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Il calcio, sport che fa male

Guido Tedoldi - 19 settembre 2012

Il calcio è uno sport pericoloso, perlomeno a giudicare dal numero degli infortuni: soltanto il 18% dei calciatori professionisti, meno di 1 su 5, finiscono una stagione intera senza dover star fermi per qualche malanno. Addirittura, per molti i periodi di stop forzato sono più di 2 all’anno (la media generale è 2,1 a testa) circa 1/3 dei quali sono recidivi, cioè colpiscono una parte che già in passato è stata infortunata.
Ma c’è un dato davvero inquietante. In ogni squadra professionistica almeno 1 giocatore all’anno subisce la rottura del legamento crociato anteriore di un ginocchio, un danno che la chirurgia moderna riesce a riparare bene ma che fino a pochi anni fa poteva provocare l’interruzione di una carriera ed essere invalidante per il resto della vita.

Di queste cose hanno parlato i calciatori stessi lo scorso 7 settembre, in un convegno organizzato dall’Aic, la loro associazione professionale, presso l’università di Parma (qui il link in internet). Tra i relatori c’erano medici dello sport come Piero Volpi e Andrea Ferretti, ex medico della Nazionale di calcio, e giuristi.
Una sintesi delle relazioni l’ha pubblicata Alessio Da Ronch su la Gazzetta dello Sport dell’8 settembre, con una conclusione finale che sembra poco praticabile nel calcio bulimico attuale: bisogna giocare meno partite, ovvero diminuire il numero delle società che partecipano ai campionati di Serie A e B e alle coppe europee, e magari diminuire anche l’attività delle Nazionali.

Perché, dicono i dati, non conta su quale tipo di terreno si giochi. Che sia erba ben tenuta, o fanghiglia invernale, o anche sintetico – gli infortuni continuano ad accadere più o meno secondo le stesse frequenze statistiche.
E non conta nemmeno la temperatura esterna, o l’ora della giornata in cui si gioca. Il gran caldo e il gran freddo incidono magari sulla qualità del gioco espresso dalle squadre, ma non sul numero degli infortuni che subiscono i calciatori.

Disputare meno partite avrebbe quindi ricadute positive sulla salute dei protagonisti... ma probabilmente negative per le tasche dei presidenti di società. Meno partite significano meno spazi in televisione, perlomeno per quanto riguarda la vendita dei diritti di trasmissione in diretta (le trasmissioni di chiacchiere sul calcio, probabilmente, non diminuirebbero di molto) e quindi meno introiti. Potrebbero anche significare meno giocatori in rosa, perché ci sarebbero meno infortunati da sostituire – ma questo non sembra un problema ai tempi del mercato aperto per molti mesi all’anno, e di panchine dove possono sedere 12 possibili sostituti degli 11 titolari schierati in campo.

Intanto, però, almeno l’Aic ha messo in evidenza che nel calcio moderno c’è un problema di salute.

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