Sport Land News

PER I MONDIALI IL POLPO PAUL DICE SPAGNA

(AGI) - Roma, 6 lug. - Il polpo Paul non lascia speranze alla Germania, impegnata domani nella gara delle semifinali mondiali contro la Spagna. All'acquario di Seelife di Oberhausen si e' ripetuto il rito: due teche, una con la bandiera tedesca l'altra con quella spagnola, sono state fatte calare nella vasca di Paul, un piccolo polpo che subito si e' andato a infilare nella teca delle 'Furie Rosse'. Il filmato postato su Youtube ha documentato anche le voci dei presenti, sconcertati.
  Prima di ogni sfida della nazionale tedesca, infatti, il polpo aveva scelta la teca 'di casa', azzeccando il pronostico favorevole ai 'panzer'. (AGI) .

Uruguay, tocca agli "italiani" ‎

CITTÀ DEL CAPO, 6 luglio - L’ex juventino Martín Cáceres (restituito al Barcellona per fine prestito) e il napoletano Walter Gargano in campo per eliminare l’Olanda. Tabarez si affida agli “italiani” nella speranza di approdare a quella finale mondiale che manca nell’albo d’oro dell’Uruguay da sessant’anni esatti, cioé da quando la Celeste di Schiaffino e Ghiggia violò il Maracanà di Rio de Janeiro gremito da 200.000 persone e si portò a casa l’allora Coppa Rimet.

CAVANI PIÙ AVANTI - Una scelta quasi obbligata quella del “Maestro” di Montevideo per sopperire alle assenze dei difensori Lugano e Fucile, anche se il ct non esclude un clamoroso (e miracoloso) recupe­ro del biondo centrale del Fenerbahçe. Difesa a parte, la Celeste non potrà disporre neppure dello squalificato bomber Suarez nonché del centrocampista offensivo Lodeiro, entrambi in forza all’Ajax e che sarebbero stati utili due volte conoscendo pregi e difetti di buona parte degli avversari odierni. Ecco perché Ta­barez medita un profondo rimpasto con il ritorno al più classico dei 4- 4- 2, con Cavani utilizzato nel ruolo di seconda punta a fianco di Forlán, col rientro di Godín al centro della dife­sa e con l’ingresso anche di Alvaro Pereira nella linea mediana. Questa, almeno, è la squadra che è stata “spiata” da alcuni cronisti uruguaiani muniti di potenti teleobiettivi e appostatisi su una collina nei pressi del campo di allenamento in occasione dell’ultima seduta a porte chiuse.
tuttosport

Orania non tifa Orange "Il calcio? E' da neri fannulloni"

Un paese di 700 anime nato contro Mandela, dove l'apartheid non è finito: "Siamo contro ogni contaminazione". Viaggio nella città stato fondata negli anni '90 su terreni acquistati da 40 famiglie afrikaner


Il nome è da fantascienza. Da pianeta surreale. Ma Orania è su questa terra, a metà del Sudafrica, un ombelico nel mezzo del niente, nella regione Karoo. Una landa desolata, da Wile il Coyote, o da Spike, il fratello di Snoopy. Cactus, cespugli, polvere, strade sterrate, il fiume Orange. E tante bandiere arancioni. È una comunità afrikaner:  gote rosse, occhi chiari, visi che sembrano dipinti da Rembrandt e da Vermeer. Un po' paffuti, dolci, da colonia sfuggita alla storia. Orania vive accanto a 48 milioni neri, ma non ne sente il respiro. Qui non sono graditi. È una comunità solo per banchi. La fondò  un gruppo di 11 persone, comprandola  per 200 mila dollari dal governo, che l'aveva costruita come campo-base e cantiere per gli operai che lavoravano all'acquedotto.

Era il dicembre 1990, Mandela non era più in prigione e l'apartheid era stato abolito. La risposta di Carel Boshoff, genero dell'ex premier Hendrik Verwoerd, l'architetto della segregazione fu: e noi ci facciamo una città e una repubblica tutta nostra, "only whites". Il posto, ormai in rovina, non era tra i più belli, solo una pioggia all'anno, accanto alla miniere di Kimberly. A metà tra la comunità Amish e una setta di fanatici con la zappa in mano. "Non vogliamo essere comandati da chi non è Afrikaner. La nostra cultura è oppressa e ai nostri bambini con la lingua inglese viene fatto il lavaggio del cervello".

A Orania oggi vivono 700 persone, gran parte impegnati nei lavori agricoli. C'è grano, miglio, e noci (esportate in Cina). E un tifo dichiarato per l'Olanda, anche se ormai una madrepatria lontana e stinta. A Orania c'è il campo di rugby e una piscina. E quello da calcio? "Scherziamo? Il football è roba da neri, a noi non interessa, però i nostri bambini qualche volta lo praticano". Bè, non gli rovinerà la pelle. "Non è quello, nelle nostre scuole vige un sistema educativo che abbiamo preparato noi, abbiamo anche i computer, che non prevede la contaminazione. Per noi i soldi non sono un valore, lo è l'indipendenza che si ottiene con il lavoro anche manuale. Siamo calvinisti. La maggior parte dei comuni sudafricani è in bancarotta, il nostro no. Noi non strapaghiamo i fannulloni, noi non mendichiamo. Il resto dell'Africa campa sulla beneficenza. Pretendevano che la squadra del Sudafrica andasse avanti, e in base a cosa, ai sogni? Bisogna meritarseli certi traguardi, non sperare nella bontà di un regalo".

Orania ha case basse, alcune ristrutturate, sembra un camping dell'Adriatico, senza il mare, popolato da corpi contadini. Della polizia non c'è bisogno, la criminalità qui va a letto presto. "Ci conosciamo tutti" dice l'ex dottore John Strydon, 55 anni, portavoce della comunità. " E se passa una macchina sconosciuta, prendo subito la targa e passo parola". Ah, bene. Non sarà facile per i giovani vivere qui? "Soprattutto per i singles, per quelli che non hanno famiglia, e che la sera sono stanchi morti. Il Sudafrica ha sempre delegato ai suoi schiavi neri i lavori più umili, anche perché la manodopera non costava niente. Ma qui i neri non ci sono. Ognuno deve darsi da fare da sé. E questo per la gioventù è psicologicamente inaccettabile ". Stasera tutti al bar a tifare per gli arancioni? "Non esageriamo, solo quelli che all'indomani non lavorano, e magari a casa davanti alla tv. Le fans più scatenate da noi sono le donne, Madelein e Mara non si perdono un giocatore". Magari qui la vita sentimentale è noiosetta? "Ci si sposa, si fanno tre figli, si va in chiesa". Ecco, appunto, uno spasso. "Per quello c'è l'auditorium dove proiettiamo vecchi film". Hollywwodiani? "No, afrikaner, per promuovere la nostra cultura".

Orania ha cartelli e insegne afrikaner, piccoli studi medici, panetteria e supermercato. "Ci autogestiamo fino quando possiamo, poi andiamo in città". Quando Mandela dovette far capire al paese che non cercava vendetta, venne qui, ad incontrare per un tè, la fragile 94enne Betsy Verwoerd, vedova dell'uomo che aveva costruito l'apartheid. Come fu l'incontro? "Passiamo ad altro". Però Orania ha festeggiato i dieci anni della liberazione di Mandela a suo modo, stampando una propria moneta. Anzi dei voucher da 10,20,50,100 rand. Con disegni tipo Hendrick il coraggioso e leggende afrikaner. Bianchissimi. Ad Orania c'è anche una radio, che trasmette nel raggio di 60 chilometri. Va in onda dalle 17 alle 22. E prima? "Non serve, la gente sta nei campi". La conducono in due: un tecnico e un presentatore. Parlate di calcio, di Robben, dei mondiali? "No, delle condizioni meteorologiche e leggiamo il Vangelo". Pure se oggi l'Olanda segna che non speri in un fuoriorario. Però la preghiera è garantita. Qui Orania, a voi mondo. 

  (06 luglio 2010) di Emanuela Audisio - repubblica.it

Paris Hilton riceve delle scuse dopo l'arresto ai mondiali

Il portavoce di Paris ha spiegato a E! News che un'altra persona nel gruppo della Hilton era in possesso di marijuana. È stata interrogata, ma la polizia si è poi scusata e ha lasciato cadere le accuse contro di lei.

"Posso confermare che si è trattato di un grosso malinteso", ha detto il portavoce. "Il caso contro Paris è stato archiviato e non sono state emesse imputazioni. Le autorità si sono scusate per averla accusata ingiustamente dal momento che non aveva nulla a che vedere con l'incidente. Paris si sta divertendo molto ai mondiali".

Una fonte ha rivelato a E! News che la persona in possesso della marijuana si è dichiarata colpevole e ha dovuto pagare una multa.

"Va tutto bene. Io non c'entravo niente", ha poi scritto su Twitter la Hilton.
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Forse Paris Hilton dovrebbe prestare maggior attenzione alle proprie azioni.

Venerdì l'ereditiera è stata arrestata a Port Elizabeth, in Sud Africa, dopo essere stata trovata in possesso di marijuana al termine del match Brasile-Olanda.

La polizia, che non ha divulgato il nome della Hilton, ha detto che una sospettata "molto nota" si sarebbe presentata oggi in tribunale. È proprio quello che avrebbe fatto Paris verso mezzanotte.

Stando alle notizie, la Hilton era stata fermata fuori dal Nelson Mandela Bay Stadium al termine della partita, e le autorità l'avevano trovata in possesso di un quantitativo non specificato di droga. (Sarà successo dopo che aveva scritto su Twitter: "Oggi mi sono divertita tantissimo alla partita. Che match! Amo il Sud Africa!")

Ancora non si sa come la polizia abbia sospettato di lei.

Supponendo che si sia trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato, con delle sostanze proibite nella borsa, gli esperti ci hanno comunque detto che difficilmente se la vedrà brutta.

"Non finirà in prigione", ha spiegato a E! News Harold Copus, ex membro della squadra speciale dell'FBI Drug Enforcement Administration. "Non penso si ritroverà in una terribile prigione sud africana per diversi anni. Niente di tutto ciò".

Addirittura non rischia di trascorrere nemmeno un giorno in carcere, ha detto Copus, aggiungendo che possedere piccole quantità di marijuana è solitamente un reato "trascurabile" in Sud Africa.

Inoltre, l'avvocato criminale Alec Rose ha spiegato che la Hilton dovrà pagare probabilmente una cauzione dopo di che sarà rilasciata.

"Se si tratta di un reato minore, con tutta probabilità verrà lasciata libera e potrà ingaggiare un legale del posto", ha detto Rose. "La faranno tornare negli Stati Uniti se prima firmerà un documento in cui si dichiara responsabile nel caso venga giudicata colpevole del crimine".

"In numerosi paesi occidentali", ha continuato, "la pena legata al possesso di un quantitativo di marijuana per uso personale è minima. Il tutto si potrebbe risolvere con una semplice multa. Forse chiuderà la questione ancor prima di lasciare il paese". (eonline)

Mondiali Sudafrica 2010 – I risultati di Uruguay-Olanda

Ci siamo: cominciano le semifinali e su FF non si fanno trovare impreparati. Uruguay-Olanda come finirà? Leggete i nostri esperti per saperlo.

Carissimi lettori e lettrici, appassionati di scommesse e di calcio, correte al più vicino Punto Snai e giocatevi il patrimonio e pure le mutande: i nostri superesperti riuniti su Friendfeed, capitanati da me medesimo, giorno per giorno vi anticipano i risultati delle partite di domani. E come vedrete tra ventiquattr’ore, quasi sempre ci pigliano…
Uruguay-Olanda
1 -2 . Alla fine di un match tirato, la celeste è viola dalla rabbia perchè gli arancioni hanno la meglio con una prova gagliarda. Come sempre merito dei fiori, troppo facile quando si parla di Paesi Bassi. Gli altissimi olandesi calano il jolly al 35° del secondo tempo quando i migliaia di tifosi presenti sugli spalti accendono i cannoni. Una nube di piacere si diffonde sul campo di gioco e gli uruguaiani poco abituati alla marijuana si sballano cadendo per terra come birilli. E’ ancora Sneijder il mattatore dell’incontro con un gol facile facile al ritmo di Bob Marley.
giornalettismo

SUDAFRICA 2010 - Il Mondiale del pianto

(Repubblica.it) - Come esce di scena un vero uomo? Tra le lacrime o sputando e imprecando? Esiste ancora un senso della dignità che rifugge da questi estremi e si rifugia tra le conserte braccia dell'onorevole Takeshi Oneda, il ct giapponese che ha accolto l'eliminazione senza aprire un poro ed è tornato in campagna a scrivere versi?

A guardare quel che succede sui prati del Sudafrica, quando il sipario cala e per qualcuno la recita è finita sembrerebbe davvero di no. Vai con il pianto. O vai con il delirio. In alternativa, nel caso peggiore che terremo per ultimo, prima l'uno e poi l'altro.

La nazionale delle lacrime è fortissima. Tra i pali schiera il portoghese Eduardo, forse il miglior portiere visto ai mondiali, quello che da solo ha cercato di fermare la Spagna mentre i suoi compagni cincischiavano. Lo ha stroncato la sensazione di spreco: a che serve essere bravo se intorno a te c'è soltanto mediocrità? Nessuno si ricorderà adesso delle sue parate, dato che non sono state gradini di un'ascesa verso il cielo, ma soltanto tesori nascosti dietro una porta chiusa al piano appena sopra il girone eliminatorio. Momenti meravigliosi che, come diceva quello che ne aveva vissuti tanti, andranno persi, appunto, "come lacrime nella pioggia".
Questa è l'unica squadra ideale del torneo a cui partecipa un italiano: Quagliarella, il primo a cedere. Anche lui stroncato dalla sensazione dell'irripetibile. Quando mai gli ricapiterà di essere così in forma ma venire impiegato soltanto in extremis, in una squadra già fuori tempo massimo? Su un giornale sudafricano il suo gol è ancora nella classifica dei dieci più belli, ma ho visto un olandese leggerla e, indicando l'italiano, domandare: "Chi era questo?". Era.

Una foto mossa, poi l'obiettivo si è spostato altrove. Se non altro ha dei buoni compagni d'attacco. Al centro c'è addirittura Messi, che Maradona (allenatore di questa inconsolabile squadra) ha voluto descriverci nello spogliatoio, seduto sulla panca, sguardo a terra, intento a dimostrare il suo attaccamento alla maglia inzuppandola per venti minuti. E sull'altra fascia può spingere Cardozo, il paraguayano inguaiato che ha sbagliato il rigore ammazzaspagna. Pesava troppo quel pallone, quasi come quello di Asamoah Gyan, al 120' minuto dello storico quarto di finale ghanese e a un istante dalla leggenda. Impossibile farcela, altrettanto perdonarsi. Di tutti, per l'eccezionalità dell'evento, lui è l'unico comprensibile. Fin lì si era sentito infallibile dal dischetto, e così Cardozo, che aveva fatto piangere i giapponesi.

Ecco, se lo fa un emotivo latino, passi. Ma se vedi un samurai blu che si copre la faccia con la maglia per non mostrare il volto mentre si scompone, è finita. Davanti alle lacrime di Honda e Komano si è capito che la diga era rotta, l'alluvione imminente.

Molti potranno dire che è una reazione naturale, salutare anzi, come uno starnuto: quel che fa male è trattenerla. Nell'affermarlo si maschera il senso di disagio di fronte non a uno, ma a due, undici uomini che piangono. Le lacrime di Mourinho, certo. Almeno quelle erano di gioia. Il pianto felice è una bottiglia che tracima, è esploso il tappo, allegria. Quello davanti a un film (possibilmente in aereo, soli, a diecimila di quota) uno sfogo solitario. Il pianto triste in mondovisione è un'altra cosa, una resa, somma all'incapacità di farcela quella di farsene una ragione. Non ci sono stati lutti, ci saranno altre partite, forse altri mondiali, la vita offre rivincite sul campo, bisogna solo prepararsi per esserne all'altezza: chissà che fra quattro anni non ci sia, per la terza volta consecutiva, il quarto di finale Germania-Argentina. Magari per il Ghana il treno sarà più lento, ma è probabile che ripassi.

Certo, ci sono reazioni peggiori. Ci sono quelli che, avendo fatto la metà di Eduardo, invece di piangere di fronte alla telecamera sputano a chi le sta dietro, come ha fatto Cristiano Ronaldo. E quelli che invece di ringraziare il proprio pubblico in ogni angolo dello stadio, come ha fatto Honda, lo insultano alla maniera di Rooney. C'è Felipe Melo che nell'uscita del Brasile ha responsabilità molto più grosse rispetto a Cardozo per quella del Paraguay, ma si sente colpevole? No, proclama: "Delle critiche me ne frego". E fila via, sotto scorta però, perché in questo caso gli sputi e le offese sarebbero mirati a lui.

Poi c'è l'ultimo, l'agrodolce Suarez, el ladròn, quello della mano assassina che para il tiro ghanese sulla linea di porta e nega il gol della giusta vittoria. Non provoca soltanto il rigore, ma anche la propria espulsione, quindi l'esclusione da ogni eventuale futuro. Consapevole delle conseguenze, ma non dell'indicibile che sta per avverarsi, esce dal campo piangendo. Poi resta lì, grondaia, a guardare Asamoah Gyan che, presumibilmente, renderà la sua bravata vana e dannosa. Invece quello sbaglia. Ed ecco che Suarez esulta, rivendica e l'indomani tronfio annuncia: "Ora la mano di Dio sono io". Che se poi esistesse, quella mano, asciugherebbe le lacrime, tapperebbe le bocche, distribuirebbe qualche scapaccione e di nuovo tutti in campo, ad allenarsi.

MONDIALI 2010/ Uruguay Olanda, sfida tra emigranti del pallone

Due semifinali, due storie simili e opposte. Uruguay contro Olanda e Germania contro Spagna ad assomigliarsi a coppie. Prendete la partita di questa sera, che mette di fronte due realtà simili per dimensioni geografiche e, soprattutto, per storie calcistiche. Sono Paesi costituiti da emigranti del pallone, che sanno rendere grande la propria Nazionale andando a farsi in giro per il mondo quell'esperienza negata a casa loro da campionati oggi di seconda fila. Dei 23 dell'Uruguay soltanto due calciatori giocano in patria e, di questi, l'unico titolare è Arevalo del Penarol.

Tra i 23 dell'Olanda si sale a nove giocatori militanti nell'Eredivisie, ma soltanto quattro di questi sono tra i titolari prescelti da Van Marwijk: Stekelenburg, Van der Wiel, Van Bronckhorst e l'ultimo aggiunto Ooijer, con il terzino dell'Ajax già pronto a salutare l'Olanda, viste la giovane età e la considerevole bravura. Detto questo, i pronostici danno per logici favoriti gli oranje: messe sul piatto le singole squadre, non si può neanche paragonare il loro tasso tecnico rispetto alle qualità dei sudamericani, che fanno della determinazione e dell'applicazione le qualità su cui puntare. Olanda che comunque non si fida del ruolo che le hanno ritagliato addosso, anche in presenza di pesanti squalifiche come quelle di Suarez e Fucile e dei problemi fisici che mettono fuori causa Lugano e Lodeiro. Perché è un ruolo scomodo, dove devi essere tu a dimostrare qualcosa in più della controparte, anche se mancano elementi preziosi come Van der Wiel e, soprattutto, De Jong, entrambi squalificati. Gli uomini di Van Marwijk non dovrebbero avere problemi a evidenziarlo, come hanno fatto finora con un calcio estremamente pratico, impreziosito dalla qualità del quartetto che si muove in attacco.
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