cosa, anche passare tre anni a Narbonne».

Beh, non sarà poi l’inferno...
«Ma voi avete mai provato a vivere a Narbonne? Io sì».

Non c’è vita notturna?
«Quella non mi interessa proprio, visto che alle 7,30 si va già in vasca. Verona però...».

Teme di sentirsi sola?

«Il mio è uno sport solitario, ma la gente cara mi è sempre stata vicina, anche dopo la delusione di Londra. E degli altri non mi interessa molto».

C’è una ferita ancora aperta dopo il flop dei Giochi?
«Volevo due ori e invece ho raccolto solo due quinti posti. Non do colpa a nessuno, ma mi ha fatto male che alcune persone dell’ambiente abbiano avuto il coraggio di parlare solo con i giornalisti e non con me. Io sono sempre stata diretta nei miei rapporti personali, a costo magari di passare per str... Altri con me non lo sono stati». 
la stampa.it

Il doping dilaga: follia di massa con pochi freni

Dopo tante parole sul doping in Italia ora arrivano anche i numeri: 371 milioni di dosi (per un costo di circa 425 milioni di euro) assunte da circa 254 mila sportivi, fra i quali 69mila praticanti il body building. Sono le cifre impressionanti, relative al 2011, stimate da “Libera” e presentate ieri insieme al nuovo libro di Sandro Donati (“Lo sport del doping. Chi lo subisce, chi lo combatte”) da don Luigi Ciotti, presidente nazionale dell’associazione, e del generale Cosimo Piccinno, comandante nazionale dei carabinieri del Nas.

Ma le cifre ufficiali si fermano ai 105 milioni di dosi sequestrate dal 2000 a oggi, circa 8 milioni l’anno. Una porzione molto modesta dei farmaci realmente utilizzati che si basa sui risultati dei controlli antidoping, sulle 100 inchieste giudiziarie e sui sequestri di sostanze dopanti, effettuati dai carabinieri del Nas e dalle altre Forze di Polizia.
«Si tratta certamente di una sottostima – spiega una nota di Libera – determinata dal fatto che l’assunzione di molti farmaci non è rilevabile nei controlli anti-doping per cui sfugge a qualsiasi valutazione. E questi casi sono molto più diffusi tra gli atleti di elevato livello che, però, per una serie di ragioni, non traspare dai risultati dei controlli».

È significativo il fatto che a fronte del 4,5% di casi positivi rilevati nello sport amatoriale dai controlli della Commissione anti-doping del ministero della Salute, la percentuale dei casi positivi nei controlli attuati dal Coni sugli atleti di alto livello si attesta intorno allo 0,70%. Senza considerare, sottolinea ancora Libera, «che il Coni ha smesso nel 2007 di pubblicare sul suo sito i risultati dei propri controlli». Le ragioni della “debolezza” di tali controlli sugli atleti di alto livello sono diverse: «La coincidenza controllori-controllati che rappresenta un freno estremamente rilevante; la pressoché totale assenza di controlli a sorpresa, molto più efficaci di quelli programmati nelle gare e quindi prevedibili; la debolezza delle analisi anti-doping che nelle urine non riescono a rintracciare numerose sostanze; l’evidente “buco nero” dei controlli nel calcio e, più in generale, sui professionisti (delle diverse discipline) di elevata valenza economica».

Accuse pesanti rafforzate da Donati che nel libro parla anche di «alterazione dei risultati delle maggiori competizioni, favorito da dirigenti che guardano solo al numero delle vittorie e da una parte della stampa sportiva che preferisce non vedere e non sentire. Pochi sanno, invece, che tutto questo ha fatto scuola e che molti praticanti di livello amatoriale affollano gli ambulatori dei medici dei campioni per farsi prescrivere la “cura” miracolosa che può consentire loro di battere in gara il collega di ufficio». Inoltre, in Italia non si è riusciti a «spezzare la contraddizione tra controllori e controllati, e sono pressoché assenti i controlli a sorpresa: la Wada dovrebbe diventare pubblica e indipendente come tutte le altre agenzie antidoping, compresa quella italiana che, invece, è di casa al Foro Italico».
Il doping è diventato, dunque, un fenomeno «con molti punti di contatto con la droga e sta generando traffici internazionali manovrati dietro le quinte dalle multinazionali farmaceutiche e con gli interessi della criminalità organizzata». Indicativo anche il fatto che dal 2006 al 2009 siano state condannate 683 persone: 253 per accuse generiche di doping e 430 per commercio illegale in sostanze dopanti.
Inevitabile l’amarezza nelle parole di don Luigi Ciotti: «Ti accorgi che dietro molte belle storie di vittorie c’è invece l’umiliazione dello sport. Specchio di un coma etico e di deriva della società in cui domina la cultura della prestazione e del successo».

Giulia Antinori 
avvenire.it