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La Nazionale sconfitta, specchio di un Paese che perde ovunque

di Roberto Carnerotutti

Gli Azzurri sconfitti ai Mondiali di calcio sono l’icona di un Paese perdente anche in molti altri settori». Così Nadia Urbinati, docente di Scienze Politiche alla Columbia University di New York, che continua: «Purtroppo non è soltanto il campionato di calcio quello in cui l’Italia oggi soccombe. Sono molte le “coppe del mondo” che stiamo vedendo sfumare: dall’economia alla cultura, non siamo messi affatto bene». La sconfitta della nazionale rientra dunque in un corso degli eventi che da qualche anno a questa parte – guarda caso da quando al governo c’è Lui – ha preso una piega decisamente negativa. Certo, c’è Silvio Berlusconi con il suo uso personalistico della politica, ma c’è anche un Paese profondamente diviso, una «squadra Italia» poco coesa al suo interno e poco incisiva nei confronti dell’esterno. Ne parliamo con Nadia Urbinati perché sta preparando un saggio sull’individualismo nella società moderna (che uscirà a fine anno da Laterza) e perché il suo ultimo libro, “Lo scettro senza il re” (Donzelli 2009), affrontava proprio il tema della partecipazione popolare nelle democrazie rappresentative e dell’azione indiretta dei cittadini (a livello di controllo e di stimolo) sull’azione della classe politica. Professoressa Urbinati, dunque di che cosa è sintomo la sconfitta della nazionale? «Di un’Italia che non sa scommettere sui propri talenti, su quelli più creativi e originali. Si lasciano a casa Cassano e Balotelli, perché hanno personalità, diciamo così, meno convenzionali, e si punta sul già noto, su ciò che ha funzionato in passato, ma non è detto che funzioni per il futuro. Come i fatti hanno dimostrato». L’Italia di oggi le appare così? «Purtroppo sì. Appare in questi termini soprattutto a chi la osservi dall’esterno. Un Paese fermo, immobile, timoroso. Il dinamismo berlusconiano è solo la maschera di un conservatorismo spinto. L’Italia sembra sempre più una nazione autoreferenziale. Lo vedo in queste settimane in cui mi trovo in Italia guardando i tg e leggendo i giornali: molte beghe politiche, molto gossip, pochissimo interesse per ciò che succede fuori dal nostro Paese, ma con cui dobbiamo inevitabilmente confrontarci se non vogliamo rimanere indietro». Quanto conta la fortuna (o, se vogliamo, il suo contrario) nel risultato di una squadra, che sia di calcio o di governo? Glielo chiedo perché Berlusconi non sembra essere stato molto fortunato. Tra catastrofi naturali, politiche ed economiche, a livello nazionale e planetario, da quando è al governo il Cavaliere ne sono capitate di tutti i colori... «Machiavelli nel “Principe” sosteneva che il successo dell’azione politica dipende per una metà dalla “virtù”, cioè dalle doti, dalle capacità di chi governa, e per l’altra metà dalla fortuna, cioè dal caso. Ma non è che quest’ultima componente sia qualcosa di assolutamente imponderabile: Machiavelli dice infatti che attraverso la “virtù” la “fortuna” può essere domata e indirizzata. La dote dote principale di chi governa consiste nel comprendere quali sono i problemi più urgenti, le sfide più importanti, le priorità da affrontare nell’azione politica. La politica italiana non sembra capace di cogliere le cose importanti. E così si rischia di perdere i treni che passano». A cosa si riferisce in particolare? «Faccio un solo esempio. Uno Stato che in un momento storico come questo taglia drasticamente i fondi a scuola, università e istituzioni culturali, dimostra di non aver capito nulla su come si possa uscire da un momento di crisi. Perché così facendo rinuncia al suo futuro. Tagliare in questi settori così strategici come la ricerca e l’istruzione significa tarpare le ali all’intelligenza e alla creatività, puntare su un Paese non di creatori, ma di semplici consumatori, favorire la docilità e il conformismo, più che l’originalità, il genio, il talento. Perché queste sono cose che si sviluppano là dove è accolto e valorizzato lo spirito critico. Ma questo, di segno del tutto opposto, è forse proprio il progetto consapevole di chi sta oggi al governo in Italia: gente che pensa soltanto ai propri interessi personali e non al bene della nazione che ha avuto il mandato di amministrare nel miglior modo possibile. Cosa che sfido chiunque ad affermare che stia avvenendo. Oltre al malgoverno, però, c’è anche qualcos’altro, a mio avviso è ancora più grave». Cioè? «Il totale disprezzo delle regole, comprese quelle fissate dalla Costituzione. Domina l’idea che ogni limite si possa aggirare, che tutto si possa comprare. Così si fa ministro un signore per evitargli un processo: vedi Aldo Brancher. Ma, per tornare ai mondiali, anche una battuta come quella di Bossi, per cui l’Italia si sarebbe comprata la vittoria contro la Slovacchia, è sintomatica e anche dannosa». In che senso? «È sintomatica di quella mentalità diffusa di cui parlavo, cioè dell’idea che con i soldi si possa sistemare tutto. Ed è dannosa perché rimanda all’immagine di un’Italia corrotta, in cui domina l’illegalità. Dico dannosa perché rafforza una percezione negativa del nostro Paese, che ha oggettivamente alcuni problemi di criminalità organizzata, presso i possibili investitori esteri: i quali così rimangono perplessi e sempre più riluttanti a portare i capitali dell’industria in uno Stato che non offre le minime garanzie». Ma a Bossi forse fa gioco veicolare proprio questa immagine negativa dell’Italia, visto che lui si riconosce nella fantomatica Padania... «Trovo che questa sia una cosa davvero ridicola, soprattutto quando sento parlare Bossi e altri esponenti della Lega Nord di secessione. È ridicolo che una formazione politica fomenti sentimenti di odio all’interno di una nazione. Soprattutto uno come Bossi: che coerenza ha un uomo che grida “Roma ladrona” e poi siede a Palazzo Chigi? Nessuno gli fa notare l’insensatezza, l’intrinseca contraddizione di un simile comportamento?».

unita.it

Ratzinger: calcio, paradiso in terra

il caso

Il binomio «panem et circenses» non spiega il fascino del gioco. Esso spopola perché unisce un’eco della liberazione dell’uomo dal tempo a regole ferree e intenti comuni.

In epoca di Mondiali, la sorprendente analisi del futuro Pontefice
«No all’industria del gioco, il campo insegni la disciplina»

DI GIACOMO SAMEK LODOVICI - avvenire

I l testo che qui pubblichiamo, scritto dall’allora cardinal Ratzinger, può risultare sorprendente per chi non ne conosca l’autore, in particolare i suoi detrattori. Infatti, oltre ad essere un testo antropologicamente profondo, contribuisce a far luce sulla sua personalità, perché mostra che Benedetto XVI non è un arcigno moralista o un intellettuale snob che disprezza le manifestazioni sportive, soprattutto se interessano le masse.

L’attuale Papa è tutt’altro che un uomo duro ed inflessibile, piuttosto è una persona mite e affettuosa, come palesò la sua commozione quando celebrò il funerale del suo predecessore, o come è risultato evidente in vari momenti del pontificato, per esempio nell’incontro con alcuni senza tetto o con alcune vittime degli abusi di alcuni preti. Nel contempo egli è saldo nel difendere strenuamente la dignità umana e la fede dei semplici.

Questo testo sui mondiali di calcio spiega le ragioni del fascino che essi esercitano. Lungi da moralismi (spiegare l’interesse per questa manifestazione riducendolo alla logica del

panem et circenses o solo con l’efficacia del marketing commerciale), Ratzinger svolge un’analisi della natura del gioco, e del calcio in particolare, che – spiega – tocca qualcosa di radicalmente umano. Infatti, nel calcio avviene una felice sintesi tra la libertà (che trascende le necessità della vita quotidiana ed asseconda una nostalgia per un Paradiso perduto, anticipando la dimensione di quello futuro) e le regole dell’interazione, una sintesi dove la libertà è possibile grazie alle regole (e perciò educa alla vita).

Il tema del gioco è molto affascinante ed ha suscitato l’attenzione di numerosi autori.

Esso è un’attività libera (un gioco svolto per costrizione diventa altro, per esempio un lavoro), esercitata in vista dell’interruzione della fatica del corpo, del riposo dello spirito, della sua distrazione e del suo divertimento, che inoltre esprime la creatività della persona, nonché la sua capacità di distaccarsi dalle attività pragmatiche per compiere un agire «autotelico», cioè fine a se stessa, dato che non rinvia ad uno scopo di utilità, interesse o bisogno materiale.

Risponde semmai a bisogni estetici – in quanto il gioco crea qualcosa di nuovo e di personale, di ben costruito, è una modalità dell’attività artistica–- ed al desiderio dello spirito. Quest’ultimo, infatti, anela sia all’autorealizzazione del sé, e nel gioco si cerca di dare appunto il meglio di se stessi in quella sfera, sia ad una dimensione dell’esistenza, di cui il gioco è anticipazione, in cui la regola non è più minimamente in antitesi con la spontaneità: perciò il bambino – nella cui vita la dimensione del gioco è costitutiva – è insieme origine dell’esistenza umana e figura di Tempi Nuovi, ultraterreni.

In effetti, se si trasgrediscono le regole, il mondo del gioco crolla, perciò 'il giocatore che si sottrae alle regole è un guastafeste» (come ha sottolineato Johan Huizinga, uno storico che ha investigato acutamente il fenomeno ludico nel suo Homo ludens). Egli guasta la malìa di un modo d’essere che è festa, pur essendovi delle regole, e che è prefigurazione della Festa.

Ma è un guastafeste anche chi non prende sul serio il gioco. E questo ci dice che nel gioco c’è non soltanto gioiosità, piacere e leggerezza, ma anche la serietà (che è diversa dalla seriosità), così palese nell’impegno che in esso riversano i bambini, ed allude alla serietà-gioiosa della beatitudine eterna.

Quest’ultima è superamento di tutto ciò che è pesante, doloroso e oppressivo nel quotidiano, è il raggiungimento del proprio compimento, la questione più importante dell’uomo.

la riflessione

«Lo sport è evasione dalla serietà schiavizzante del quotidiano per la serietà del bello»

DI JOSEPH RATZINGER

R egolarmente ogni quattro anni il campionato mondiale di calcio si di­mostra un evento che affascina cen­tinaia di milioni di persone. Nessun altro av­venimento sulla terra può avere un effetto altrettanto vasto, il che dimostra che questa manifestazione sportiva tocca un qualche e­lemento primordiale dell’umanità e viene da chiedersi su cosa si fondi tutto questo potere di un gioco. Il pessimista dirà che è come nell’antica Roma. La parola d’ordine della massa era: panem et circenses , pane e circo. Il pane e il gioco sarebbero dunque i contenuti vitali di una società decadente che non ha altri obiettivi più elevati. Ma se anche si accettasse questa spiegazione, es­sa non sarebbe assolutamente sufficiente. Ci si dovrebbe chiedere ancora: in cosa risie­de il fascino di un gioco che assume la stes­sa importanza del pane? Si potrebbe ri­spondere, facendo ancora riferimento alla Roma antica, che la richiesta di pane e gio­co era in realtà l’espressione del desiderio di una vita paradisiaca, di una vita di sazietà senza affanni e di una libertà appagata. Per­ché è questo che s’intende in ultima anali­si con il gioco: un’azione completamente li­bera, senza scopo e senza costrizione, che al tempo stesso impegna e occupa tutte le forze dell’uomo. In questo senso il gioco sa­rebbe una sorta di tentato ritorno al para­diso: l’evasione dalla serietà schiavizzante della vita quotidiana e della necessità di gua­dagnarsi il pane, per vivere la libera serietà di ciò che non è obbligatorio e perciò è bel­lo.

Così il gioco va oltre la vita quotidiana. Ma, soprattutto nel bambino, ha anche il carat­tere di esercitazione alla vita. Simboleggia la vita stessa e la anti­cipa, per così dire, in una maniera libera­mente strutturata. A me sembra che il fa­scino del calcio stia essenzialmente nel fatto che esso colle­ga questi due aspetti in una forma molto convincente. Costringe l’uomo a imporsi u­na disciplina in modo da ottenere con l’al­lenamento, la padronanza di sé; con la pa­dronanza, la superiorità e con la superio­rità, la libertà. Inoltre gli insegna soprattut­to un disciplinato affiatamento: in quanto gioco di squadra costringe all’inserimento del singolo nella squadra. Unisce i giocato­ri con un obiettivo comune; il successo e l’insuccesso di ogni singolo stanno nel suc­cesso e nell’insuccesso del tutto. Inoltre, in­segna una leale rivalità, dove la regola co­mune, cui ci si assoggetta, rimane l’ele­mento che lega e unisce nell’opposizione. Infine, la libertà del gioco, se questo si svol­ge correttamente, annulla la serietà della ri­valità. Assistendovi, gli uomini si identifica­no con il gioco e con i giocatori, e parteci­pano quindi personalmente all’affiatamen­to e alla rivalità, alla serietà e alla libertà: i gio­catori diventano un simbolo della propria vi­ta; il che si ripercuote a sua volta su di loro: essi sanno che gli uomini rappresentano in loro se stessi e si sentono confermati. Natu­ralmente tutto ciò può essere inquinato da uno spirito affaristico che assoggetta tutto alla cupa serietà del denaro, trasforma il gio­co da gioco a industria, e crea un mondo fit­tizio di dimensioni spaventose.

Ma neppure questo mondo fittizio potreb­be esistere senza l’aspetto positivo che è al­la base del gioco: l’esercitazione alla vita e il superamento della vita in direzione del pa­radiso perduto. In entrambi i casi si tratta però di cercare una disciplina della libertà; di esercitare con se stessi l’affiatamento, la rivalità e l’intesa nell’obbedienza alla rego­la. Forse, riflettendo su queste cose, po­tremmo nuovamente imparare dal gioco a vivere, perché in esso è evi dente qualcosa di fondamentale: l’uomo non vive di solo pane, il mondo del pane è solo il preludio della vera umanità, del mondo della libertà. La libertà si nutre però della regola, della di­sciplina, che insegna l’affiatamento e la ri­valità leale, l’indipendenza del successo e­steriore e dell’arbitrio, e diviene appunto, così, veramente libera. Il gioco, una vita. Se andiamo in profondità, il fenomeno di un mondo appassionato di calcio può darci di più che un po’ di divertimento.

Sudafrica 2010, non solo Mondiali

I GIORNI DELLE "BAFANA"

Sudafrica 2010, non solo Mondiali

Tutto quello che succede attorno ai Mondiali di calcio in corso in Sudafrica perchè, come le mogli e le fidanzate insegnano, non esiste solo il calcio. O no?

Calderoli: "Lippi rinunci allo stipendio"
"Lippi si è assunto tutte le responsabilità? Piuttosto rinunci al suo stipendio". Lo ha affermato a Latisana nel corso di un convegno sul federalismo fiscale il ministro per la Semplificazione normativa Roberto Calderoli riferendosi alle affermazioni dell'allenatore degli azzurri Marcello Lippi subito dopo la disastrosa partita contro la Slovacchia. Calderoli non è stato tenero neppure con il presidente Abete. "E' lui - ha concluso - il responsabile della scelta di Lippi". Che ne pensi? Di' la tua

Cameron: "Berlusconi tifa Inghilterra"
Secondo quanto ha rivelato il premier britannico David Cameron a Sky News, l'Inghilterra avrebbe conquistato un nuovo tifoso per il prosieguo dei mondiali sudafricani: il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. "Ho detto a Berlusconi quanto fossi dispiaciuto per la nazionale italiana, ma lui ha rivendicato (il ct dell'Inghilterra) Fabio Capello come uno dei suoi", ha detto il premier britannico. "Ora sosterrà l'Inghilterra, abbiamo un tifoso in più", dice Cameron.

Sindaco di Palermo porta sfortuna?
Stoccata al sindaco Diego Cammarata nel blog del sottosegretario Gianfranco Miccichè. Nella rubrica "Punture di zanzara" si legge la battuta: "- ZAN: l'Italia è fuori dal Mondiale... - ZARA: è l'effetto Cammarata... soccu tocca stocca! (rompe tutto quello che tocca)". Il riferimento è alle polemiche per il viaggio in Sud Africa fatto dal sindaco nei giorni scorsi per vedere partite dei mondiali di calcio, mentre in città si vive l'emergenza rifiuti.

Eliminazione Italia "costa" 140 milioni di euro
L'uscita dell'Italia dai Mondiali in SudAfrica "costa" al sistema Paese quasi 140 milioni di Euro. Questa, infatti, è la cifra stimata se la nazionale degli azzurri fosse arrivata fino in finale, in termini di indotto tra pubblici esercizi e shopping sportivo, derivato da chi avrebbe assistito dall'Italia alle partite sui maxischermo allestiti nelle diverse città (oltre 70 milioni di euro) e chi avrebbe visto le partite tra bar, pizzerie e pub (circa 67 milioni di Euro). E' quanto emerge da una stima dell'Ufficio studi della Camera di commercio di Monza-Brianza su dati Isnart, Ciset, Sky, Istat, Makno.

Negli Usa è calcio mania: audience +68%
I MOndiali del Sudafrica hanno definitivamente sdoganato il calcio negli Stati Uniti dove rispetto al 2006 c'è stato un autentico boom di ascolti tv: +68%. Stando ai dati forniti da Nielsen, sono stati 11,1 milioni gli spettatori incollati agli schermi di Abc, Espn e Univision per vedere la squadra americana sfidare Inghilterra (il match più visto), Slovenia e Algeria. Erano stati 6,6 mln per le partite contro Repubblica Ceca, Italia e Ghana nella precedente edizione.

Piovra indovina risultati partite
Sarà la Germania a vincere l'attesa sfida di domenica con l'Inghilterra agli ottavi di finale di Sudafrica 2010. E' il pronostico fatto da una piovra dotata di "straordinarie" capacità divinatorie che, finora, secondo i media tedeschi ha azzeccato tutti i risultati delle partite disputate dai "Panzer" nella fase a gironi. Come riferisce la BBC online, il cefalopode vive in un acquario di Oberhausen, una cittadina ad una trentina di chilometri da Duesseldorf. Si chiama Paul e, ironia del destino, è nato non in Germania ma nel Regno Unito. I suoi verdetti calcistici li emette scegliendo tra due vasi di colore diverso che vengono collocati nella sua vasca con un mollusco dentro per stuzzicare il suo appetito e invogliarlo a muoversi.

tgcom