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Il (giusto) trionfo del nuovo pallone

di Italo Cucci - avvenire
 Voglio evitare di esser (metaforicamente) lapidato, epperciò eviterò di dire che Blatter è un fenomeno; ma datemi almeno licenza di chiamarlo fortunato. La finale sudafricana sarà ricordata come il trionfo di un nuovo mondo: non per demagogia, ché altrimenti dovremmo avere accolto in finale, chessò, un Sudafrica o un’Australia o una Nuova Zelanda; per qualità calcistica di sicuro ma anche per assenza di ogni possibile orchestrazione organizzativa, magari a sfondo arbitrale.
  Senza offesa per Olanda e Spagna, è come ricordare il campionato vinto dal Verona, o dalla Sampdoria, o dal Napoli,
ovvero quando - come diceva l’Avvocato ­«lo Scudetto è in libera uscita». Si, cari amici, siamo alla finalissima di una Coppa del Mondo in libera uscita, giocata da due Paesi - Olanda e Spagna - che non hanno mai vinto: la prima fallendo (ingiustamente) due finali, la seconda favorita di sempre ma mai “unita per vincere”, ovvero soffrendo la persistente rivalità fra catalani (Barcellona) e castigliani (Real Madrid), già forte ai tempi del Caudillo Franco, mai scemata con Re Juan Carlos di Borbone. Magari fosse la volta buona. Blatter fortunato, dunque, al punto di poter menar vanto di una gestione con Mani Pulite che ha non solo conosciuto un esito comunque valido dal punto di vista tecnico ma anche preparato un futuro migliore per questo Paese afflitto da una povertà endemica nonostante sia il più ricco del mondo. Domenica il potente presidente zulu Zuma incontrerà il presidente del Cio Rogge e gli presenterà (ufficiosamente) la candidatura alle Olimpiadi del 2020: se così sarà, Roma farà bene a pensare alla rinuncia, quasi un gesto benefico nei confronti di una terra e di un popolo che hanno forte bisogno di futuro. Come dicevo, tecnicamente è una finale felice non solo perché giusta: la Spagna, finalmente protagonista dopo essersi nascosta (come Italia ’82) dietro partituzze non convincenti risolte dai gol di Villa, rappresenta anche tutto il calcio latino sparito appena il Sudamerica ha dato l’idea di “possedere” il Mondiale. Mentre l’Olanda è felice espressione del calcio più moderno della Vecchia Europa, non solo per la presenza di un trio di campioni eccellenti come Sneijder, Robben e Kuyt ma per la natura quasi scientifica del ruolo di Sneijder accostata alla indiscutibile classicità del gioco di Robben. Quale che sia il risultato, l’Olanda lascerà il segno in questo Mondiale per il ritorno della personalità individuale che - pur collocata in un gioco di squadra - smentisce per un volta la coralità cooperativa. Fatalmente, riportando in auge la forza d’Orange in un Paese che la disprezza quando non la odia. Sarebbe bello - e chissà come gonfierebbe il petto Blatter! - se il calcio, se lo sport facesse sparire anche questa penosa traccia dell’apartheid.

Olanda-Spagna, c’è il mondo in palio Inedita, affascinante, equilibrata: per Sudafrica 2010 la finale più giusta

DA JOHANNESBURG ANGELO MARCHI  - avvenire
 N
elson Mandela finalmente in tribuna. E una finale inedita ed affascinante. Questo si a­spetta di vedere il mondo questa sera. Olan­da- Spagna al Soccer City di Johannesburg, per la pri­ma volta incoronerà regina calcistica del pianeta un’europea al di fuori del proprio continente (e sarà una squadra che finora il titolo non l’hai mai con­quistato). Si affronteranno le due nazionali che più lo hanno meritato, non solo per ciò che hanno fat­to in Sudafrica, dove hanno primeggiato in fatto di bel gioco, ma anche prima di arrivarci.
  L’Olanda, imbattuta dal settembre 2008 e tra­scinata da Sneijder e Robben, avrà la possibilità di eguagliare un primato che appartiene al mitico Brasile di Messico ’70, ovvero di diventa­re campione del mondo do­po aver vinto tutte le par­tite delle qualificazioni (otto su otto nel caso degli arancioni) e della fase fi­nale (altre sette, se batte la Spagna). Sneijder, for­te dei trionfi interisti, potrebbe avvicinare Pelè anche a livello individuale, diventando l’unico calciatore a vincere quattro grandi titoli nello stesso anno solare: “O Rei” ci riuscì nel 1962, quando, appena 21enne, vinse campionato pau­­lista, Coppa del Brasile e Libertadores, e poi i
Mondiali in Cile e Intercontinentale.
  La Spagna non può fare come l’Olanda, anche se diventasse campione del mondo, a causa del­la
sconfitta nel match d’esordio a Durban con­tro la Svizzera. Ma quella è stata anche l’unica battuta d’arresto delle Furie Rosse, assieme alla semifinale di Confederations Cup persa l’anno scor­so contro gli Usa, dal febbraio 2007 ad oggi, sotto le gestioni di Aragones prima (titolo europeo conqui­stato a Vienna) e Del Bosque adesso.
  Tutto ciò per dire che lo spettacolo dovrebbe essere assicurato anche oggi, in una finale dal pronostico incerto, ma che pende leggermente dalla parte degli spagnoli, maestri del fraseggio ed alfieri di quel cal­cio totale che un tempo era appannaggio degli olan­desi ed ora viene interpretato al meglio proprio da coloro che l’hanno imparato dai maestri dei Paesi Bassi. La Spagna di oggi, finalmente al meglio e ca­pace
di conquiste dopo anni di mancati traguardi e cocenti delusioni, è frutto di una straordinaria fiori­tura di campioni (Xavi su tutti, almeno qui in Suda­frica) che traducono in modo ottimale sul campo gli insegnamenti nel corso degli anni, in Spagna ed in particolare a Barcellona e Madrid, dei vari Michels, Cruijff, Hiddink, Beenhakker e Rijkaard: in fondo so­no stati proprio loro, ironia della sorte, gli artefici del miracolo spagnolo.
  Non piace affatto però a Vicente Del Bosque, ct della Spagna, l’accostamento tra la sua nazionale e il Bar­cellona, società che comunque dà alla squadra di­versi calciatori-chiave (Puyol, Piquè, Busquets, Xavi, Iniesta, ora anche Villa). «Siamo un gruppo - dice - e
funzioniamo bene proprio per questo. La finale? I gio­catori sono abituati a disputare partite del genere sot­to pressione. Non sento alcun peso allo stomaco, bi­sogna sdrammatizzare. Sono tranquillo». Andres I­niesta invece non vede l’ora di scendere in campo: «Essere qui è già grandioso - spiega il centrocampi­sta - , siamo davanti a una sfida storica e abbiamo un’occasione unica che dobbiamo cercare di sfrutta­re in tutti i modi. Sarà una partita molto difficile con­tro giocatori che hanno grandi qualità». Ieri mattina Del Bosque e il capitano Iker Casillas hanno ricevu­to una telefonata d’incoraggiamento dal Re Juan Car­los (ancora convalescente dopo un intervento chi­rurgico), che non sarà allo stadio, così come il primo ministro Josè Luis Zapatero. «Sono molto felici, si a­spettano che la Spagna mostri il suo miglior spirito», conclude il ct. Alla finale assisteranno invece la regi­na di Spagna Sofia, già portafortuna in semifinale, e i principi delle Asturie, Felipe e Letizia Ortiz.
  Se la Spagna vince non sarebbe una sorpresa, ma l’ennesima conferma della grandezza di una squadra che, come dice Casillas, rega­lerebbe «una gioia talmente grande da far
dimenticare anche la crisi economica». Il paese iberico ne sta soffrendo in mo­do profondo, ora è leader in disoccu­pazione e non più locomotiva dell’Europa, ma il titolo mon­diale avrebbe l’effetto di un’immensa terapia colletti­va. Miracoli che solo il calcio può fare, dopo quello di aver unito una volta di più tutte le razze ed i colori sudafricani.
  Di contro l’Olanda, che non ha mai nascosto le proprie ambizioni e che Krol vede vincente «perchè finalmente non giochiamo contro la squadra di casa», cercherà di ribaltare le previsioni affi­dandosi ad uno Sneijder fin qui stratosferico (e probabile
vincitore a fine anno del Pallone d’Oro in caso di titolo iridato) e che potrebbe vivere una “sfi­da nella sfida” con David Villa per il titolo di ca­pocannoniere. Per l’olandese è anche l’occasio­ne di un’ennesima rivincita su quel Real Madrid che un anno fa ha assurdamente ripudiato lui e Robben. «Quella contro la Spagna è la partita più importante di tutta la mia vita, ma è importante per tutti i gioca­tori: nessun olandese è mai stato campione mondia­le », sottolinea il tecnico “orange” Bert Van Marwijk. «Dobbiamo fare tutto il possi­bile - aggiunge - per giocare il nostro calcio. Con tutto il rispetto per l’av­versario, che fin qui ha fatto vedere grandi cose, siamo convinti di poter vincere, l’unica cosa che conta».
 Van Marwijk: «È la gara più importante della vita. Spagna favorita ma se giochiamo il nostro calcio possiamo farcela» Del Bosque: «Siamo un gruppo, non la copia del Barcellona. Nessun peso allo stomaco, i miei sono abituati a partite del genere»

Cannavaro rende il trofeo: «Nostalgia e dispiacere»

JOHANNESBURG. C’è ancora qualche ora per vantarsi di essere i campioni del mondo in carica poi, con la Coppa, bisognerà riconsegnare anche titolo e prestigio. Un passo difficile soprattutto per i tifosi italiani, reso ancora più amaro dalla brutta eliminazione della Nazionale di Lippi. Gli azzurri vedranno la finale in tv ad eccezione di Fabio Cannavaro, che sarà in campo ma non da protagonista come quattro anni fa. Non alzerà la Coppa come ha fatto a Berlino ma sarà lui a portarla al Soccer City, quindi toccherà a Casillas o a Van Bronckhorst, ovvero al capitano neo-campione, mostrarla al mondo. La Fifa ha pensato di invitarlo anche per rimediare alla gaffe fatta durante i Mondiali, quando fu il francese Vieira a consegnare la Coppa al Sudafrica. «Sicuramente questa è una bella iniziativa - spiega Cannavaro ai microfoni di Sky Sport 24 - . Mi hanno dato questa scatola che io considero magica perchè racchiude il desiderio di tutti i giocatori. Sarà molto emozionante riconsegnare la Coppa, ci sarà tanta nostalgia, questa è una coppa che ci ha dato tanto e che ci ha fatto vivere emozioni straordinarie, restituirla sarà dura». Il Mondiale degli azzurri è stato disastroso, Cannavaro lo sa benissimo e la delusione non l’ha ancora smaltita. «C’è tanta amarezza, siamo usciti al primo turno e c’è il dispiacere di non aver difeso nel miglior modo possibile la coppa. È andata male, ma ora c’è un allenatore nuovo e bisogna guardare al futuro». Francia e Italia fuori al primo turno, male anche Inghilterra, Brasile e Argentina, in finale l’Olanda che all’inizio non era certo tra le favorite: è stato il torneo delle sorprese. «Il Mondiale nasconde sempre tante insidie, non c’è nulla di scontato e non è detto che vinca sempre la più forte. Il torneo è bello anche per questo, non sono sorpreso».
  Il futuro di Fabio Cannavaro è a Dubai, ha firmato un biennale con l’Al Ahly, è lì che chiuderà la carriera. «Ho visitato la città, è un posto con un fascino incredibile che vive il calcio in modo diverso, per me è una sfida interessante, a 37 anni la ritengo un’esperienza da vivere». Presto qualche italiano potrebbe raggiungerlo. «Gattuso doveva andare per primo e, invece è toccato a me. Penso che ne arriveranno altri perchè qui vogliono far
crescere il calcio».

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