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Italia - Paraguay: moduli e probabili formazioni


L'attesa è finita. Ora si fa sul serio. La Coppa non è più nostra. Ma i campioni del mondo in carica siamo ancora noi. E allora dimostriamolo a tutti. Per primi a noi stessi. Alla faccia della Fifa che ha fatto alzare la coppa a Vieira, alla faccia dei bookmakers che non ci vedono favoriti, alla faccia degli avversari e di tutti i nostri eterni detrattori. Non siamo in Germania, dimentichiamoci Berlino, anzi no. Riguardiamoci quella partita, ricordiamoci quella finale. E con le immagini di Fabio Cannavaro che alza la coppa, con le corse dei nostri eroi mondiali entusiasti e festanti impresse nella memoria, pensiamo a quanto siamo forti, a cosa ci distingue dagli altri. Non siamo mai stati i migliori, ma spesso siamo riusciti ad essere i più bravi. Non ci importa di fare spettacolo, a noi basta centrare il risultato. Un passo per volta, partita dopo partita, con la consapevolezza di essere la nazionale campione, con la forza delle idee e il carattere della nostra gente. Viviamo di calcio, lo respiriamo in ogni dove: al bar la mattina, in ufficio nel corso della giornata. Ma anche in auto, al distributore, in aereo, in spiaggia, in nave.
Sessanta milioni di cittì. Un popolo di allenatori e vati del pallone. Facciamo casino, ci piace la polemica, ognuno dice la sua, ma alla fine, tutti, in cuor nostro, amiamo questa squadra. Il simbolo più vivido dell'Italia nel Mondo. Il made in Italy da esportazione che più ci piace e del quale andiamo maggiormente fieri. Ripetersi non sarà facile. Ma ci dobbiamo provare, con tutte le nostre forze. Lo dobbiamo a noi stessi, lo dobbiamo al Mondiale. Siamo nati per vincere e, se non ci riuscisse, pazienza. Ci dobbiamo provare, fino alla fine. Non siamo tedeschi e nemmeno francesi, non siamo perfetti. E anzi, viviamo di contraddizioni e luoghi comuni, di astuzia e furbizia ma null'altro al mondo ci fa sentire così uniti, così solidi, così felici. E allora, dimentichiamoci le critiche, scordiamoci le cricche, mettiamo da parte le polemiche. Siamo italiani, insieme possiamo far bene. Ricordiamocelo tutti, gli altri lo sanno bene. E ci temono perché i campioni del mondo siamo ancora noi.

Le probabili formazioni:

ITALIA (4-3-3): Buffon; Maggio, Cannavaro, Chiellini, Zambrotta; De Rossi, Montolivo, Marchisio; Iaquinta, Gilardino, Pepe. A disposizione: Marchetti, De Sanctis, Criscito, Bonucci, Bocchetti, Gattuso, Palombo, Pirlo, Di Natale, Camoranesi, Quagliarella, Pazzini. Indisponibile: Pirlo. Allenatore: Marcello Lippi.PARAGUAY (4-3-3): Villar; Bonet, Da Silva, Alcaraz, Morel; Riveros, Caceres, Torres; Barrios, Santa Cruz, H. Valdez. A disposizione: D. Barreto, Bobadilla, Caniza, Veron, E. Barreto, Santana, Ortigoza, Vera, Cardozo, Benitez, Gamarra. Allenatore: Gerardo Martino.
ARBITRO: Benito Archundia (Messico)

(fonte: testedicalcio)

Gli avversari dell'Italia


Superficie: 406.750 kmq
Capitale:
Asunción
Popolazione:
6.347.884 abitanti
Lingue ufficiali:
guaranì e spagnolo
Religione:
90% cattolica
Ordinamento politico:

Repubblica presidenziale

Presidente:
Oscar Nicanor Duarte Frutos
Partecipazioni ai Mondiali:

7, sempre presente alla fase finale dal 1998 ad oggi.

Precedenti in Coppa del mondo:
tre volte qualificato agli ottavi (1986, 1998 e 2002)
Calciatori tesserati:
87.500
Ranking Fifa:
31° posto
La stella:
Roque Santa Cruz, attaccante del Manchester City
(fonte: Avvenire)

Gonzales: «Il mio Paraguay è spregiudicato»

Julio Gonzalez è tornato a casa, ad Asunciòn. Alla vigilia del Natale 2005 già pregustava la convocazione per i Mondiali di Germania 2006. Coppia d’attacco Gonzalez-Santa Cruz. «Era già tutto deciso…», sospira. Poi quel terribile incidente d’auto, l’amputazione del braccio sinistro e l’altrettanto dolorosa “espulsione” da parte della Uefa che a 25 anni gli chiudeva la carriera per sempre. Un brutto colpo per lui, ma la fede in Dio e la passione per il calcio lo ha sempre sostenuto. «Il miglior abito di un uomo è la sua anima. Lo sport mi ha dato una ragione in più per vivere bene e condividere con gli altri». È la filosofia che Julio aveva quando scendeva in campo, le ultime due stagioni le aveva giocate con la maglia del Vicenza, è la stessa che ha ora che è tornato alle sue radici. Con la moglie, Maria Lourdes, oltre a crescere i suoi due figli Fabrizio e Maria Paz, allena al calcio, «ma prima di tutto alla vita», 250 “piccoli angeli” tra gli 8 e i 14 anni della “Cautera”, la “discarica”. Sono le creature randagie nell’immondezzaio della favela metropolitana di Asunciòn (2milioni di abitanti). Angeli a piedi nudi strappati dalla strada dalle associazioni, Aldea Sos e Scuola Calcio Siembra, che si sono unite al progetto di Inter Campus promosso da Gonzalez. «In questi anni ho rivisto il sorriso sulle labbra di bambini abbandonati appena indossano una maglietta pulita, nerazzurra, con dietro scritto il nome di Materazzi o Milito». Sono tornati a vivere grazie al calcio, questi piccoli sfuggiti per miracolo agli aguzzini che li usano per spacciare droga o per gettarli nel giro della prostituzione. E alla Cateura hanno trovato l’assist provvidenziale del loro idolo di sempre. «Ai ragazzi chiediamo di tornare a scuola e di studiare, altrimenti niente calcio. Lo facciamo per il loro bene, per garantirgli un futuro. Gli racconto spesso la mia storia di calciatore e gli dico che la pagella della Gazzetta del lunedì, in cui giudicavano la mia prestazione in campo, è volata via, quella della scuola invece resta per sempre e gli permetterà di entrare nel mondo del lavoro, di avere una famiglia, dei figli e di essere davvero felici».
Difficile però, dissuaderli dal sogno di diventare un calciatore ricco e famoso, specie in questi giorni di attesa Mundial e della grande sfida contro i campioni in carica dell’Italia. «Ad ogni partita il Paraguay si blocca, negozi e scuole chiuse e tutti davanti alla tv a tifare per la nostra nazionale. Con l’Italia di Marcello sarà ancora più emozionante». Chiama affettuosamente il nostro ct Marcello. «No -sorride- Lippi non lo conosco, ma lo stimo moltissimo. Ha fatto grandi cose in Germania e anche se non ha un fantasista io penso che la squadra azzurra non sia affatto più debole di quella di quattro anni fa. Da attaccante poi, trovo la coppia Gilardino-Pazzini tra le più potenti di questo campionato del mondo». È un inguaribile ottimista Julio che ha piena fiducia anche nel rinnovato Paraguay del ct Gerardo Martino, arrivato ad Asunciòn dall’Argentina. «Martino ha rivoluzionato la mentalità della squadra. Prima c’era un atteggiamento troppo sornione: difensivisti ad oltranza sperando prima o poi di trovare il “golletto”.
Ora i ragazzi sono molto più spregiudicati e quello che piace ai tifosi paraguayani è che si tratta di un gruppo che corre e dà l’anima per tutti i 90 minuti, trascinato da leader come Paulo Da Silva in difesa o Riveros a centrocampo e in attacco c’è Barrios che sta segnando sempre. Difetti? Un pizzico di inesperienza da parte di quei giovani che sono alla loro prima volta a un Mondiale. Ma tutto il nostro popolo ha la certezza che il Paraguay si qualificherà agli ottavi - come nel ’98 e nel 2002 - , insieme all’Italia».
A questo Mondiale saranno assenti due grandi sostenitori dell’Inter Campus e la loro mancata convocazione a Gonzalez non va giù. «Se l’Argentina avesse un vero ct, con gente come Messi e Tevez, avrebbe già il titolo in tasca.
Maradona ha commesso un “peccato mortale” che credo pagherà. Ma come si fa a lasciare fuori due bandiere del calcio come Javier Zanetti ed Esteban Cambiasso?» Viene da chiedergli allora, chi sarà la regina di Sudafrica 2010? «La Spagna tecnicamente è la nazionale che mi piace di più, è campione d’Europa, ma di solito ai Mondiali fallisce. Stessa storia dell’Inghilterra che però questa volta in panchina ha un grande come Capello. Il Brasile è sempre la squadra che gioca il calcio più spettacolare, ma alla fine oltre alla tecnica conta saper stare bene in campo con la testa. In questo l’Italia di “Marcello” è maestra e non mi meraviglierei di rivederla in finale». L’11 luglio, comunque vada, per Gonzalez sarà una data molto speciale. «È il giorno in cui dovrebbe nascere il nostro terzo figlio, Enzo Josuè. Fino ad allora vedrò le partite con i miei “angeli” della Cateura, faremo festa e pregheremo, perché sia un momento di rinascita per il Sudafrica e un Mondiale che porti la pace tra tutti i popoli».
Massimiliano Castellani - avvenire

Italia: la gioventù c’è, manca la classe

H o scritto che c’è del Mourinho in certe scelte tattiche di Lippi, vedi quella pretesa duttilità di attaccanti pronti a farsi difensori, come Eto’o e Milito, del che Iaquinta s’è assai lamentato; e solo domani, quando l’Italia affronterà il Paraguay del signor Gerardo Martino, sapremo se ho inteso bene o no le mosse del nostro ct. Di certo, c’è molto Mourinho nella pretattica dialettica organizzata a Casa Azzurri per tenere a bada i giornalisti ed evitare di prenderli a pesci in faccia come successe nel 2006.
Lippi ha organizzato la Sindrome d’Accerchiamento, ha realizzato Cime Tempestose, ha seminato zizzaniella per avere un certo clima di battaglia invero smarrito negli ultimi giorni. Ha dunque incaricato ­nell’ordine - Buffon, Zambrotta, Cannavaro e Gattuso, vale a dire i migliori suonatori del Berliner Ensemble, di rilasciare interviste polemizzanti con chissacchì (l’unico noto è Calderoli, il quale ci gode) onde agitare la vigilia. Buffon è stato saggio, responsabile, boia chi molla come sempre; Zambrotta gridava d’esser sveglio perchè l’avevano colto in piena pennica; Cannavaro diceva e diceva per la Patria ma nei suoi occhi - come in quelli di Paperon de’ Paperoni - brillava il simbolo del petrodollaro dubaiano; Gattuso, ahimè, sembrava interpretare, ieri, l’ultimo spot della campagna pubblicitaria “venite in Calabria”, con un cuore così e una lingua ormai inspessita da volgarità che secondo qualcuno 'fanno fino'. Ci è mancato - ma non si sa mai - l’intervento di un noto prestipedatore che attendiamo con ansia e che per ora ha fatto solo sapere di non esser pronto a scendere in campo con quattro ormai famose parole: «Non sono un Pirlo».
Parlano, i cari vecchi tromboni, e speriamo che siano pronti a metterci anche le caviglie, i muscoli, i polmoni; hablano hablano per distogliere l’attenzione dalle scelte di Lippi che potrebbero - dico potrebbero - essere rivoluzionarie per opporre adeguata resistenza all’assalto dei compagni di Edgar Barreto, eppoi alla Nuova Zelanda e infine alla Slovacchia del temibile (dico davvero) Marekiaro Hamsik. Gattuso ­scatenando i titolisti di tutti i blog - ha poi dato una notizia esclusiva ai cronisti attoniti: «È il mio ultimo Mondiale». Incredibile. Io vi do un’altra notizia: lo seguiranno una decina di colleghi. Ai quali oggi chiediamo, fuor d’ogni ironia, di mettercela tutta perchè il loro addio sia sempre più lungo e duri magari fino all’11 luglio. Nel frattempo, sollecitiamo gli ultimi arrivati a meritarsi la successione, la vittoria, magari il quarto titolo. Ce n’è, di gioventù, temo che manchi la classe, come ha precisato onestamente Cannavaro. E allora per l’ultima volta, mentre la Nazionale da tutti amata s’appresta a giocare la sua prima partita, dedico un pensiero a Lippi e al suo portavoce Gattuso: mi manca tanto Balotelli.

Argentina, è Maradona il vero show

DI VANNI ZAGNOLI
L’Argentina parte bene e si candida per il suo terzo ti­tolo mondiale. Facile l’e­sordio con la Nigeria, accreditata co­me sorpresa dall’allenatore del Pa­lermo Delio Rossi, in realtà in fase calante.
Diego Maradona aveva abbando­nato per doping Usa ’94, dopo il 4­0 con i verdi, in Sudafrica da allena­tore presenta un’Albiceleste vin­cente a anche se un po’ leziosa e di­stratta, che aveva rischiato l’elimi­nazione nel girone sudamericano.
La classe non è in discussione, ma gli argentini dalla sconfitta nella fi­nale di Italia ’90 non hanno più fat­to strada, nel campionato del mon­do. E non basta una partita per di­chiararli anti Brasile. Resta il fatto che la Nigeria non in­quadra mai la porta. Nel pri­mo tempo Gutierrez ( Jonas, sulla maglia, mentre a Tevez hanno impedito la scritta preferita, Carlitos) sbaglia l’intervento di testa, conce­dendo il sinistro (largo) a O­basi. Nessuna capriola di O­binna, l’attaccante che si era rivela­to nel Chievo senza sfondare all’In­ter, bocciato nel primo anno di Mourinho: qualche minuto del se­condo tempo e viene sostituito da Oba Martins, altro in ribasso dopo gli sprint da minorenne con Cuper. Argentina-Nigeria è stata la finale o­limpica del ’96, con successo degli africani, e di Pechino, riscatto bian­coceleste firmato Di Maria, ieri comprimario. Il risultato è lo stesso di due anni fa, 1-0, al 6’ tuffo di Hein­ze, su angolo da destra: sui corner la difesa africana marca colpevol­mente a zona. Per Messi tre sinistri fenomenali nella prima frazione pa- rati da Enyeama, che dice no anche a Higuain. Il ct svedese Lagerback, con le Aquile solo da febbraio, non può limitare il talento della Pulce, a 23 anni pronto per lasciare il segno in nazionale, dopo avere vinto tut­to con il Barcellona, esclusa l’ultima Champions. Maradona a 21 fallì Spagna 1982, adesso gli ha offerto le chiavi dell’Argentina. Ma è pro­prio Dieguito il protagonista asso­luto. Salta dalla panchina, corre, e­sulta, scoppia dentro la giacca e cra­vatta imposta dalle figlie che l’ave­vano pregato di abbandonare la tu­ta.
In campo invece Veron ha il passo stanco dei suoi 35 anni, viene da due Palloni d’oro sudamericani conse­cutivi, è professionista da metà del­la sua vita, rischia di essere la palla al piede dei sogni di una nazione che vuole il titolo anche per uscire dalla crisi economica: il ct gli ri­sparmia l’ultimo quarto d’ora, ba­ciandolo al momento del cambio per Maxi Rodriguez.
Milito ieri ha compiuto 31 anni, per 78 minuti l’interista protagonista as­soluto di scudetto e Champions è rimasto in panchina, una scelta quasi blasfema considerando le tan­te occasioni sprecate dai suoi com­pagni. Bene comunque ha giocato Messi, che nel secondo tempo avvi­cina due volte il palo, senza mai su­perare il portiere avversario che ha mantenuto in partita la Nigeria ne­gando il raddoppio anche a Higuain. Per gli africani due palle dell’1-1, U­che sbaglia la più invitante. Buona la prima, Maradona può esultare.
Diego ct scatenato e vittoria sofferta per la sua squadra che spreca molto. La Nigeria sfiora il pari nel finale Decide la rete di Heinze
(avvenire)

La Fifa ha fifa di chi crede in Dio : MARCHI A GOGÒ, MANIFESTAZIONI DI FEDE NO

UMBERTO FOLENA - avvenire
Sotto la casacca, niente.
Stateci attenti, ragazzi, perché le conseguenze potrebbero essere gravi. Sotto la casacca, al massimo la maglietta della salute, in Sudafrica fa freschino. Sotto la casacca, mai più scritte come «I belong to Jesus» («Appartengo a Gesù») che tanto piace a Kakà. E la foto della fidanzata? Cattivo gusto a parte, dipende: se è una leader religiosa o politica, proibito. Se è una normale cittadina, permesso. Nuove indicazioni della Fifa – omen nomen, una preoccupazione dietro l’altra – in vista dell’esordio, martedì, della nazionale verdeoro.
Si sa che i brasileri schierano un’alta percentuale di evangelici pentecostali con il modo tutto loro, esplicito e naif, di esprimere la propria fede. I cattolici, in genere, sono più discreti. Non perché la loro fede sia più tiepida, e guai a giudicare una qualsiasi passione dall’intensità esteriore con cui viene espressa: c’è chi ribolle di fuori ed è un ghiacciolo di dentro, e chi ribolle di dentro ma rimane composto di fuori.
In ogni caso, a far fifa alla Fifa è la Confederation Cup dell’anno scorso, con il rito improvvisato a centrocampo da Lucio; e le t-shirt sotto le casacche dei bomber con l’alta probabilità – giocano contro la non irresistibile Corea del Nord – che facciano gol e corrano verso le telecamere voraci per sfoderare manifestazioni di fede imbarazzanti... già, imbarazzanti per chi?
Premesso che ogni ostentazione stona e che il senso della misura dovrebbe valere sempre; premesso pure che chiedere a Dio di farti vincere la partita a scapito dell’avversario significa chiedere un privilegio indebito perché Dio sul terreno di gioco è neutrale, e lo stesso ringraziarLo per averti fatto fare gol (il portiere infilzato che dovrebbe dire, allora, a Dio?); premesso tutto ciò, la sensazione è che il vero problema non sia la manifestazione di una fede in mondovisione, ma il conflitto di fede in alta definizione.
Prendiamo un pedatore qualsiasi del ventunesimo secolo e scannerizziamolo dal calzettone al colletto: non c’è un centimetro esente da una manifestazione di fede, che si chiami (omissis) o (omissis), in tutti i maggiori marchi dell’abbigliamento sportivo che si contendono un mercato globale.
L’investimento è da capogiro. E secondo voi chi investe così tanto sulla casacca d’un puntero verdeoro può correre il rischio che quel bel tomo se la sfili per mostrare al cielo e alla terra che prima che al marchio egli crede al suo Dio? Teniamo Dio lontano dal prato verde, dunque, dove altre divinità pagane, del tutto effimere, si contendono perfino i fili d’erba. Che Lassù siano neutrali, d’altronde è garantito dalla seguente storiella. Gesù, noto appassionato di calcio, vorrebbe finalmente vedersi una partita dal vivo, senza commento di Caressa. Il Padreterno lo autorizza e Gesù sceglie, così a caso, il derby di Glasgow Celtic-Rangers, cattolici contro protestanti.
Pronti via. Attacchi avvolgenti del Celtic, cross, rovesciata acrobatica e gol strepitoso.
«Gol! Bellissimo gol!», esulta Gesù ammirato da tanto gesto atletico. Ma i Rangers passano al contrattacco, altro cross, respinta, tiro da 30 metri nell’angolino e gol mostruoso. «Gol!
Bellissimo gol!», esulta di nuovo di Gesù. I suoi due vicini di sedia, perplessi, si danno di gomito e uno fa all’altro: «Per me è ateo».
Ai fedeli della Fifa, ai credenti nel Grande Brand, meglio non raccontarla: metterebbero Gesù che esulta accanto al marchio della braghetta del giocatore del Celtic. I sobri moralizzatori.

MONDIALI La «frusta» di Gattuso: ora vinciamo

Oggi a Città del Capo esordio della Nazionale nel Mondiale di calcio contro il Paraguay. Il centrocampista azzurro sprona i compagni a superare lo scetticismo: «Non siamo così scarsi, non falliremo». Intanto l’Argentina guidata in panchina dallo scatenato Maradona irrompe nel torneo battendo la Nigeria, la Grecia crolla contro la sorprendente Corea del Sud e gli Usa arginano l’Inghilterra sull’1 a 1.